RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

sabato 3 dicembre 2016

L' ITALIA SI ACCORGE DEI PUNTI FRANCHI DI TRIESTE IL GIORNO PRIMA DEL REFERENDUM - 62 ANNI DOPO L' ARRIVO, E 22 ANNI DOPO CHE ERA PREVISTO PER LEGGE, IL GOVERNO ANNUNCIA L' INIZIO DELL' ITER DI APPROVAZIONE DEL REGOLAMENTO DEI PUNTI FRANCHI STABILITO DALLA LEGGE 84 DEL 1994...E' SOLO L' INIZIO DELLA PRATICA, MA SUONANO LE FANFARE ELETTORALI...


Curiosamente IL GIORNO PRIMA DEL REFERENDUM esce un articolo sul comunicato trionfale della Serracchiani sul fatto che il ministro Del Rio ha inviato all' Autorità Portuale la bozza di regolamento dei Punti Franchi del Porto, atteso da generazioni di triestini, in attuazione dell' Allegato VIII del Trattato di Pace del 1947 che fino a poco fa era considerata questione da "nostalgici"(clicca QUI).

Naturalmente tutto viene presentato come cosa già fatta, come avevano fatto due anni fa con la "sdemanializzazione" di Porto Vecchio che è ancora in alto mare, in modo da spingere a votare entusiasticamente SI al Governo Renzi, mentre si tratta solo dell' inizio di un iter come dice lo stesso Presidente dell' Autorità Portuale: " Il fatto che il ministro Del Rio abbia avviato tale procedura ci riempie di soddisfazione», ha affermato il presidente dell’Authority Zeno D’Agostino il cui ruolo cresce ulteriormente d’importanza. «Il governo ha finalmente capito dopo decenni - ha aggiunto - la valenza primaria di uno strumento .....".

E sì... sono passati decenni da quel 1954 in cui il Governo Italiano avrebbe dovuto immediatamente applicare l' Allegato VIII e sono passati decenni dal 1994 quando la legge 84 sulla portualità prevedeva l' emanazione di detti regolamenti proprio per impedire la discrezionalità delle dogane italiane che hanno spesso, se non sempre, operato violando l' Allegato VIII.

Ma non è solo la bulimia di voti per il referendum di domenica 4 che ha spinto a questo PRIMO passo, scelto con timing elettorale, che dovrà essere perfezionato per essere operativo.


L' attenzione sul Porto Franco Internazionale e l' Allegato VIII è stata imposta da un vasto movimento indipendentista e dal Coordinamento dei Lavoratori Portuali.
E dal fortunato arrivo del nuovo Presidente dell' Autorità Portuale che essendo un tecnico competente e di buona volontà ha recepito le istanze positive lavorando in silenzio per tradurle in realtà.

Esattamente il contrario dei politici che adesso squillano le trombe ed i pifferi elettorali, come il sen. Russo che esulta ma non si capisce cosa c' entri nella vignetta visto che per lui, come per Pacorini ed altri "illuminati" della sua area, i Punti Franchi erano solo un triste fardello da togliere.

Ebbene siamo convinti che questo referendum li punirà ugualmente con la vittoria del NO, perchè la gente è stufa di "politica degli annunci" e di strombazzamenti senza sostanza, e siamo convinti che il Porto Franco Internazionale di Trieste proseguirà la sua strada anche senza di loro. e certamente meglio, perchè il suo sviluppo è nell' ordine delle cose e dei grandi cambiamenti geopolitici in corso di cui la Nuova Via della Seta è un tassello importante.




PORTO VECCHIO: AL COMUNE CHIAVI E COSTI RILEVANTI DI MANUTENZIONE E ASSICURAZIONE: CON CHE SOLDI ? AUMENTERANNO LE TASSE O DIMINUIRANNO I SERVIZI ? #PDstaiSereno malgrado gli annunci la gente voterà NO.


Nuovo articolo trionfale del Piccolo sulla Saga di Porto Vecchio (clicca QUI).

Stavolta ANNUNCIA che a "soli" due anni dall' "Emendamento Russo" che avrebbe fatto miracoli per l' economia triestina si sarebbe conclusa la prima parte dell' iter burocratico per l' intestazione della proprietà al Comune, cioè ai cittadini.
Due anni in cui non solo non è stato spostato un solo mattone in Porto Vecchio ma in cui si è paralizzato anche quello che era in programma di fare: la infrastrutturazione primaria dell' area Greensisam ( primi 5 magazzini) origine del contenzioso giudiziario che bloccherà "sine die" tutta quell' area data assurdamente in concessione per ben 90 anni.


