RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 3 febbraio 2017

ERANO UNA PICCOLA MINORANZA GLI IRREDENTISTI CHE HANNO SPINTO ALLA ROVINA TRIESTE - ALTRO CHE CITTA' IN ATTESA DELLA "REDENZIONE" - OGGI CONFERENZA AL CIRCOLO DELLA STAMPA ORE 17,30 -


Una città dove una minoranza di italiani irredentisti che auspicavano un’alba tricolore - il cinque per cento della popolazione - si contrapponeva a una maggioranza lealista «che durante il conflitto seguì l’Imperatore sui campi di battaglia»

Oggi, alle 17.30 nella Sala Alessi del Circolo della stampa (corso Italia 13) Stefan Wedrac, storico dell’Accademia delle Scienze di Vienna, in una conferenza intitolata “1914-18, dispacci da Trieste” (introdurrà Pierluigi Sabatti, coordinerà l’incontro Luciano Santin)-

Interessante articolo pubblicato sul Piccolo di oggi a firma Pietro Spirito.
Dopo due anni in cui Trieste ha dovuto subire la più disgustosa retorica nazionalista e guerrafondaia sulla Grande Guerra, che giustamente papa Benedetto XV definì invece "Inutile Strage", la verità fa timidamente capolino in una città che non ha dedicato nemmeno un vicolo agli innumerevoli concittadini che hanno combattuto per l' Impero ma ha dedicato tante strade centrali a facinorosi irredentisti e perfino a noti terroristi.


Una città che, come dice l' articolo, nel 1910 aveva 230.000 abitanti mentre nel 2017 ne ha solo 204.000 conquistando il record di unica città europea con meno abitanti di 100 anni prima.

Ristabilire la verità storica è il miglior modo per riparare i torti e favorire la riconciliazione.

Di seguito l' articolo:

Trieste vista da Vienna nel ’15-18 Oggi al Circolo della Stampa conferenza dello storico austriaco Stefan Wedrac
di PIETRO SPIRITO

