RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

martedì 11 dicembre 2018

AMAZON PIU' PERICOLOSA DEI CINESI PER IL PORTO DI TRIESTE - UN' INTERVISTA DI D' AGOSTINO RIDICOLIZZA LE PARANOIE ANTICINESI ALIMENTATE DAL RIATTIVATO "PARTITO CONTRO LO SVILUPPO DEL PORTO DI TRIESTE" - UN ARTICOLO DEL GENOVESE MARESCA CASUALMENTE CONTEMPORANEO A QUELLO ALLARMISTA DI MORELLI SUL PICCOLO - IN UN' INTERVISTA YU XUEFENG PARLA ANCHE DI TRIESTE (professore di politica internazionale all'Università degli Studi Internazionali di Pechino)-


C'è una riattivazione del partito sotterraneo che rema contro lo sviluppo del Porto Franco Internazionale di Trieste e crea allarmismi sul "pericolo" di investimenti "stranieri", specialmente cinesi nel nostro porto.

Lunedì abbiamo segnalato e commentato l' incredibile articolo xenofobo e allarmista pubblicato sul Piccolo a firma di Roberto Morelli (clicca QUI) che al solito fa ritualmente i complimenti a Zeno D' Agostino tradendo però la sostanza di tutto quello che dice, e che aveva detto molto chiaramente nell' intervista di tre giorni prima alla rivista di settore "The Meditelgraph" che riportiamo per intero sotto e che qualsiasi giornalista avrebbe dovuto leggere per documentarsi prima di sproloquiare sul porto e i cinesi.

L' allarmismo a mezzo stampa è pericoloso e semina inutile preoccupazione come dimostra la grottesca vicenda dell' infruttuoso incontro ministeriale dei lavoratori della Ferriera.


Contemporaneamente il caso vuole che proprio ieri il giornale dell' Autorità Portuale di Genova "Portnews" pubblichi un articolo di Maurizio Maresca che ha la finalità di richiedere il controllo e l' ingerenza della UE sugli ipotizzati investimenti cinesi a Trieste in quanto "strategici" con l' ovvio scopo di bloccarli e in subordine di svalorizzare le "vie della seta" che sarebbero chiacchiere : clicca QUI per l' articolo.

Ricordiamo che Maurizio Maresca
genovese e docente di diritto a Udine, era stato sciaguratamente nominato Presidente dell' Autorità Portuale di Trieste dove, tra gli altri danni, ha sciaguratamente nominato Segretario Generale l' attuale Presidente di Italia Nostra l' architetto Antonella Caroli, digiuna di traffici ma paladina del vincolo architettonico totale su Porto Vecchio realizzato nel 2001 in collaborazione con l' allora sottosegretario Sgarbi.


Infine segnaliamo e riproduciamo sotto, l' intervista fatta a Yu Xuefeng,  
professore di politica internazionale all'Università degli Studi Internazionali di Pechino, sul caso Huawei e le Vie della Seta perchè cita anche il Porto di Trieste (clicca QUI) e chiarisce lo spirito delle iniziative della Cina che, come dice anche il professore,  nella sua storia millenaria non ha mai avuto colonie, nè ha mai bombardato nessuno, semmai il contrario.

Ecco l' intervista del MediTelegraph a D'Agostino il 6/12:



«La Cina? Mi fa più paura Amazon»

Zeno D’Agostino, presidente di
Assoporti : «Entro cinque anni saranno i colossi del web a colonizzare lo shipping»

Genova - È certo di aver costruito una diga più solida di quella dello Yangtze e di poter così imbrigliare l’onda cinese che sulla spinta della Via della Seta, sta arrivando adesso sulle sue coste. Zeno D’Agostino guida il porto di Trieste, il prescelto da Pechino per l’ingresso in Europa, ma è anche nella cabina di regia di Assoporti, l’associazione degli scali italiani, sempre combattuti tra l’euforia di nuovi salvifici investimenti e il terrore di diventare vittime del risiko cinese.

«Ho costruito un sistema che è in grado di dire no anche a Pechino, ma il vero pericolo non arriva dall’Asia». Più degli eredi di Mao, D’Agostino teme Alibaba e Amazon.



