RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

sabato 19 novembre 2016

RASSEGNA GEOPOLITICA SETTIMANA 13-19 NOVEMBRE -


Il mondo attorno a Trump
In settimana, il mondo e gli Stati Uniti hanno iniziato a prendere le misure a Donald Trump.
A livello interno, il presidente eletto ha effettuato le prime nomine – spie della battaglia per l’anima del Partito repubblicano – e sta cercando di arruolare manodopera burocratica senza cadere ostaggio dell’odiato establishment e delle lobby. Proposito quasi utopico, essendo queste due élite di fatto le uniche in grado di riempire i quadri intermedi dell’amministrazione.
Sul fronte estero, si è sentito al telefono con Putin e Xi e ha incontrato il primo leader straniero, il premier giapponese Shinzo Abe. Tokyo è molto preoccupata della retorica che ha portato il candidato repubblicano al successo elettorale, soprattutto dei commenti sulla necessità per il Giappone di aumentare il contributo finanziario all’ombrello di protezione Usa.
Le esternazioni trumpiane rischiano tuttavia di accordarsi in parte ai timori della comunità strategica Usa nei confronti dell’arcipelago del Sol Levante. Ne ha scritto Dario Fabbri:
Da sempre Washington considera Tokyo un avversario strategico.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento al dipartimento della Guerra si discuteva apertamente di una possibile invasione nipponica della California (era il tempo del cosiddetto yellow peril) e nel 1898 gli Stati Uniti strapparono le Filippine alla Spagna proprio per tranciare la linea di rifornimento del Giappone.
Privato dell’accesso al petrolio, nel 1941 l’imperatore Hirohito ordinò l’attacco contro Pearl Harbor che trascinò gli americani nella seconda guerra mondiale.
Il Giappone resta oggi una potenza assai capace e fragile, come ogni paese che dipende totalmente dall’importazione di materie prime e dall’esportazione dei propri prodotti.
Dotato di superiore expertise marinara rispetto ai suoi vicini (Cina compresa), è in grado di aggiudicarsi qualsiasi conflitto regionale, a patto che le ostilità rimangano circoscritte nel tempo, e in caso di percepito pericolo potrebbe muovere alla temporanea annessione delle vie marittime contese nel Mar Cinese Meridionale e nel Mar Cinese Orientale, escludendo gli Stati Uniti e generando un conflitto di notevole intensità con le potenze rivierasche.
[…] Non a caso la percezione del Giappone quale potenziale antagonista è presente in ogni esternazione di Donald Trump, che puntualmente indica Pechino e Tokyo quali (truffaldini) rivali della superpotenza.
A tenere banco in settimana, soprattutto in funzione anticinese, è stata però l’agenda commerciale, come ha scritto Fabrizio Maronta:
Nell’intento di trasferire alla pratica di governo l’istantaneità dei tweet che hanno dettato toni e temi della campagna, la squadra del neoeletto presidente ha fissato il traguardo del primo giorno alla Casa Bianca: aprire un processo di revisione del Nafta, il trattato di libero scambio nordamericano con Canada e Messico.
Nel frattempo l’amministrazione promette di brandire il dossier cinese, arrivando a stabilire entro il centesimo giorno se Pechino è etichettabile come “manipolatore di valuta” (paese che pratica cioè svalutazioni competitive) ai sensi della normativa interna e internazionale (Wto), affinché il Congresso – su istanza del dipartimento del Tesoro e dello stesso presidente – possa imporle ritorsioni commerciali.
Altri cento giorni e Trump dovrebbe decidere se il Nafta può essere emendato in termini più favorevoli all’America (o meglio alla sua base elettorale, che reclama gli impieghi delocalizzati oltre il Rio Grande), oppure se è il caso di denunciare l’accordo e porvi unilateralmente fine.