Ma prima che la proprietà venga trasferita il Consiglio Comunale deve ancora approvare ed approvare soprattutto la VARIAZIONE DI BILANCIO del Comune. 
Infatti accollarsi una proprietà vuol dire accollarsi anche i costi, ad esempio di assicurazione e manutenzione, di un' area colpevolmente abbandonata grazie al "vincolo architettonico" che ne impedisce l' utilizzo produttivo e grazie ai sogni fantaturistici di una classe politica incompetente.
Ed i costi solo di assicurazione, manutenzione e messa in sicurezza dell' area sono stratosferici: ovvero milioni all' anno anche solo per lasciarla così com'è.

Il Comune ha spesso rifiutato eredità e donazioni anche importanti accampando motivi di costi, compreso una ricca collezione di De Pisis che avrebbe potuto arricchire il museo Revoltella.

Dare Porto Vecchio al Comune è come regalare un immobile invendibile ad un barbone che non ha i soldi per pagare le tasse di proprietà.

Dove tirerà fuori i soldi il Comune (se l' operazione non verrà prima bloccata dal Consiglio

Comunale)?

Ma dai Cittadini ovviamente ! O con nuove tasse o diminuendo le spese per servizi alla cittadinanza...


Per un' area in cui non sanno che pesci pigliare, ed infatti si è penosamente arenata l' idea del Mercato del Pesce, mentre  lo studio dell' "Advisor" costato € 170.000 e fin qui noto è solo aria fritta e minestra riscaldata e le ipotesi sul tavolo sono solo idee stravaganti su un presunto "attrattore culturale transazionale "(? sic) che sarebbe in realtà solo un accorpamento di musei cittadini attualmente deserti.

Fantasie di milioni di turisti ansiosi di visitare "Musei del Mare" con al centro la mostra del Lloyd che sono andati a vedere solo 4 gatti, con annessi trenini vuoti, navi Vittorio Veneto piene di amianto da bonificare annunciate e mai viste, Ursus che continua ad arrugginire e così via fantasticando.


Noi ci auguriamo che il Comune non si faccia carico di quest' area "sdemanializzata" che comporta solo elevati costi a fronte di una evidente incapacità e totale incompetenza di utilizzo. 


Sarà necessario pensare a chi affidarla e a noi l' Autorità Portuale sembra l' unico soggetto in grado di progettarne un riutilizzo produttivo, utilizzando anche il regime di Punto Franco che saggiamente è stato lasciato sulla fascia costiera ed è nuovamente estendibile.

L' annuncio del passaggio della proprietà di Porto Vecchio al Comune, che fortunatamente non è ancora avvenuto e deve ancora passare il vaglio del Consiglio, fa parte della strategia comunicativa del PD in occasione del referendum per illudere la gente su una inesistente efficienza.
Ovvero un bombardamento di annunci, promesse e balle.
il PD stia sereno VOTEREMO NO UGUALMENTE E ANCOR  PIU' CONVINTAMENTE...






venerdì 2 dicembre 2016

FERRIERA- RENZI A CACCIA DI VOTI ANNUNCIA UN MILIARDO A TARANTO PER I DANNI DELL' ILVA MA E' FALSO: LO SBUGIARDA IL PRESIDENTE DELLA REGIONE (DEL PD) - NO AL GOVERNO DELLE FERRIERE A CARBONE ! Articolo del Huffinghton Post-


Da leggere l' articolo- intervista a Emiliano del Huffinghton Post (gruppo Espresso come il Piccolo, ma più onesto): leggi sotto o clicca QUI.

Noi pensiamo che questi comportamenti di Renzi vadano puniti e, dal momento che il Referendum di domenica è stato trasformato in un plebiscito sulla sua persona e sul suo governo oltre ad un fatto internazionale con schieramento di leader europei, manager e istituzioni finanziarie, voteremo convintamente "NO". -

Michele Emiliano all'HuffPost: "Ho scritto in Procura per il miliardo di euro promesso da Renzi per Taranto. Quei soldi non ci sono"