In molti nei porti italiani si chiedono se convenga accogliere gli investimenti cinesi. Trieste è al centro dell’interesse...
«Se qualcuno pensa di venire qui a farsi gli affari propri, e non penso soltanto ai cinesi, sappia che deve fare i conti con noi: perché l’Authority ha il pieno controllo dei punti vitali del porto».

Ritiene di aver blindato lo scalo a sufficienza?
«Certo. E con gli strumenti a disposizione. Il sistema logistico portuale è governato dall’Authority, e se Cina, Austria e Ungheria - questi due ultimi Paesi non li nomino a caso - volesse investire da noi, ben venga. Abbiamo preparato un’ottima cornice».

Ma dall’altra parte del tavolo ci sono colossi statali...
«Sono i privati a trattare in prima linea e hanno una concessione rilasciata da un’Authority pubblica. Molti ora cercano di capire se e come gestirli insieme a società cinesi, ma, ripeto, non c’è solo Pechino. Anzi: i cinesi in alcuni casi sono addirittura nelle retrovie rispetto agli altri…non è così chiara e definitiva la situazione».

C’è interesse solo per le banchine?
«Ai cinesi e agli altri potenti armatori che hanno chiesto di investire nelle nostre società che controllano interporti e punti franchi, abbiamo detto chiaramente che quelle realtà sono intoccabili perché per noi devono avere una partecipazione esclusivamente pubblica. I cinesi poi sono statali in Asia, ma qui a casa nostra vanno considerati imprese private».

Appunto: non ha paura di questa ambiguità?
«No, perchè abbiamo anticipato le mosse del mercato. Per questo mi fanno poca paura, e lo dico sinceramente, tutti i processi di aggregazione, quelli tra armatori e tra terminalisti. Però nessuno ha ancora ragionato su un altro aspetto: tra pochissimo, forse addirittura prima di 5 anni, saranno i signori del commercio elettronico a comprarsi il mondo dello shipping».

Le possibilità economiche ci sono tutte...
«È ancora fantascienza, ma non per molto: le navi arriveranno in rada e non scaricheranno più in banchina, ma con i droni la merce arriverà direttamente ai terminal logistici all’interno, saltando i nostri porti. Lo dicono diversi analisti».

Un po’ ardito come futuro.. .
«È fantascienza? Forse, ma noi adesso abbiamo deciso di occuparci di questo. Dovremmo stare molto attenti...»

La forza di Amazon sugli investimenti è notevole...
«Appunto, potrebbe realizzare questo sistema quando vuole…Così come Alibaba. Pensi che Cccc (il colosso delle costruzioni cinese, ndr) e Alibaba hanno vinto una gara ad Amburgo per un nuovo terminal container. Sono interlocutori che scardinano quelli tradizionali con cui siamo abituati a trattare. E quando arriveranno saranno un problema per tutti».

Quando termina il mandato in Assoporti?
«Tra poco. Abbiamo un nuovo ruolo importante in Europa con Espo e ragioneremo quindi su un probabile passaggio di consegne anche prima della mia scadenza di aprile».

Ecco l' intervista al prof. Yu Xuefeng:

Huawei e via della Seta, la Cina
cerca cooperazione, non egemonia. Parla Yu Xuefen


