RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

giovedì 23 febbraio 2017

SENSAZIONALI NOTIZIE SUL PORTO DI TRIESTE: TERMINALE DELLA "VIA DELLA SETA" E PROGETTO EUROPEO DI UNIFICAZIONE CON CAPODISTRIA GESTITI ENTRAMBI DA UN' AGENZIA EUROPEA INDIPENDENTE ? -


Hanno del sensazionale alcune notizie che circolano in rete riguardo i retroscena del viaggio in Cina di Mattarella e Delrio (clicca QUI e QUI).

In sintesi sono due:


1) sarebbero Trieste e Genova i due porti che il governo italiano candida a terminali della Nuova Via della Seta;

2) vi sarebbe un progetto europeo per unificare l' attività dei porti di Trieste e Capodistria sotto la direzione di una apposita agenzia europea indipendente (dagli stati nazionali) e con investimenti intorno ai tre miliardi cui potrebbe essere interessata la Cina.

Tutte e due le notizie sono diffuse da giornali considerati seri ed informati: il Meditelegraph (clicca QUI) specializzato in portualità e il quotidiano genovese Secolo XIX (clicca QUI)

Così scrive il Meditelegraph su Trieste e Capodistria:
"Il capitolo triestino è ancora più ambizioso, perché risponde alle aspirazioni europee di unificare i porti di Trieste e Capodistria, che nonostante una forte concorrenza hanno movimentato complessivamente poco più del totale della sola Spezia, ma che insieme, condividendo le infrastrutture alle loro spalle dedicate alla logistica, possono davvero diventare il porto della Germania sul Mediterraneo. Secondo gli studi, Trieste-Koper - unificata da una ferrovia di 6 chilometri - andrebbe gestita da un’agenzia europea indipendente, avendo in Divaccia il suo snodo logistico. La località del Carso sarebbe collegata con una nuova ferrovia a Monfalcone e alla stessa Capodistria, secondo un progetto da anni accarezzato dagli sloveni. Valore totale 3 miliardi, che potrebbero sollecitare l’interesse cinese. L’intesa Italia-Slovenia è da tempo sollecitata dalla commissario europeo ai Trasporti, la slovena Violeta Bulc. Progetti coraggiosi, come richiesto in Cina. Se davvero emergeranno dalla carta, si saprà in pochi giorni."


Si tratterebbe di una svolta clamorosa della storia ed anche della geopolitica: una sorta di "ombrello" europeo sui porti di Trieste e Capodistria gestiti da un' agenzia internazionale indipendente.
Per realizzare un grande terminale marittimo della Nuova Via della Seta in grado di rappresentarne lo sbocco nel Mediterraneo in concorrenza / sinergia con i grandi porti del Nord.

Inannzitutto ci vuole prudenza per comprendere quali sono le forze reali in campo e per verificare se si tratta solo di studi accademici e annunci o progetti concreti.

Si tratta, in ogni caso, di progetti che i Triestini dovrebbero accogliere con favore perchè vanno in direzione:

a) del ricollegamento di Trieste con il suo entroterra naturale dell' Europa centrale ed orientale;

b) della internazionalizzazione del Porto di Trieste;


c) della sottrazione del nostro porto alle pastoie e paludi della burocrazia e della politica italiane per affidarlo alla direzione di un' agenzia europea indipendente che non sarà il paradiso ma sarebbe certamente meglio della situazione attuale;

d) della creazione delle condizioni giuste per attrarre massicci investimenti internazionali e creare sviluppo vero e non continuare con le illusioni legate a progetti annosi e fallimentari come l' urbanizzazione di Porto Vecchio e il Parco del Mare;

e) di stendere un "ombrello protettivo" sul nostro porto anche in caso di una probabile grave crisi che divida l' Europa in aree a "diversa velocità" (con l' Italia ovviamente nel gruppo di coda); 


e) "last but not least" di unificare i due porti del TLT superando le divisioni nazionalistiche che hanno insanguinato queste terre: con Italia e Slovenia che devono fare un passo indietro rispetto al bene comune europeo (e dei nostri porti e città).
Il porto di Trieste, con il vantaggio dei Punti Franchi che possono essere usati anche per scopi produttivi ed il forte recente sviluppo dei collegamenti ferroviari che arrivano fino al Baltico, può ormai avere la robustezza per reggere una collaborazione stretta con quello di Capodistria che da anni è molto dinamico e privo di pastoie burocratico - doganali ma con linee ferroviarie ormai sature;

Sembra dunque che le condizioni geopolitiche ed economiche in rapida evoluzione creino i presupposti per il superamento della attuale situazione di grave crisi e decadenza di Trieste.


Bisogna riflettere bene e discutere a fondo per non lasciar svanire le occasioni che la storia ci offre e trovare il modo perchè, in ogni caso, non vi sia solo un aumento di traffico di merci ma anche di insediamenti produttivi e posti di lavoro veri.
Per questo è fondamentale l' utilizzo dei Punti Franchi come lo stesso presidente D' Agostino ha più volte chiarito.