Presidente Michele Emiliano, il premier ha annunciato un miliardo di euro per Taranto. Ma quel miliardo c’è? 
Credo che il Premier abbia parlato solo per sentito dire… Magari dagli avvocati che stanno lavorando in questa direzione. Andiamo con ordine. La famiglia Riva è sotto processo per reati gravissimi, tra cui disastro ambientale per inquinamento dell’Ilva.
Il miliardo a cui si riferisce Renzi sarebbe frutto proprio della transazione con i Riva.
Mi lasci proseguire. Il processo sui Riva si svolge a Taranto e ora l’Ilva è sotto la gestione del governo e con il decreto del governo la fabbrica può continuare a funzionare nonostante sia nociva.
E questa è la premessa. 
Ecco, siamo al punto: fino a che il patteggiamento non viene accettato dalla Procura e poi ratificato dal Giudice terzo non esiste quel miliardo di cui parla Renzi. Se tali richieste fossero state già presentate nelle cancellerie dei giudici probabilmente ne avremmo già avuto notizia certa.
E' uscita una nota che parla di accordo tra azienda e gruppo Riva che potrà essere stipulato entro febbraio.
Appunto, "potrà". Quella nota conferma che le trattative sono in corso, ma le procure non hanno ricevuto i termini dell’accordo. Fino ad oggi si è parlato di cose che non esistono finché non saranno ratificate.
Sta dicendo che quella di Renzi è una trovata da campagna elettorale non supportata da dati di realtà?
Il premier è molto interessato, diciamo così, ai referendum e pensa che tutto quello che succede sia connesso al referendum. Ma non è così. Io invece sono interessato ai problemi della mia terra. E penso che annunciare quel miliardo come cosa fatta sia quantomento inopportuno e sgradevole soprattutto se in questo modo si vuole mettere una pezza ad una vicenda assurda ed inspiegabile come il mancato finanziamento della sanità tarantina con 50milioni di euro.
Appunto, propaganda, come le avevo chiesto.
Ciò detto, per fare chiarezza, ho appena inviato alle Procure di Taranto e Milano una richiesta per conoscere la verità. La Regione Puglia, in quanto persona offesa dai reati commessi dai Riva per i quali procede la Magistratura di Taranto, può legittimamente avanzare questa richiesta.
Aspetti presidente, mi faccia capire. Lei ha scritto alle procure per capire se c’è quel miliardo di cui parla il presidente del Consiglio? 
Ha capito benissimo.
E sono obbligate a risponderle? 
Non sono obbligate a farlo fino a che l’istanza non è formalmente presentata, ma perché il giudice ratifichi l’accordo di patteggiamento tutte le parti devono essere avvisate e possono partecipare all’udienza in camera di consiglio che lo definisce.
A che serve partecipare alla procedura di patteggiamento?
A controllare la legittimità di tutte le operazioni e soprattutto a trasmettere alla Procura ed ai Giudici l’aspettativa della Regione Puglia che il danaro sia utilizzato per decarbonizzare la fabbrica.
Decarbonizzare?
Sì decarbonizzare. Il dramma ambientale di Taranto non è l’acciaio, è il carbone che serve a produrlo almeno con gli impianti pericolosi ed obsoleti esistenti. La Puglia chiede che questi impianti siano sostituti da più moderni forni elettrici alimentati a gas (anche approfittando di 20miliardi di metri cubi che arriveranno in regione grazie al gasdotto Tap) attraverso una tecnologia denominata “preridotto” già realizzata altrove proprio da aziende italiane.
E il governo?
Vorrei ricordare al premier che la decarbonizzazione è il mantra di tutti i governi del mondo impegnati nella limitazione del riscaldamento terrestre. L’Italia sottoscrive protocolli internazionali per la eliminazione del carbone, e poi non li attua. È questo il momento di farlo, Renzi vincoli quei soldi per convertire a gas l’Ilva, l’acciaieria a carbone più grande e inquinante d’Europa.
Il ministro Calenda però dice che nessuna delle offerte di acquisto dell’Ilva comprende una totale decarbonizzazione?
Appunto, nella testa di gente come Calenda il problema non è la salute dei cittadini e soprattutto dei bambini di Taranto, ma quanto costa un sistema produttivo. Ovviamente un combustibile rozzo e pericoloso come il carbone costa meno del gas. Ma la ragione è semplice: chi vende carbone non paga i danni sociali e sanitari che questo provoca. Il sistema di produzione a gas azzera le emissioni nocive che provocano malattie e tumori e riduce ad un quarto in alcuni casi le emissioni di anidride carbonica, micidiale gas serra.
Ma se la fabbrica è fuori mercato come vuole che regga?
Abbiamo pensato anche a questo. La Puglia vuole che il governo vincoli il gas del Tap nella misura di 2miliardi di metri cubi su 20 ad un costo identico o di poco superiore a quello del carbone, per rendere competitivi i nuovi impianti tarantini. Lo sconto sul prezzo ci sembra una giusta compensazione ambientale per l’impatto del gasdotto sul nostro territorio.
Torniamo alla sua lettere alle procure? Anche questa può apparire una mossa politica verso il premier.
Nient’affatto. Non è affatto questa la mia intenzione e del resto le trattative riservate svelate dal premier sono effettivamente in corso, questo è evidente. Il problema è un altro. È mio dovere avvisare l’Autorità giudiziaria che il danaro dovuto da coloro che hanno provocato danni ambientali e sanitari devastanti deve essere utilizzato non solo per riambientalizzare la fabbrica - facendo un regalo incentivante a chi vuole comprarla - ma anche per i risarcimenti delle centinaia di parti civili del processo che hanno diritto di soddisfarsi su quelle somme al pari dello Stato e della Regione.
Ecco, la fabbrica se la comprano i privati, il miliardo e 3 è dello Stato e, quando sarà, viene investito nella fabbrica dei privati… E le parti civili restano col cerino in mano.
Tant’è. È chiaro che in questo caso ci opporremo al patteggiamento.
Ma allora dove prendere il danaro per fare i nuovi impianti che lei suggerisce nella sua proposta di decarbonizzazione?
Quel miliardo e 300milioni è utilissimo anche per la ricostruzione dello stabilimento e per la eliminazione dei parchi minerari ormai inutili se non si utilizzerà più il carbone. Ma ribadisco, se quel denaro dovesse essere utilizzato per ammodernare gli impianti esistenti lasciando intatta la alimentazione a carbone, dovremmo opporci per evitare che i reati già commessi siano proseguiti anche dopo il risarcimento dei danni da parte degli autori degli stessi.
E se non si decarbonizza la fabbrica? Sarebbe ancora a rischio di interventi da parte dei Magistrati?
Certamente, lo provano i dati epidemiologici. Con l’aggravante che avremo utilizzato i soldi che mettono definitivamente fuori dal processo i Riva per riattare impianti ancora pericolosissimi per la salute a causa del carbone.
In conclusione, Emiliano, abbiamo fatto una lunga conversazione. Ne ho ricavato l’impressione che sull’Ilva non si fida del governo. E che l’annuncio del premier ha stimolato il suo animus da magistrato.
In conclusione? Basta annunci.