L’arresto in Canada di Meng Wenzhou, direttrice finanziaria del colosso hi-tech cinese Huawei che ora rischia l’estradizione negli Stati Uniti con l’accusa di aver messo in piedi un sistema per circumnavigare le sanzioni contro l’Iran, costituisce l’apice di un’escalation fra Washington e Pechino che vede le due potenze contrapposte su più fronti: dal confronto militare nel Mar Cinese Meridionale alla guerra dei dazi passando per la battaglia nello spazio cibernetico.
Nell’accademia americana e di molti altri Stati occidentali si fa spazio fra i politologi la tesi di una riedizione della Guerra Fredda in cui la Cina costituirebbe lo sfidante per eccezione dell’egemonia statunitense e del mondo occidentale. Una tesi rifiutata a priori dagli accademici cinesi, che invece presentano la crescita del Dragone sullo scenario globale, ben rappresentata dalla nuova Via della Seta inaugurata dal presidente Xi Jinping, come un’occasione per il resto del mondo e accusano gli Stati Uniti di cercare lo scontro frontale.
È di questo avviso Yu Xuefeng, professore di politica internazionale all’Università degli Studi Internazionali di Pechino, in questi giorni a Roma per commemorare alla Farnesina i cinquant’anni di Pietro Nenni, ministro degli Esteri, ospite dell’omonima fondazione. “L’arresto di Meng ha spiazzato l’opinione pubblica”, spiega intervistato da Formiche.net, “gli Stati Uniti pensano di poter far valere le loro leggi come diritto internazionale”.
Professore come è stato accolto in Cina l’arresto di Meng Wenzhou?
L’opinione pubblica cinese è molto arrabbiata di questa azione che gli Stati Uniti hanno preso nei confronti di una persona individuale cinese. Arrestare così, senza nessuna giustificazione, la figlia del titolare di una società cinese competitor di aziende americane dimostra che gli Stati Uniti credono di poter far valere le loro leggi interne come leggi internazionali.
Ci spieghi meglio.
Gli Stati Uniti parlano sempre di democrazia e diritti umani, ma non sempre li rispettano. Non si può arrestare una persona solo perché è sospetta. L’arresto di Wenzhou ha lasciato spiazzato il popolo cinese, ma non è il primo caso.
L’allarme Huawei però è stato lanciato dall’intelligence di tanti altri Paesi. Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, perfino Italia. Sono tutte congetture?
Non credo siano accuse sostanziate dalla realtà. Nella sua storia la Cina non ha mai invaso la sovranità di altri Paesi né ha cercato l’egemonia globale. Il mondo pensa che la Cina stia divenendo una minaccia, ma il popolo cinese fatica a capire questa preoccupazione, perché queste ambizioni non fanno parte della nostra storia.
Come spiega la diffusa percezione di un progetto egemonico sotteso alla crescita economica del Dragone?
La straordinaria crescita e la stabilità dell’economia cinese non può preoccupare il mondo, dovrebbe bensì essere un fattore positivo per contribuire alla stabilità del mondo. Senza crescita economica come può la Cina mantenere un miliardo e quattrocento milioni di abitanti?
Rifiuta dunque a priori la tesi di uno scontro economico e militare in atto fra Cina e Stati Uniti?
Non c’è nessuno “scontro di civiltà”. Gli Stati Uniti sono la prima potenza globale da tanti anni e hanno questa auto-percezione di sé. Comprendiamo in parte le preoccupazioni degli americani di fronte alla crescita della Cina sullo scenario globale. Quel che non capiamo è perché gli Stati Uniti guardino ai competitor nell’ottica dello scontro e della possibile “sconfitta”.
Alcuni studiosi americani hanno coniato l’espressione “sharp power” (potere affilato, ndr) per descrivere la sfida della Cina all’egemonia dell’Occidente.
Questa è una narrazione ideologica. La Cina è cresciuta molto in questi anni e ora sente il dovere, la responsabilità storica di costruire un mondo migliore e più armonioso, di aiutare gli altri con gli strumenti di cui dispone. È un concetto molto caro al presidente Xi Jinping.
Oggetto di crescente preoccupazione è la nuova Via della Seta inaugurata da Xi, il mastodontico progetto infrastrutturale che unirà via terra e via mare l’Asia all’Europa passando per l’Africa. Diversi Stati hanno denunciato le finalità politiche di questo piano.
La Cina ha proposto questa iniziativa per trovare una soluzione efficace ai problemi che sta affrontando a livello globale. Siamo divenuti la seconda economia del mondo, dobbiamo assumerci maggiori responsabilità. La via della Seta è la misura concreta per farlo, non un progetto egemonico.
Un caso che riguarda da vicino l’Italia è quello degli investimenti cinesi nei porti del Mediterraneo. Il porto di Trieste costituisce il terminale ideale per la via della Seta, ma in molti segnalano il rischio di una leva politica in mano alle compagnie cinesi che investono nelle infrastrutture europee.
L’obiettivo del governo cinese è sempre quello della doppia vincita. Gli investimenti della Belt and Road Initiative non sono un gioco a somma zero, tutti devono trarne beneficio. Nessuno è così ingenuo da cercare appositamente lo scontro. La Cina ha già tanti problemi interni da risolvere, a cominciare da una grande crisi demografica, non ha bisogno di ricattare altri Stati attraverso gli investimenti nelle loro infrastrutture.
Infine l' articolo di Maresca per PortNews di Genova:
Immobilismo poco strategico
La Via della Seta? Il vuoto oltre le parole