Il fronte del Venezuela [di Niccolò Locatelli]
Mentre la vicina Colombia raggiunge un nuovo accordo di pace con la guerriglia delle Farc (che il presidente Santos non vuole sottoporre a un nuovo referendum), il “dialogo” in Venezuela fa tanti passi avanti quanti passi indietro fa l’opposizione.
Nella risoluzione emessa al termine della riunione del 12 novembre è scomparsa ogni menzione al referendum revocatorio del presidente Maduro e alle elezioni regionali, le quali rimangono congelate per decisione incostituzionale governativa.
Nei giorni successivi, mentre l’esecutivo violava ancora la Costituzione prorogando per la quinta volta il decreto di emergenza economica (garantendosi fondi aggiuntivi) senza consultare il parlamento, unico organo controllato dall’opposizione, quest’ultima compiva diligentemente uno dei punti dell’accordo: i tre deputati dello Stato di Amazonas, cruciali per garantire al fronte anti-chavista una supermaggioranza che permetterebbe la convocazione di un’assemblea costituente e la revoca dei magistrati della Corte Suprema, si sono dimessi per permettere una nuova elezione.
Sinora la mediazione del Vaticano e di Unasur è una benedizione per il governo, che – senza “fare nulla” in cambio, come riconosce il portavoce del fronte anti-chavista – ha ottenuto un calo della tensione e importanti concessioni da un’opposizione che inizia a spaccarsi sul senso stesso di questo dialogo.
Una vittoria tattica, dato che i problemi economici del paese non sono scomparsi. Ma tanto basta, per ora, a tenere in ballo Maduro.

Il Kosovo jihadista [di Luca Susic]
Nel corso di una serie di operazioni di polizia iniziate lo scorso 5 novembre, le autorità del Kosovo hanno arrestato 19 persone (18 locali e un cittadino macedone) sospettate di aver pianificato attacchi terroristici sul territorio dell’ex provincia autonoma serba e dell’Albania.
I 19 sono inoltre accusati di essersi avvalsi dei servigi di Lavrim Muhaxheri, il jihadista balcanico più famoso, apparso in diversi video propagandistici e in contatto con alcuni estremisti di etnia albanese residenti in Italia e arrestati dalle nostre autorità nel corso del 2015.
Secondo alcune fonti, in particolare, gli aspiranti jihadisti avevano intenzione di colpire la nazionale israeliana di calcio e i suoi tifosi che si erano recati a Tirana per una partita di qualificazione ai Mondiali del 2018, oltre che non precisati obiettivi in territorio kosovaro.
L’incontro di calcio si sarebbe dovuto tenere a Scutari, ma è stato spostato ad Elbasan per motivi di sicurezza in seguito ai primi fermi e all’intervento dei servizi segreti dello Stato ebraico che avevano messo in guardia i propri connazionali dei rischi.
Il successo dell’operazione rappresenta un’ottima pubblicità per le autorità kosovare, da anni accusate di far poco o nulla per fermare l’avanzata dell’estremismo islamico che, grazie anche agli investimenti esteri e ai legami con altri gruppi eversivi locali, in pochi anni è riuscito ad acquisire forza e proseliti.

La Russia e i social network [di Luca Mainoldi]
La decisione di bloccare (si spera temporaneamente) LinkedIn in Russia sembra essere un avvertimento del Cremlino ai giganti statunitensi del Web, i cosiddetti Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), di conformarsi alla legge approvata dalla Duma nel 2014 ed entrata in vigore nel 2015, che impone lo stoccaggio dei dati degli utenti russi in server collocati fisicamente sul suolo della Federazione Russa.
Il pretesto di questa norma è quello di difendere i dati dei cittadini russi dallo spionaggio americano, ma in questo modo gli organi di sicurezza russi vedono rafforzati i propri poteri di controllo sul Web. Si ricordi che già ora gli internet service provider russi sono obbligati a installare nei loro server delle “scatole nere” del sistema Sorm (sistema delle misure delle ricerche pperative), ora utilizzato dall’Fsb e la cui genesi risale al Kgb sovietico.
I giganti americani saranno probabilmente costretti a piegarsi al diktat del Cremlino. Microsoft, che è in procinto d’acquistare LinkedIn, lo sta già facendo. Nel frattempo un oligarca vicino al Cremlino ha preso il controllo di  VKontakte (Vk), il “Facebook russo”.
Sbaglia però chi vede questa mossa come un segnale di forza. La creazione di una guardia nazionale che risponde direttamente al Cremlino, la riorganizzazione dei servizi segreti (che dovrebbero essere riuniti in un’unica entità, l’Mgb) e ora l’annuncio di un giro di vite sul Web sembrano segnali di debolezza di un potere che teme le elezioni presidenziali del 2018.