Noi pensiamo che questi comportamenti di Renzi vadano puniti e, dal momento che il Referendum di domenica è stato trasformato in un plebiscito sulla sua persona e sul suo governo oltre ad un fatto internazionale con schieramento di leader europei e manager e istituzioni finanziarie, voteremo convintamente "NO".


mercoledì 30 novembre 2016

TRUMP E LA BREXIT: CONTRO LA DEFLAZIONE PIU' EFFICACI I "POPULISTI" DEI BANCHIERI CENTRALI - ARTICOLO DEL CORRIERE DELLA SERA (Fubini e Munchau) - DOMENICA SISMA ELETTORALE EUROPEO (Nostra Previsione) -



A riprova che i tempi stanno cambiando oggi sul Corriere abbiamo letto un articolo molto interessante dei commentatori economici del Corriere Federico Fubini e del Sole24Ore Wolfgang Munchau.

Parlano della deflazione che è il principale e più pericoloso problema della situazione economica attuale specialmente europea: diretta conseguenza dell' Austerity e delle imperanti teorie Neoliberiste, specialmente quelle Ordoliberiste tedesche, che assomigliano più a dottrine religiose che ad ipotesi scientifiche.

Si spiega che:

1) dopo la vittoria della Brexit e di Trump non sono avvenute le paventate catastrofi economiche ma un' evidente positiva inversione di tendenza rispetto alla deflazione che sta strangolando ancora l' Europa;

2) che la deflazione, il peggior male economico che provoca disoccupazione e miseria, è conseguenza di politiche di Austerity esattamente come è successo dopo la crisi del '29;


3) che questo provocò allora una crescita delle "forze antisistema" votate da lavoratori e ceti medi impoveriti: il problema era che queste forze erano rappresentate allora da nazismo e fascismo;

4) se non si ribalta l' attuale deflazione europea il rischio è che ci si provi, come allora, con l' aumento delle spese militari ed ovviamente con il consumo dei materiali militari ovvero con conflitti.

Il problema sembra essere quello dell' esistenza di forze politiche antisistema di salda cultura democratica in grado di assumersi la rappresentanza della rivolta di lavoratori e ceti medi improveriti dalla crisi provocata e sostenuta dalle demenziali, quando non criminali, politiche neoliberiste che hanno egemonizzato anche la sinistra di governo al grido di "ce lo chiedono i mercati".