di Maurizio Maresca


Le numerose voci che si susseguono sulla Belt and Road dimostrano certamente l’anelito a un cambiamento della politica dei trasporti nazionali ma temo nascondano un assoluto immobilismo.

Occorre forse distinguere tra diverse tipologie di interventi cinesi in Italia. Sono certamente possibili (e benvenute) operazioni finanziarie o immobiliari di lungo periodo. Se un’impresa cinese intende entrare nel mercato italiano delle costruzioni lo fa con l’obiettivo di percepire un utile come semplice appaltatore e non perché abbia un particolare disegno strategico. E ovviamente, per vincere l’appalto, deve partecipare a una procedura totalmente regolata dal diritto europeo.

Lo stesso ragionamento vale quando un operatore cinese acquista un’area retroportuale di per sé non significativa nello scenario dei traffici o quando acquisisce il controllo di un terminal contenitori con una capacità lontanissima dai minimi standard europei. Operazioni di questo genere, consuete, si pongono fuori dalla logica della BRI, che è un progetto governato dal Governo centrale cinese e da questo amministrato su base bilaterale con i singoli Paesi.

Possono invece essere qualificate come strategiche quelle operazioni davvero soggette al decreto legge n. 21 del 2012 e al quadro normativo che proprio di questi giorni si va delineando in ambito europeo (che prevede la competenza comunitaria nel caso di operazioni che incidono su più Paesi, come nel caso delle reti di cui all’art. 170 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea). Un’operazione di infrastrutturazione e gestione congiunta di un corridoio europeo o di un pezzo dello stesso presenterebbe ad esempio importanti prospettive di crescita ma altrettanti rischi.
Avrebbe una chiara valenza strategica anche l’acquisizione da parte della Cina del controllo del Molo VII a Trieste se allo stesso venisse associata la concessione per la realizzazione del Molo VIII (operazione peraltro improbabile posto che oggi il controllo del molo VII è ritenuto fondamentale da MSC, il principale concorrente di Cosco e China).
Nondimeno strategica sarebbe l’intesa fra Cina e Slovenia sul controllo congiunto di Luka Koper. Lo stesso potrebbe sostenersi, oltre che per l’avvenuto ingresso nel terminal di Vado Ligure, per un’operazione di razionalizzazione di Sampierdarena condivisa fra operatori locali e cinesi, con un ruolo forte dell’alleanza Mercitalia/SBB (magari corredata di un impegno a completare la diga di Genova e il retroporto).
Parliamoci però chiaro: nessuna di queste operazioni appare davvero alle porte. Anzi, con l’esclusione di quella di Koper, non si ha la sensazione che esista davvero un progetto strategico volto a rafforzare i collegamenti Nord-Sud nella nostra penisola…(e chissenefrega dei collegamenti Nord-Sud della vostra penisola...a noi interessa il collegamento tra oriente ed Europa, non lo sapevi?  Nota di Rinascita Triestina)

lunedì 10 dicembre 2018

PAURA XENOFOBA ANTICINESE DIFFUSA DAL PICCOLO: SI ATTIVANO I NEMICI DI TRIESTE INTERNAZIONALE E I PALADINI DI MISERABILI PICCOLI INTERESSI LOCALI - PAURA "IDENTITARIA" DI CARTELLI IN LINGUA CINESE: SIAMO ALLE SOLITE, SOLO CHE STAVOLTA TOCCA AI CINESI CHE PORTANO INVESTIMENTI E SVILUPPO ECONOMICO -


ORRORE ! ".. non solo il Pireo, ma anche l’aeroporto Venizelos e il centro della capitale sono punteggiati da negozi, cartellonistica e pubblicità nella sola lingua cinese ". Questo ci tocca leggere oggi sul Piccolo a pag. 14 insieme all' appello alla difesa dell' identità nazionale contro "gli stranieri".

