RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

martedì 17 gennaio 2017

LAVORO: VIENNA DA' LA PRIORITA' AGLI AUSTRIACI - IL CANCELLIERE KERN E' SOCIALDEMOCRATICO - IL GOVERNO E' DI COALIZIONE SOCIALDEMOCRATICI + DEMOCRISTIANI: NON FASCISTI O NAZISTI..... SONO SCEMI LORO O GLI ITALIANI ?


"Il cancelliere Kern lancia il suo piano economico contro la disoccupazione: assunzioni di stranieri soltanto in assenza di manodopera nazionale" .
KERN E' SOCIALDEMOCRATICO -
IL GOVERNO E' DI COALIZIONE
SOCIALDEMOCRATICI + DEMOCRISTIANI
NON FASCISTI O NAZISTI.....
SONO SCEMI LORO O GLI ITALIANI ?
Non servono altri commenti.

Ecco l' artricolo del Piccolo oggi:
Le aziende austriache, nelle assunzioni, devono dare la precedenza ai cittadini austriaci. Gli stranieri potranno essere assunti solo in quei posti di lavoro dove non risulterà essere disponibile manodopera nazionale. È questa la strategia indicata dal cancelliere austriaco Christian Kern per combattere la disoccupazione, che in Austria è tra le più basse in Europa (5,9% a fine 2016), ma che pure preoccupa perché per il Paese è un livello record. E «i paesi europei stanno esportando la loro disoccupazione in Austria»: così ha detto Kern lanciando il suo piano economico decennale all'incontro di inizio d'anno del Partito socialdemocratico, stavolta tenutosi a Wels, ex roccaforte "rossa" ceduta alle ultime comunali del 2015 a un sindaco della destra liberalnazionale. Quello di Kern è stato una specie di "discorso alla nazione", in cui ha delineato gli obiettivi dell'Austria nei prossimi dieci anni: a cominciare dalla creazione di 200.000 posti di lavoro (i disoccupati oggi sono 471.000), alla definizione di un reddito minimo a 1.500 euro al mese, al miglioramento dell'assistenza sanitaria pubblica estesa anche ai lavoratori autonomi, al contenimento dell'immigrazione. Tanti i temi trattati, ma quello che ha colpito di più è stato lo stop ai lavoratori stranieri, che ricorda da vicino uno dei motivi che hanno spinto i britannici a votare per la Brexit e che è uno dei cavalli di battaglia di Donald Trump. Anche l'Austria, dunque, sulla stessa china di chi vorrebbe erigere nuove barriere in Europa? E se lo fa l'Austria, altri seguiranno? La proposta è stata criticata dai maggiori esperti dell'economia austriaca, da Helmut Hofer, ricercatore per il mercato del lavoro dell'Ihs (Istituto di studi superiori) a Bernhard Felderer, già direttore dello stesso istituto. Il primo rilievo riguarda il fatto che la proposta è in contrasto con una delle libertà fondamentali dell'Ue, quella della libera circolazione delle persone. Ma gli analisti austriaci esprimono critiche anche nel merito: allontanare gli stranieri significherebbe tornare indietro agli anni '70, perché anche altri Stati potrebbero fare lo stesso, con danno per tutti (compresi i 49.000 austriaci che lavorano all'estero). Senza contare poi le difficoltà burocratiche di un'azienda per dimostrare che può assumere lavoratori stranieri, non avendone trovati in Austria. La proposta lanciata da Kern, tuttavia, è meno banale di quanto possa sembrare a prima vista. Essa è rivolta nei confronti di quei Paesi dove il reddito medio del lavoro non raggiunge l'80% di quello austriaco. Chi viene a lavorare in Austria riceve uno stipendio "austriaco", ma i contributi previdenziali sono quelli del Paese di provenienza, che possono essere molto più bassi e quindi molto più "competitivi". È a questa concorrenza sleale che Kern intende dire no. In concreto, attualmente in Austria lavorano 109.000 stranieri, di cui il 30% sono sloveni, 29% tedeschi, 15% ungheresi. Sono soltanto questi ultimi che, secondo il ragionamento di Kern, potrebbero rappresentare una concorrenza sleale, perché in Ungheria i contributi sociali sono di gran lunga inferiori. Non certamente i tedeschi e neppure gli italiani, che non compaiono nelle statistiche, essendo il loro numero in Austria molto limitato. Il messaggio di Christian Kern al popolo socialdemocratico era molto pomposo, perché doveva fare effetto, ma era pensato soltanto per i cittadini dell'Est Europa. 

lunedì 16 gennaio 2017

TRUMP SORPASSA A SINISTRA LE ARROGANTI ÉLITE LIBERALI - Un interessante articolo del noto filosofo di Lubiana Slavoj Žižek


Un interessante contributo al dibattito internazionale.


Riproduciamo integralmente l' articolo del filosofo di Lubiana Slavoj Žižek pubblicato oggi sul Corriere della Sera.