Domenica noi prevediamo un sisma elettorale in Italia, con la vittoria del NO, e in Austria, con la vittoria di Hofer,
proprio perchè i "ceti medi", a cui si sta in questi giorni rivolgendo Renzi cercando di incutere timore di sfracelli economici e politici per innescare una reazione d' ordine, sono ormai saturi di chiacchiere e pesantememnte impoveriti. E  pertanto meno disposti a lasciarsi intimidire e ricattare con fosche e arbitrarie previsioni sul futuro: essendo il presente già sufficientemente fosco grazie alle èlite politico-economiche.


Mentre una luce si vede laddove si è deciso di svoltare rispetto ad austerity e neoliberismo, malgrado le minacce: Regno Unito e USA.


L' articolo si trova cliccando QUI e sotto ne riproponiamo il testo integrale.


TRUMP E LA BREXIT- LE LEZIONI DELLA STORIA

Si comincia a spezzare l' incantesimo della deflazione. L' impresa sfuggita a celebrati banchieri centrali potrebbe riuscire ai "populisti".

Un elemento spicca nel rumore di fondo intorno ai due grandi eventi politici di quest’anno. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti, sembra che la Brexit e l’elezione di Donald Trump abbiano improvvisamente dissolto la minaccia economica più grave di questi anni. Nei due casi, il trionfo del populismo ha improvvisamente ucciso le aspettative di deflazione o di inflazione pericolosamente bassa.

Molti esperti avevano previsto recessioni e catastrofi finanziarie se le forze anti-sistema avessero vinto ma, almeno nell’immediato, si sono sbagliati ancora una volta. Sui mercati finanziari non si è diffuso il caos.  L’economia dei Paesi coinvolti non dà segni di rallentamento. Le Borse di Londra e di New York sono salite e la curva dei rendimenti è tornata, se non di nuovo grande, perlomeno normale. I tassi d’interesse a breve termine restano molto bassi, ma ora sulle scadenze più lunghe crescono gradualmente, perché gli investitori per il futuro prevedono un’inflazione meno gracile e magari una ripresa sostenuta. Le banche sono di nuovo in grado di guadagnare nel modo più tradizionale: prendendo denaro in prestito a breve, prestandolo a più lungo termine e incassando la differenza. Non sorprende che gli indici azionari dei titoli finanziari negli Stati Uniti e in Gran Bretagna abbiano compiuto un balzo, facendo molto meglio dell’analogo indice dell’area euro.
Dunque i populisti ce l’hanno fatta. Hanno spezzato l’incantesimo della deflazione. L’impresa sfuggita a celebrati banchieri centrali e ai leader più potenti del G7, sta riuscendo senza sforzo a quei ballisti sfacciati. I banchieri centrali avevano creato migliaia di miliardi di dollari, sterline e euro, i governi avevano tentato complicate riforme «strutturali», tutto apparentemente con scarsi risultati. Poi arrivano i populisti e centrano l’obiettivo quasi senza fare nulla, se non trovarsi in testa la sera in cui si aprono le urne. E benché la storia non si ripeta mai, è difficile non avvertire assonanze con gli anni 20 e 30.
Allora come oggi uno choc finanziario aveva colpito i Paesi occidentali; all’epoca, furono il crash di Wall Street dal 1929, quindi i fallimenti del Kreditanstalt in Austria e di Danat Bank in Germania nel 1932. Allora come oggi, ne è seguita molta disoccupazione e, da parte delle autorità, reazioni di panico volte a liquidare le attività in crisi (Stati Uniti, 1930-1932) o a sopprimere i deficit di bilancio (Germania, stessi anni). Oggi la chiameremmo «austerità». A Berlino anche il centro-sinistra vi fu coinvolto; controvoglia, i socialdemocratici sostennero le misure deflattive del primo ministro centrista Heinrich Brüning, temendo che negargli l’appoggio avrebbe accelerato l’ascesa di Adolf Hitler. Accadde il contrario: la grande coalizione non fece niente per superare la crisi economica e spianò la strada al peggiore populismo.
Curiosamente, molti tedeschi hanno della loro storia una percezione diversa che ancora oggi incide sulle loro preferenze: credono che sia stata l’iperinflazione dei primi anni 20 a distruggere la Repubblica di Weimar, mentre in realtà il «Partito nazional-socialista del lavoro» di Hitler conquistò molto più consenso con l’austerità, la deflazione e la disoccupazione dei primi anni 30. Eppure, allora come oggi, alle forze anti-sistema il trucco riuscì. Spezzarono le reni alla depressione con un mix di politiche che oggi non suonerebbero inaudite. Hitler si diede subito a re-inflazionare l’economia attraverso grandi programmi di lavori pubblici finanziati in deficit, con il protezionismo e, dal ’35, con l’aumento delle spese militari. I disoccupati scesero dai sei milioni del gennaio del ’33 a 2,4 milioni di diciotto mesi più tardi.
Quanto all’Italia, il vecchio sistema politico crollò prima della Grande depressione, ma a quel punto le condizioni economiche erano simili a quella della tarda Repubblica di Weimar. Fra il 1918 e il ’22 il reddito si era contratto del 9%; la produzione di vino, tessili e acciaio era scesa a volte in doppia cifra; e malgrado l’inflazione della Grande guerra, quando i fascisti presero il controllo l’indice del costo della vita era in calo.
Le somiglianze finiscono qua, naturalmente. 
Donald Trump non è Hitler, né Mussolini. La Brexit non fa presagire le conseguenze che l’avvento del populismo ebbe sull’Europa dell’epoca. Colpisce però che le strategie per re-inflazionare l’economia oggi rischino di dimostrarsi per gli altri Paesi ciò che furono già negli anni 30: un gioco a somma zero. Il Regno Unito è riuscito fin qui a ridare fiato all’economia dopo il referendum di giugno solo esportando deflazione in Europa attraverso il crollo della sterlina. L’America di Trump potrebbe avere un impatto simile, se conferma l’impegno del presidente eletto a erodere il libero scambio con l’arma del protezionismo.
Persino il dollaro tra qualche tempo potrebbe dimostrarsi più debole di quanto pensino oggi gli investitori. Il debito pubblico crescente, deficit sempre più profondi negli scambi con il resto del mondo e l’avversione a tassi d’interesse più alti prevedibile in un costruttore indebitato come Trump, finiranno per mettere pressione sul biglietto verde. A quel punto anche l’America starà esportando deflazione verso l’Europa. L’area euro rischia di ritrovarsi con attivi giganteschi nelle partite correnti con l’estero, quote di mercato in calo in un sistema di commercio mondiale in frenata, una moneta forte e la minaccia costante della deflazione. Scommettiamo quale sarà la prossima mossa allora: come negli anni 30, un tentativo di rilancio (anche) tramite l’aumento dei bilanci della difesa. Viviamo in un mondo pericoloso.