Fobia ai cartelli in lingua estera: come ai bei tempi della lotta al "bilinguismo". Il Piccolo, che cambia proprietario e perde il pelo ma non il vizio, rispolvera un evergreen della miserabile "classe dirigente" locale spaventata dall' arrivo di potenziali concorrenti che possono scalzarla dalle parassitarie rendite di posizione attuali.
Ricordate anche quando la Zona Franca Transfrontaliera prevista da Osimo (che adesso Gorizia ha chiesto di avere) non è stata fatta partire con la scusa della paura di inquinamento culturale ed etnico proveniente dai Balcani? Ma in realtà per tutelare i potentati locali?
Stavolta non è il "pericolo slavo" bensì quello cinese che però ha le spalle larghe e ampia  disponibilità di capitali per investimenti produttivi di cui Trieste ha assoluta necessità per rilanciare l' economia altrimenti destinata all' italico disastro incombente.

Il Piccolo si duole del fatto che "Pechino riprenderebbe quel che Vienna lasciò: è il paradosso di una città fatta grande dagli stranieri".
"Stranieri" ? Chi è più straniero di Roma che dopo essersi fatto di Trieste un fiore all' occhiello della presunta "unità nazionale" l' ha spinta in una decadenza inarrestabile separandola dal suo entroterra naturale mitteleuropeo e fatta diventare l' unica città del continente che ha meno abitanti del censimento del 1910, mentre la media è quella della quadruplicazione dei residenti ?!?

Il Piccolo fa appello alla vera e collaudata xenofobia identitaria e alla paura dei cartelli in più lingue:  "Perfin le indicazioni per Miramar in cinese, siora Pina! Dove anderemo a finir?"... "Anche da Mirela i ga cambià l' insegna in Mir-Cin-Cela: poveri i nostri zovini... !".

L' inqualificabile giornale locale
, con questo articolo dell' eterodiretto (da interessi locali) Roberto Morelli, invita a " essere consapevoli delle proprie radici". Appunto: esse sono solidamente mitteleuropee come dimostra la nascita e lo sviluppo del Porto Franco e della città e come testimonia concretamente la rete di collegamenti ferroviari che riproponiamo sotto.
E le nostre radici sono sempre state nei traffici fra Europa e Oriente, Cina compresa, con il porto di Shanghai ben collegato con Trieste fin dalla metà dell' '800.

Trieste è sempre stata la cerniera tra Oriente ed Europa: questa è la sua identità.

Lo hanno capito bene al liceo Dante dove tra le lingue straniere hanno introdotto lo studio del cinese 
e perfino alcuni cartelli dei gabinetti sono scritti anche in quella lingua senza che ciò abbia turbato nessuno.
E dove invece di farsi spaventare dai pennivendoli perchè "...
 è la componente culturale e sociale quella destinata a sconcertare di più, se mai un disegno siffatto si avvererà."
 pensano al futuro dei ragazzi invece di destinarli all' emigrazione che colpisce tanti giovani triestini allevati a Tricolore e banalità da secolo scorso.

Il presidente D' Agostino ha più volte precisato che non c'è alcun problema di monopolizzazione del porto da parte di imprese cinesi perchè, oltre al fatto che altri terminal sono gestiti da anni da Turchi e in futuro probabilmente da Arabi del Dubai (il Piccolo non si preoccupa dei cartelli in turco e arabo?), il porto non è in svendita perchè forte e ben connesso con l' area di riferimento. L' esatto contrario di quello che era successo al Pireo. Evidentemente, oltre agli omaggi di rito in ogni articolo, non si tiene conto della sostanza di quello che dice.