TRUMP SORPASSA A SINISTRA LE ARROGANTI ÉLITE LIBERALI

La destra americana conservatrice, religiosa e anti immigrazione è l’unica forza a proporre ingenti trasferimenti sociali e a sostenere seriamente i lavoratori


Il filosofo Slavoj Žižek interverrà a «C17», la conferenza di Roma sul comunismo dal 18 al 22 gennaio, presso Esc Atelier e la Galleria Nazionale. Il programma è disponibile su www.communism17.org

Come escogitare politiche su larga scala, di fronte alle questioni cruciali del mondo di oggi, dall’ecologia alla biogenetica al capitalismo finanziario? È chiaro che abbiamo bisogno di reinventare ampi meccanismi di controllo transnazionali ed efficaci meccanismi d’intervento, di superare l’ossessione della sinistra per l’autorganizzazione locale e la relazione diretta con la base in direzione di una più efficiente e ampia organizzazione a livello statale e sovrastatale.
Perché questo è così determinante oggi? Perché la scelta è oggi sempre meno quella fra il sogno liberaldemocratico di Fukuyama da un lato e il comunismo dall’altro. (Per inciso, e lo so da lui stesso, sapete che neppure Fukuyama è più fukuyamista? Con il nuovo stato di cose — le folli conseguenze dell’eccessiva indipendenza del capitale finanziario, le catastrofi ecologiche ecc. —, ha abbandonato la sua tesi della realizzabilità del sogno liberaldemocratico). Credo sia questa la lezione da trarre dalla grande esplosione di populismi cui stiamo assistendo. Non solo Trump, ma la Brexit e Marine Le Pen, fino al partito conservatore e nazionalista di Kaczynski in Polonia, attualmente al governo. È evidente che il loro spazio è stato aperto dal fallimento delle sinistre: intendendo ora per sinistra i residui della socialdemocrazia, la sinistra istituzionale, o la sinistra liberale, che forse non dovremmo neppure chiamare sinistra.
Questo è chiaramente avvenuto negli Stati Uniti. Donald Trump è un sintomo di Hillary Clinton, nel senso che l’incapacità del partito democratico di svoltare a sinistra ha creato lo spazio occupato da Trump. Non voglio innalzare Bernie Sanders a comunista, ma è chiaro che le classi inferiori hanno espresso, sostenendolo, un’autentica insoddisfazione popolare che in seguito l’establishment della sinistra liberale non è stato in grado di incorporare e che si è dunque rincanalato verso la destra populista. E non accade solo negli Stati Uniti. Per me, l’esempio forse più tragico, lo accennavo, è quello della Polonia. Il partito Diritto e Giustizia di Jarosław Kaczynski. Nell’ultimo anno, il governo ha abbassato l’età pensionabile, avviato enormi trasferimenti sociali, ad esempio alle madri, reso più accessibili istruzione e cure mediche. Per i lavoratori hanno fatto più di ogni governo di sinistra. A questo si accompagna chiaramente il loro razzismo e nazionalismo. E Marine Le Pen promette che in Francia farà lo stesso.
Persino in Trump si trovano elementi di questa pseudosinistra protofascista. Trump promette negli Usa quel che nessuno, a sinistra, si sognerebbe di proporre: mille miliardi di dollari di grandi lavori pubblici per aumentare l’impiego, e così via. Non è questo l’estremo paradosso, che emerga gradualmente questa nuova polarità? La sinistra liberale ufficiale è la migliore esecutrice delle politiche di austerità, anche se conserva il suo carattere progressista nelle nuove lotte sociali antirazziste e antisessiste; dall’altra parte, la destra conservatrice, religiosa e antiimmigrazione è l’unica forza politica a proporre ingenti trasferimenti sociali e a sostenere seriamente i lavoratori. Si tratta di una situazione incredibile. Per fare un minimo di politica di sinistra, per lo meno in un senso tradizionale, bisogna essere nazionalisti di destra, e per perseguire le politiche di austerità bisogna essere moderati di sinistra.
Credo che negli Stati Uniti questa arrogante decadenza della sinistra sia esemplificata al meglio da un fenomeno che si direbbe marginale, ma che io ritengo sintomatico: l’estrema popolarità fra le élite intellettuali del nuovo genere televisivo che mescola il talk show e il commento politico con l’umorismo, dal Daily Show di Jon Stewart a John Oliver. In pratica, quel che fanno è prendersi gioco della gente comune, dei populisti. Invece di confrontarsi con i problemi reali, non fanno che incarnare l’arroganza delle élite liberali. Negli Stati Uniti si verifica questa folle configurazione: la povera gente vota, in gran parte, per Trump e gli straricchi, e la sinistra liberale ufficiale li umilia facendosi beffe della loro idiozia.
Qual è la conclusione che possiamo trarre da questa situazione così assurda e convulsa? Dovremmo abbandonare il sogno comunista? Dovremmo lasciare un’altra possibilità al «fukuyamismo di sinistra»? No. Proprio poiché la recente esplosione del populismo di destra è il sintomo dei fallimenti della sinistra liberale odierna, il nostro compito non può limitarsi a combattere Trump e Le Pen. Se lo facessimo, perseguiremmo quella che in medicina si chiama «remissione sintomatica»: sei ammalato, l’effetto è che provi dolore, prendi gli antidolorifici ma la malattia è sempre lì. Le critiche a Trump non sono che cure sintomatiche: il vero compito è analizzare che cosa non ha funzionato nella sinistra moderata e liberale. Siamo noi a dover cambiare, noi che ancora ci consideriamo di sinistra. Dobbiamo noi trovare il modo di rivolgerci ai lavoratori, superando la political correctness. È questa la nostra tragedia ma allo stesso tempo la nostra speranza. Tutta questa confusione esige chiaramente la reinvenzione del comunismo. Quali sono le nostre più gravi crisi, oggi? L’ecologia, che è un problema di beni comuni, sotto minaccia. La crisi finanziaria riguarda anch’essa i beni comuni. La proprietà intellettuale concerne i beni comuni simbolici. La biogenetica riguarda i nostri commons genetici: chi li controllerà, chi ne dirigerà gli sviluppi? E la crisi dei rifugiati mette in gioco gli elementari beni comuni dell’umanità in sé stessa.
In secondo luogo, dobbiamo superare la logica eroica dello Stato-nazione. Come troviamo anche in Hegel, l’estremo sviluppo dell’idea dell’eroismo patriottico è la guerra. Questa per me è l’essenza del comunismo: superare lo Statonazione e la logica del mercato e reinventare nuovi beni comuni. Per noi tutti, si tratta chiaramente di una questione di sopravvivenza.
Slavoj Žižek
(Traduzione Vincenzo Ostuni)
Corriere della Sera 16/1/2017  pag.26