martedì 29 novembre 2016

TERREMOTO EUROPEO IN ARRIVO - IN AUSTRIA ELEZIONI CONTEMPORANEE AL REFERENDUM ITALIANO: ATTESE FORTI RIPERCUSSIONI INTERNAZIONALI DALLA VITTORIA DI HOFER E DEL NO -


L' attenzione dei media italiani è concentrata sul referendum di domenica dove non è in gioco solo una riforma ma la tenuta stessa del Governo che amministra (male) Trieste e dell' assetto politico internazionale, europeo in particolare, già fortemente scosso dalla vittoria della Brexit e di Trump.

Sta passando in secondo piano che in Austria vi sarà contemporaneamente l' elezione del Presidente della Repubblica che con tutta probabilità sarà Hofer, dipinto dai media a tinte fosche come Trump e Farage: tutti definiti enfaticamente "ultradestra" e portatori di catastrofi sui cossidetti "mercati" (che sarebbe più realistico definire "Casinò" gestiti da colossi finanziari e bancari).

Catastrofi economiche che, in verità, non si sono viste nè con la Brexit, nè con la vittoria di Trump: anzi è avvenuto l' esatto contrario.

I media e i leader europei definiscono sprezzantemente "populismo" il fenomeno in crescita della ribellione popolare tramite lo strumento del voto dato ai partiti percepiti come "antisistema".
Noi riteniamo che sia invece il prodotto inevitabile del micidiale mix di globalizzazione di stampo neoliberista e rinuncia della Sinistra a difendere gli interessi basilari dei lavoratori, a partire dal salario e dal lavoro, resi sempre più precari proprio da una globalizzazione senza regole gestita dai grandi capitali finanziari.

C'è un bel libro che descrive come si sia arrivati a questa situazione: è di un docente di finanza dell' Università Zurigo, Marc Chesney, che affronta il tema dal punto di vista liberale e che si  intitola "Dalla Grande Guerra alla crisi permanente - L' ascesa al potere dell' aristocrazia finanziaria e lo scacco della democrazia".
Dice tra l' altro: "il settore finanziario (Finanza Casinò) è diventato estraneo allo spirito d' impresa e al liberalismo su cui afferma di basarsi", per non parlare dell' attacco frontale ai diritti dei lavoratori che la Sinistra si scorda di difendere preferendo impegnarsi solo in questioni di diritti civili (ad es. il matrimonio gay), significative ma che non incidono sulla politica economica e che sono percepite come secondarie in confronto al generale aumento delle disuguaglianze economiche e all' impoverimento che sta travolgendo anche i ceti medi.