Sarebbe più facile se la cittadinanza tutta potesse godere di un informazione efficiente e seria, ma purtroppo non è così e bisogna cercare di supplire tramite questi canali su internet che però non raggiungono tutti.
La questione dell' informazione è un tema cruciale per Trieste.


Inoltre non bisogna farsi prendere dall' entusiasmo e credere che la strada sia in discesa: oggi sul Sole24Ore c' è un articolo che indica chiaramente in Venezia il terminale Adriatico della "Nuova Via della Seta" e oggi al Senato si è svolto un convegno sullo stesso argomento con la partecipazione dell' attivissimo e ammanigliatissimo Paolo Costa presidente del Porto di Venezia e patron del porto Off-Shore.

Il Sindaco, i politici e la stampa di Trieste intanto si gingillano con gli aquiloni turistici, i concerti rock e le interessanti beghe e ripicche in consiglio comunale...


La pagina del Sole24Ore

lunedì 20 febbraio 2017

#ItalianiBravaGente - 80 ANNI FA I FASCISTI HANNO MASSACRATO MONACI E MIGLIAIA DI CIVILI ETIOPI UTILIZZANDO ANCHE TRUPPE MUSULMANE PER ASSASSINARE I RELIGIOSI CRISTIANI - ARTICOLO DEL CORRIERE PER L' ANNIVERSARIO -

Solo 80 anni fa i fascisti, ed i soldati italiani, si sono macchiati di una orrenda strage in Etiopia: nè la prima, nè l' ultima ma particolarmente efferata perchè colpì oltre alla popolazione civile anche religiosi indifesi.
I morti furono migliaia. 
I fascisti non esitarono ad utilizzare truppe musulmane tra cui i "feroci eviratori di Mohamed Sultan" in particolare per massacrare i monaci cristiani. 
Naturalmente tutto in dispregio alle più elementari norme di umanità e di rispetto delle convenzioni internazionali.
Anzi irridendo la "baldracca ginevrina".

Naturalmente nessuno ha mai pagato e si è continuato a diffondere, ad uso interno, il mito degli "Italiani Brava Gente" che sono stati ben conosciuti anche da queste parti e dintorni a partire dall' incendio del Hotel Balkan e proseguendo per quelli di numersi paesi...

Dieci anni dopo l' Italia dovette firmare il Trattato di Pace del 1947 che istituì il TLT ma la scarsa attitudine a rispettare le norme internazionali rimase, anche se in forme meno feroci.


Il Corriere della Sera ha pubblicato un bel articolo in occasione dell' anniversario di questa strage (clicca QUI) che riproduciamo sotto.


E Graziani massacrò i monaci etiopi

di Gian Antonio STELLA

Ottant’anni fa la feroce strage di Debrà Libanòs che seguì l’attentato contro il viceré italiano ad Addis Abeba. I responsabili di quelle atrocità non hanno mai pagato

«Feci tremare le viscere di tutto il clero, dall’Abuna all’ultimo prete o monaco», ringhiava quel macellaio di Rodolfo Graziani. Rimorsi? Zero: rivendicava anzi la strage di Debrà Libanòs, dove aveva affidato agli ascari islamici lo sterminio di tutti i preti e i diaconi del cuore della Chiesa etiope, come «titolo di giusto orgoglio». E giurava: «Mai dormito tanto tranquillo».

Sono passati ottant’anni, da quei giorni di orrore. Tutto inizia la mattina del 19 febbraio 1937. Ad Addis Abeba il viceré Graziani e le autorità italiane che da nove mesi governano un terzo del Paese e son decise a prendere il controllo del resto con ogni mezzo (compreso l’uso di 552 bombe caricate a iprite e fosgene autorizzate dal Duce, documenterà lo storico Angelo Del Boca), celebrano la nascita del primo figlio maschio di Umberto di Savoia. Improvvisamente, da un balcone raggiunto superando i controlli, piovono ed esplodono una dopo l’altra otto bombe a mano. Sette morti, decine di feriti. Tra cui Graziani, colpito da decine e decine di schegge.