"GUERRA DEI PORTI", titola il Corriere della Sera - VENEZIA ATTACCA TRIESTE - VUOLE ESSERE IL TERMINAL DELLA "NUOVA VIA DELLA SETA" MA NON HA I FONDALI: ALLORA DIFFAMA IL "PORTO FRANCO DI TRIESTE" E VUOLE IL PORTO OFF-SHORE DA 5 MILIARDI - UN CONVEGNO DI LIMES SARA' OCCASIONE DI DISCUTERE FINALMENTE QUESTIONI STRATEGICHE PER LA NOSTRA CITTA'.


Paolo Costa, presidente in scadenza dell' Autorità Portuale di Venezia ed ex ministro dei Lavori Pubblici (governo Prodi), si è lasciato andare a pesanti attacchi al Porto Franco Internazionale di Trieste, secondo lui assistito e incapace di reggersi da solo.
Vedi il VIDEO DICHIARAZIONI COSTA E D'AGOSTINO - clicca QUI.

Oggi sono uscite anche  diverse pagine del Corriere della Sera sulla "Guerra dei Porti" nell' Alto Adriatico.


La posta in gioco è il Terminal nell' Alto Adriatico della "Nuova Via della Seta " marittima, il gigantesco progetto strategico in cui la Cina investe 140 miliardi di dollari per sviluppare i traffici commerciali con l' Europa.

La Cina ormai è la seconda potenza mondiale e si è lanciata sui mercati internazionali come dimostra anche la partecipazione del Presidente Xi Jinping al summit  economico / strategico di Davos.


Il presidente del Porto di Venezia, che è in una laguna con bassi fondali inadeguati, ha avuto l' idea di un' isola artificiale al largo: un progetto costosissimo ed inefficente da realizzarsi con soldi pubblici ma appoggiato dai politici ingolositi dai guadagni fatti con il Mose ed altre grandi opere.


Un progetto appoggiato a spada tratta dal sindaco di Venezia Brugnaro,
grande amico di Dipiazza che rischia di essere considerato analogamente ai partecipanti alla "Congiura dei Ranfi": la casata di Triestini esiliata per il suo progetto di sottomissione di Trieste a Venezia.

Ecco lo scopo della campagna lanciata da Paolo Costa contro il Porto Franco Iternazionale di Trieste: screditare il nostro porto agli occhi di compagnie di shipping e investitori, soprattutto orientali.

Ha prontamente risposto il Presidente dell' Autorità Portuale triestina D'Agostino, sia in TV che sul Corriere ricordando le antiche origini dello status di Porto Franco ed il buon lavoro svolto con investimenti privati.


Su questi importanti temi ed articoli ritorneremo perchè è necessario che a Trieste si cominci a discutere di strategie di lungo respiro per lo sviluppo dell' economia e della vita della città uscendo dalle secche del piccolo cabotaggio locale.

Trieste merita qualcosa di più dei Musei in Porto Vecchio.


Il convegno del neocostituito Limes Club Trieste sulla "Nuova Via della Seta"  potrà essere un' occasione per iniziare una discussione pubblica costruttiva e un momento di unione tra tutti i Triestini di buona volontà disposti ad impegnarsi per dare un futuro alla nostra città e ai nostri figli.