E poi ci sono grandi meraviglie e alti pianti se i lavoratori, specialmente "nativi" che stanno subendo una violenta concorrenza diretta con le delocalizzazioni e l' importazione forzosa di mano d' opera 
a basso costo immigrata,  e indiretta coi tagli al welfare, votano per Trump e la Brexit.

Troviamo interessante l' articolo che riportiamo sotto perchè, da un altro punto di vista, sfiora questi temi riguardo le elezioni austriache di domenica prossima come indicano le seguenti frasi: " (la FPO) ha cercato di proteggere i lavoratori austriaci dall'invasione di lavoratori stranieri, specie dell'Europa dell'Est e turchi, i quali in pochissimi anni, hanno scalzato i cittadini nativi, favorendo trattamenti peggiori, perdita di identità culturale e redditi meno controllati" -"...almeno la metà degli elettori ha votato per Hofer, presentato dalla stampa come Trump o come Putin, alla stregua di un dittatore, xenofobo e omofobo. La realtà è esattamente al contrario.I partiti di sinistra sono ormai partiti succubi dell' alta finanza e pro immigrazione a priori, ignorando le esigenze popolari e dei ceti deboli (anziani, famiglie mono-reddito, disoccupati, etc.)"

Fabrizio Cannone per “la Verità” quotidiano

Pochi giorni fa, esattamente il 21 novembre 2016, si ricordavano i 100 anni dalla scomparsa dell' Imperatore Francesco Giuseppe d'Austria. Francesco Giuseppe fu tra l'altro il padre dell'ultimo imperatore asburgico, Carlo (Karl 1887-1922, beatificato da Giovanni Paolo II nel 2004), il cui esilio in Portogallo, coincise con il tramonto definitivo dell'Impero Austro -Ungarico. Francesco Giuseppe, più che per i meriti e i demeriti che ebbe da sovrano, è significativo per la forte carica simbolica che ricopre e come tale è stato ricordato anche a Roma.

La temperie culturale mitteleuropea e asburgica è stata rievocata da molti romanzi, si pensi a quelli di Joseph Roth o ai magnifici bozzetti di Adalbert Stifter, ma su tutti va segnalato il saggio Il mondo di ieri (1942) dell' austriaco di ceppo ebraico Stefan Zweig.

Quel mondo, ovvero la secolare cultura austriaca, di tradizione profondamente cattolica, alpina, conservatrice, fatta di piccoli borghi medioevali semi-autonomi, è stato in un certo senso definitivamente sepolto dalla seconda guerra mondiale, e soprattutto dalla crisi della famiglia (oggi sono più i divorzi che i matrimoni in varie regioni!) e dalla forte secolarizzazione, particolarmente aggressiva in Austria dopo la svolta conciliare (1965) e il '68.

Contro questa tendenza lunga, la destra già con Jörg Haider (1950-2008) riprese il testimone della lunga, ricca e fiera tradizione austriaca, non già per rimettere gli Asburgo sul trono o tornare alla Belle Epoque, ma per recuperare un' identità culturale e popolare, considerando che senza identità e coesione le nazioni muoiono.

In tal senso, il partito del Fpö, guidato ora da Heinz-Christian Strache (1969), e di cui l'espressione più visibile è il candidato presidente austriaco Norbert Hofer (1971) ha cercato di proteggere i lavoratori austriaci dall'invasione di lavoratori stranieri, specie dell'Europa dell'Est e turchi, i quali in pochissimi anni, hanno scalzato i cittadini nativi, favorendo trattamenti peggiori, perdita di identità culturale e redditi meno controllati.

Norbert Hofer prima di essere un politico giovane e intraprendente, è un perito aeronautico, nato in Stiria, sposato e padre di quattro figli, cattolico, malgrado il forte contrasto con la locale gerarchia ecclesiastica, in gran parte infeudata al politicamente corretto e alle tesi immigrazioniste.

Se c'era una nazione omogenea in Europa, quella era l' Austria, anche a causa della lingua di non facile assimilazione e del territorio, custodito dalle montagne e senza aperture sul mare. I partiti tradizionali austriaci, sia il partito cattolico democristiano sia il partito socialista, condivisero per lunghi decenni, una comune politica sociale a base di aiuti ai ceti meno abbienti, forte presenza dello Stato in economia e solidarietà sociale.