Qui di seguito il testo dell' articolessa di Morelli a pag. 14 del Piccolo che ha avuto purtroppo eco sui media nazionali dove parlano di "dubbi" locali sugli investimenti cinesi a Trieste:

I CINESI E TRIESTE TRA RISCHI E OPPORTUNITA'
-
Sciocco contrastare i capitali stranieri ma abdicare alla propria identità lo sarebbe altrettanto -di tal Roberto Morelli

"L’interesse della Cina per Trieste si è spostato dal cono di luce e fatto più discreto. Ma non per questo è meno forte: anzi, mira a fare dell’Alto Adriatico un ganglio della Via della Seta, il colossale progetto di sviluppo e controllo delle infrastrutture di trasporto euroasiatiche. Pechino ha solo compreso che in Italia, diversamente da quanto fatto in Repubblica Ceca e in Grecia, è meglio muoversi con passi felpati. Ma l’Italia è cruciale per la Via della Seta, e Trieste è dichiaratamente il porto preferito dal governo cinese. E se i progetti andranno a compimento, la città dei prossimi dieci anni potrebbe essere molto diversa da quella attuale. Nel bene e nel male: sviluppo economico contro “cinesizzazione” strisciante. senza che la svolta si possa giudicare con un taglio netto. SCENARI E CONCRETEZZA Sembra uno scenario da risiko, eppure è un insieme di azioni concrete. China Merchant Group, uno dei più grandi terminalisti del mondo, riconducibile al governo di Pechino, si appresta ad acquisire la maggioranza della Piattaforma logistica del porto di Trieste dagli attuali soci (Parisi e Icop): si tratta della più grande opera in costruzione tra gli scali italiani, di fatto un enorme piazzale che, congiungendosi allo Scalo Legami, comporrà un’infrastruttura sul mare da 26 ettari. Sarà completata tra circa sei mesi e sarà decisiva per lo sviluppo del porto, giacché per uno scalo moderno gli spazi a terra sono altrettanto importanti di quelli a mare. Ma il boccone ancor più grosso è un altro: la Ferriera. Davanti a un Arvedi scorato e scocciato per la pressione alla chiusura a cui è sottoposto, e con la mediazione lungimirante di un’Autorità portuale che ben comprende la valenza strategica di quella potenziale area di scalo, tutto lascia credere che un’offerta d’acquisto da parte dei cinesi di Cmg prima o poi pioverà sul tavolo. Offerta provvidenziale: nessuno in Italia (men che meno lo Stato) avrebbe le risorse a nove zeri per bonificare e rilanciare Servola che, senza l’intervento di un colosso straniero, sarebbe destinata a rimanere un fantasma di cemento per decenni. La bonifica, la trasformazione in terminale anche ferroviario e la fusione con la Piattaforma logistica ne farebbero uno spazio portuale di dimensioni e opportunità oggi inimmaginabili. Sarebbe un bene, sarà un male? Dipende da come la città si attrezzerà. Per l’economia locale sarebbe una manna dal cielo, poiché potrebbe restituire gradualmente a Trieste la centralità dei traffici che non ha più avuto dall’inizio del Novecento. Pechino riprenderebbe quel che Vienna lasciò: è il paradosso di una città fatta grande dagli stranieri. Ma con una miriade di punti interrogativi: lo sbarco cinese in Europa, che ha per ora nella Repubblica Ceca la base strategica (con presenza massiccia nell’energia, la finanza, i trasporti), rivela che i nuovi gestori tendono a costruire e lavorare con personale cinese. Un’ipotesi da contrastare dal bel principio, con accordi chiari condotti dall’Autorità portuale. Ma è la componente culturale e sociale quella destinata a sconcertare di più, se mai un disegno siffatto si avvererà. Cmg gestisce 53 porti, tra cui quello di Atene. Ebbene non solo il Pireo, ma anche l’aeroporto Venizelos e il centro della capitale sono punteggiati da negozi, cartellonistica e pubblicità nella sola lingua cinese, del tutto incomprensibili a greci ed europei. CONSAPEVOLI DELLE PROPRIE RADICI Siamo preparati a una trasformazione del genere? Nessuno può esserlo. Contrastare i capitali stranieri sarebbe una reazione sciocca e masochista, per chi ama pensare al futuro dei propri figli qui. Abdicare alla propria identità, storia e cultura lo sarebbe altrettanto. È in questa consapevolezza di sé e delle proprie radici, se mai il risiko diventerà attuale, che Trieste potrà prosperare senza negarsi e abbruttire in una dimensione indistinta.

LE RADICI DI TRIESTE