Una città per certi versi incomprensibile, da reprimere da un lato e aiutare dall’altro. Una città dove una minoranza di italiani irredentisti che auspicavano un’alba tricolore - il cinque per cento della popolazione - si contrapponeva a una maggioranza lealista «che durante il conflitto seguì l’Imperatore sui campi di battaglia». Una città, ancora, divisa al suo interno fra lealisti, nazionalisti italiani e sloveni, tedeschi e immigrati delle più diverse nazionalità, amministrata da una municipalità liberal-nazionale protetta da una legislazione di impianto autonomista da blandire o reprimere a seconda del momento. Così Vienna vedeva Trieste negli anni della Grande guerra: un puzzle non sempre facile da decifrare, fragile e pericoloso a un tempo, una città “dissociata”, politicamente schizofrenica sul cui destino si giocava il destino della guerra, retrovia della prima linea da riorganizzare e coinvolgere «nell’essenza dello Stato asburgico» una volta finita e vinta la guerra. Di questo, cioè di come il governo asburgico centrale vedeva e agiva nei confronti di Trieste negli anni della Prima guerra mondiale parlerà oggi, alle 17.30 nella Sala Alessi del Circolo della stampa (corso Italia 13) Stefan Wedrac, storico dell’Accademia delle Scienze di Vienna, in una conferenza intitolata “1914-18, dispacci da Trieste” (introdurrà Pierluigi Sabatti, coordinerà l’incontro Luciano Santin). Analizzando i rapporti del Commissario imperiale di Trieste al Luogotenente, i dispacci del Luogotenente al ministero degli Interni a Vienna, e altri documenti del ministero degli Interni e della Quinta imperial-regia armata - fonti poco o niente frequentate soprattutto da parte degli storici italiani - Wedrac è riuscito a comporre un quadro composito della Trieste vista da Vienna negli anni cruciali che ne segnarono il destino. «Sino alla fine del diciannovesimo secolo - spiega Wedrac -, Trieste era un’enclave quasi esclusivamente italiana in una regione carsica slovena a matrice prevalentemente agricola». Ancora alla fine degli anni ’60, continua lo storico, gli immigrati si assimilavano rapidamente, e l’italiano restava il mezzo incontrastato di comunicazione nella città portuale. «Ma con il boom del nuovo secolo l’industria in rapida espansione cominciò ad attirare nuova manodopera». La città cambiò rapidamente volto, e nel 1910 il censimento della popolazione contò «230.000 abitanti, 120.000 italiani e quasi 60.000 sloveni, cui vanno aggiunte numerose minoranze, in testa a tutti i tedeschi con una comunità di circa 12.000 anime, e ben 40.000 cittadini stranieri, quasi tutti cittadini del Regno d’Italia, i cosiddetti “regnicoli”». In questo crogiolo ribollente sbocciano i nazionalismi, in particolare l’irredentismo italiano: «Originariamente animato da una fascia di popolazione relativamente ristretta - spiega Wedrac - proveniente in gran parte dalla borghesia colta, negli ultimi decenni della monarchia l’irredentismo non si espresse se non in minima parte in azioni di tipo politico, ma preferì a queste l’irredentismo culturale», promuovendo numerose associazioni a tutela della cultura italiana, diritto garantito ai vari popoli della monarchia dalla Costituzione. In questo quadro l’amministrazione municipale di Trieste era, grazie alle sperequazioni del diritto elettorale, saldamente in mano al partito nazionalista italiano, «che a ogni elezione conquistava i seggi comunali e sfruttava abilmente le possibilità offerte dalla legge per promuovere ogni simbolismo nazionale italiano, insediare regnicoli negli uffici pubblici e sostenere lo sviluppo delle organizzazioni culturali a spese delle altre minoranze». Di fronte a tutto ciò, finché regnò la pace le autorità centrali fecero buon viso a cattivo gioco, intervenendo solo in caso di gravi violazioni. Tuttavia, il 16 agosto 1913 il Luogotenente, principe Konrad zu Hohenlohe-Schillingsfürst, vietò l’assunzione dei regnicoli nelle aziende comunali, come quelle del gas e dell’acqua, perché per legge gli impiegati pubblici dovevano avere cittadinanza austriaca. I decreti - che coinvolgevano sì e no una dozzina di persone - scatenarono in città un putiferio, diventando per i filoitaliani la prova provata dell’atteggiamento italofobo del governo austriaco. Eppure, nota ancora Wedrac, proprio alla vigilia della guerra Trieste diede dimostrazione di attaccamento all’Impero, ad esempio in occasione dei funerali di Francesco Ferdinando e della moglie Sofia dopo l’attentato di Sarajevo, tanto che lo stesso Luogotenente parlò di «esemplare atteggiamento della popolazione», con una partecipazione alle esequie «straordinariamente dignitosa e composta». Le cose però, ancora una volta, cambiarono in fretta. I tumulti del 1914 dei nazionalisti slavi, l’abbandono della città con l’approssimarsi del conflitto non solo da parte dei regnicoli ma anche di centinaia di cittadini austriaci di lingua italiana, portarono Vienna ad assumere un atteggiamento più conciliante nei confronti dei nazionalisti italiani: Hohenlohe-Schillingsfürst fu rimosso dalla carica nel febbraio del 1915 e sostituito alla Luogotenenza dal barone Alfred Fries-Skene che, considerato nella capitale affabile e affidabile, avrebbe dovuto essere più conciliante del suo predecessore. Di nuovo lo scenario cambiò alla dichiarazione di guerra dell’Italia, il 23 maggio del 1915, con le violente dimostrazioni lealiste: «E diversamente da quanto favoleggia ad esempio Silvio Benco, cioè che sarebbero state le autorità statali stesse a organizzare queste manifestazioni per rappresaglia - osserva Wedrac – per il ministero degli Interni a Vienna si trattò di un incidente spiacevolissimo, perché il governo in realtà aveva ordinato al Luogotenente già il 14 maggio di proteggere il consolato italiano e le proprietà dei sudditi italiani». Sciolto e commissariato con una modifica dello Statuto il Consiglio comunale triestino, epurati, o meglio pensionati diversi funzionari comunali considerati irredentisti, in piena guerra il Commissario governativo Johann Krekich-Strassoldo avviò da un lato un risanamento delle finanze e nuove opere di approvigionamento idrico, dall’altro si prodigò nella de-italianizzazione della città, a cominciare dalla toponomastica. Da parte sua Vienna continuava a vedere la situazione in un’ottica differenziata, consapevole del fatto che solo una parte degli italiani d’Austria propendeva per l’irredentismo. «Come ho avuto ampia possibilità di constatare - scrisse lo stesso Krekich-Strassoldo in un dispaccio a Vienna -, la popolazione di Trieste si compone in parte di elementi di fede apertamente austriaca e in parte di persone più o meno dichiaratamente tendenti all’irredentismo. Tra questi estremi si colloca la grande massa degli indifferenti e degli opportunisti». In definitiva, conclude Wedrac, «come ha osservato uno storico viennese è un luogo comune che la monarchia crollò a causa del nazionalismo; ma possiamo anche dire che la monarchia naufragò per aver sopravvalutato il nazionalismo, per aver reagito in maniera eccessiva ai tentativi di destabilizzarla. La cura contro il “terrorismo” irredentistico si rivelò più mortale della malattia». 



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