La rappresaglia è immediata. E non avendo sottomano gli attentatori, fuggiti, si abbatte violentissima su chi capita. Coinvolgendo tutti i fascisti della città. «Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada», scrive nel diario il giornalista Ciro Poggiali. «Vedo un autista che, dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza, gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara e innocente». Una carneficina. Racconterà il vercellese Alfredo Godio: «Fra le macerie c’erano cumuli di cadaveri bruciacchiati. Più tardi, sulla strada per Ambò, vidi passare molti autocarri “634” sui quali erano stati accatastati, in un orribile groviglio, decine di corpi di abissini uccisi». «Per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni», ricorderà l’attore Dante Galeazzi: «In Addis Abeba, città di africani, per un pezzo non si vide più un africano».
Deciso a farla finita coi ribelli a dispetto di ogni trattato, il Duce dà ordine che «tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi». Tutti. Compreso Destà Damtù, il genero di Hailé Selassié. Che importa dello sdegno internazionale? «E nello scroscio del plotone di esecuzione echeggiò la più strafottente risata fascista in faccia al mondo», esulta la «Gazzetta del Popolo». «Schiaffone magistrale (…) sulle guance imbellettate della baldracca ginevrina». Bilancio complessivo? Migliaia di morti. Compresi «cantastorie, indovini e stregoni», rei di auspicare il ritorno del Negus: «Ho ordinato che fossero arrestati e passati per le armi. A tutt’oggi ne sono stati rastrellati ed eliminati settanta» Il peggio, però, arriva a maggio. Quando Graziani decide di inviare il generale Pietro Maletti, di cui apprezza la cieca obbedienza, a spazzare via preti, diaconi, fedeli di Debrà Libanòs, l’amatissimo monastero fondato nel XIII secolo che considera «un covo di assassini, briganti e monaci assolutamente a noi avversi»: è convinto che i due bombaroli di Addis Abeba siano passati nella fuga proprio di lì.
Se sono veri i rapporti firmati da Maletti stesso, scrive Del Boca in Italiani brava gente? (Neri Pozza), in due settimane le sue truppe «incendiavano 115.422 tucul, tre chiese, il convento di Gulteniè Ghedem Micael (dopo averne fucilato i monaci), e sterminavano 2523 arbegnuoc». Patrioti nemici dell’occupazione italiana. «Era tale il terrore che diffondeva che l’intera popolazione si dava alla macchia».
Terrore comprensibile. Per garantirsi la ferocia belluina senza crisi di coscienza tra i soldati cattolici chiamati a massacrare i cristiani di una Chiesa etiope che aveva 17 secoli, spiega Angelo del Boca, il generale rinunciò «a servirsi dei battaglioni eritrei, composti in gran parte da cristiani, e utilizzava ascari libici e somali, di fede musulmana, e soprattutto — parole sue — “i feroci eviratori della banda Mohamed Sultan”».
Il generale e i suoi macellai di fiducia circondarono il complesso la sera del 19 maggio, festa di San Michele, presero prigionieri tutti e, ricevuto l’ordine del viceré Graziani di passare per le armi «tutti i monaci indistintamente compreso il vice priore», cercarono il posto giusto per la mattanza. La scelta cadde sulla piana di Laga Wolde, ai cui limiti si inabissava un burrone. Due giorni dopo cominciò, sistematica, la decimazione. Allineati i condannati lungo il baratro, scrivono gli storici Ian L. Campbell e Degife Gabre-Tsadik, gli ascari presero un lungo telone «e lo stesero sui prigionieri come una stretta tenda, formando un cappuccio sopra la testa di ognuno di loro». Poi, la fucilazione. «E mentre un ufficiale italiano provvedeva a sparare il colpo di grazia alla testa, vicino all’orecchio, gli ascari toglievano il telone nero dai cadaveri per utilizzarlo per il successivo gruppo». Ordine eseguito, comunicò Maletti nel pomeriggio: giustiziati 297 monaci incluso il vice-priore e 23 laici. «Sono stati risparmiati i giovani diaconi, i maestri e altro personale». «Fucilate anche loro», cambiò idea tre giorni dopo Graziani. E Maletti, ligio agli ordini più infami, eseguì.
Conta finale: 449 assassinati. Numero che Campbell e Gabre-Tsadik contestano: furono tra i 1423 e i 2033. Il doppio o il triplo di quanti saranno trucidati dai nazisti a Marzabotto. Berhaneyesus Souraphiel, l’arcivescovo cattolico etiope, sospira nel docu-film di Antonello Carvigiani e Andrea Tramontano Debre Libanos, prodotto e trasmesso da TV2000, che ancor oggi certe ferite non sono ancora del tutto rimarginate. Racconta però lo storico Alberto Elli, profondo studioso della Chiesa etiope e dell’Etiopia, che il mausoleo in ricordo dell’eccidio, a novembre, non c’era più: «Dicono d’averlo tolto come gesto di riconciliazione». Un passo importante. Come fu l’anno scorso, ad Addis Abeba, la stretta di mano di Sergio Mattarella a vecchi patrioti etiopi. Era stato questo, del resto, l’appello al popolo di Hailé Selassié al suo ritorno in patria il 5 maggio 1941, a guerra ancora in corso: «Vi raccomando di accogliere in modo conveniente e di prendere in custodia tutti gli italiani che si arrenderanno con o senza le armi. Non rimproverate loro le atrocità che hanno fatto subire al nostro popolo. Mostrate loro che siete soldati che possiedono il senso dell’onore e un cuore umano». La richiesta del Negus di estradare almeno i due generali della mattanza, però, non venne mai accolta. E qualche strada italiana li onora ancora come eroi di guerra…