Ma come accaduto più o meno ovunque, le sinistre, sotto la spinta dei Verdi, del pensiero progressista mainstream e dei poteri forti, si sono piegate alla logica globalista, sostituendo la difesa dei lavoratori austriaci con la tutela degli stranieri, degli omosessuali, dell' islam, dei giovinastri ribelli viennesi.

Così si spiega il fatto che, nelle precedenti elezioni austriache (22 maggio), annullate per varie irregolarità, almeno la metà degli elettori abbia votato per Hofer, presentato dalla stampa come Trump o come Putin, alla strega di un dittatore, xenofobo e omofobo. La realtà è esattamente al contrario.

I partiti di sinistra sono ormai partiti succubi dell' alta finanza e pro immigrazione a priori, ignorando le esigenze popolari e dei ceti deboli (anziani, famiglie mono-reddito, disoccupati, etc.). Il partito di Hofer, che vuole far recuperare una certa grandeur all'Austria, ha l'obiettivo di aiutare i cittadini a sbarcare il lunario, mettendo da parte le tolleranze assurde verso delinquenti, trafficanti (di uomini e droghe) e criminali in genere.

Se Norbert Hofer vincerà le elezioni presidenziali di domenica prossima, come è accaduto recentemente negli Stati Uniti, darà una immane lezione storica ai mass media, sempre più lontani dal pensiero della gente.



Chissà se Hofer eletto Presidente si ricorderà di Trieste oltre che del Sud Tirolo ?




LA STAMPA DI SETTORE AUSTRIACA E TEDESCA PARLA DEL PORTO DI TRIESTE

domenica 27 novembre 2016

FINANZIAMENTI GOVERNATIVI PER IL PORTO OFF-SHORE DI VENEZIA ! - NEL "PATTO PER VENEZIA" DA 457 MILIONI FIRMATO DA RENZI E SINDACO SI PARLA DEL "PORTO OFF-SHORE" PROGETTATO PER TOGLIERE TRAFFICI A TRIESTE INTERCETTANDO LA" NUOVA VIA DELLA SETA" CINESE - A TRIESTE LA POLITICA DISCUTE SUGLI AGGETTIVI ADATTI A "TITO" MENTRE PERFINO A GORIZIA LAVORANO SERIAMENTE PER UNA "ZONA FRANCA" -


Come si legge sulla stampa nazionale, Corriere compreso, ma non sul Piccolo, Renzi ha firmato a Venezia insieme al sindaco Brugnaro, amicone di DIPIAZZA, il "Patto per Venezia" che vale 457 milioni di investimenti nazionali.
Nella lista c'è pure il Porto Off - Shore: l' isola artificiale progettata per intercettare i traffici della Nuova Via Della Seta" cinese altrimenti destinati per motivi geografici e di fondali a Trieste (clicca QUI e QUI per dettagli).

Il Presidente dell' Autorità Portuale di Venezia Costa e il sindaco Brugnaro giustamente esultano.
A Trieste invece i politici hanno altro da fare: scannarsi sull' aggettivo giusto per definire Tito: statista o boia ?
Questo è il problema fondamentale per i giovani disoccupati triestini!
Insieme a quello di discutere sull' accorpamento dei musei in Porto Vecchio utilizzando i 50 milioni che sarebbero stati stanziati dal Governo finalizzandoli esclusivamente a  scopi "culturali" come  il misterioso "attrattore culturale transfrontaliero"?

Perfino a Gorizia i politici locali si occupano di cose più serie promuovendo la loro Zona Franca (clicca QUI): a Trieste hanno ben altro da fare...

Insomma a Venezia 457 milioni per infrastrutture e porto: invece a Trieste, forse, 50 milioni per farne un museo.

Tutto ciò è un ulteriore buon motivo per voler mandare a casa questo governo che, purtroppo, è l' amministratore di Trieste.

Le sue politiche non sono indifferenti per Trieste, soprattutto quando sovvenziona le attività portuali di porti concorrenti ed avversari geopolitici secolari.


Il prossimo referendum sarà un occasione per dare il benservito a Renzi e non sarà solo un fatto interno italiano ma avrà conseguenze internazionali.


Far finta che l' esito del referendum non riguardi i triestini e sia solo una "questione italiana" ci pare miopia politica: avremo l' occasione per esprimere col voto se questo governo ci va bene o no: per noi è NO.


Anche se le promesse del "Patto per Venezia" risultassero alla fine solo un' operazione elettoralistica come il Ponte sullo Stretto è chiara l' indicazione di dove si concentra l' interesse nazionale italiano: non certo a Trieste.


CARI POLITICANTI TRIESTINI: VOGLIAMO PARLARE DI COSE SERIE?