Le elezioni in Moldova e Bulgaria
La settimana si è aperta con la vittoria alle elezioni presidenziali di candidati descritti come filorussi in due paesi dell’Est Europa.
È sicuramente il caso della Moldova, dove nell’affermazione di Igor Dodon ha svolto un ruolo determinante la regione separatista della Transnistria, come ha scritto Mirko Mussetti:
Gli elettori transnistriani simpatizzanti di Dodon sono stati accompagnati in modo organizzato con il placet di Tiraspol nelle sezioni di voto a ovest del fiume Nistru; qui, a differenza degli studenti moldavi, potevano recarsi a votare in più di una località semplicemente dichiarando che non avrebbero espresso più di un voto.
Per la prima volta nella sua storia, Tiraspol interviene direttamente in una campagna elettorale moldava: un utile esperimento in vista delle probabili elezioni parlamentari anticipate. Chișinău non potrà ricambiare con la stessa moneta alle elezioni presidenziali transnistriane del prossimo 11 dicembre: il sistema transnistriano è chiuso e controllato.
Per Mosca la vittoria di Dodon è manna dal cielo: non solo rappresenta un passo preliminare per allontanare il piccolo paese associato dell’Ue dall’orbita della Nato, ma può bloccare il tentativo di Chișinău di far ritirare le truppe russe dalla regione separatista. Nel frattempo, Kiev ha richiamato in Ucraina il proprio ambasciatore.

La vittoria di Radev in Bulgaria, invece, non può essere classificata come un successo filorusso e antiatlantista, spiega Anna Miykova:
La Russia potrà sicuramente beneficiare di una retorica più positiva rispetto a quella accusatoria dell’attuale presidente Plevneliev, convinto sostenitore della causa euro-atlantica da contrapporre all’aggressività di Mosca. Ma nella sostanza non cambierà molto.
È presumibile che l’ex Generale, da brillante allievo dell’Air War College di Montgomery, si serva delle qualifiche acquisite in Occidente per proporre una visione pragmatica dell’interesse nazionale, in equilibrio tra la fedeltà alla Nato e all’Ue e un riavvicinamento alla Russia.
Si esclude che Radev possa disattendere gli impegni assunti dalla Bulgaria nell’Alleanza atlantica, come il dislocamento di una Brigata internazionale in Romania o la concessione agli Stati Uniti – risalente al 2006 – di alcune basi militari. […]
Le dichiarazioni di Radev sulla necessità di “formare la nostra politica a Sofia e avere la dignità di difenderla al di fuori dei confini” denotano un atteggiamento che potrebbe spingere il paese a ridefinire alcune sue posizioni all’interno della Nato e dell’Ue (il neopresidente ha criticato le quote migranti e invitato a ridiscutere gli accordi di Dublino).

Anniversari geopolitici del 18 novembre
1626 – Viene consacrata la Basilica di San Pietro in Vaticano.
1916 – Prima Guerra Mondiale: finisce la battaglia della Somme.
1918 – La Lettonia dichiara l’indipendenza dalla Russia.
1976 – Il parlamento spagnolo approva una legge che inaugura la transizione dal franchismo alla democrazia.


DEDICATO A FRANCESCO GIUSEPPE IL "LIBRO DELL' ANNO" DELLA TRECCANI - LO STORICO FRANCO CARDINI: " FRANCESCO GIUSEPPE ODIAVA LE GUERRE"




A un secolo dalla morte di Francesco Giuseppe, avvenuta al Castello di Schönbrunn il 21 novembre 1916, il “Libro dell’anno 2016”dell’Enciclopedia Treccani, dedica all’imperatore d’Austria un approfondimento firmato dallo storico Franco Cardini: “Francesco Giuseppe e le guerre mai volute”.
Franco Cardini è storico illustre, specializzato nel Medioevo e storia della Cavalleria, attento osservatore delle questioni Mediorientali ed autore del libro "la scintilla" sulla responsabilità della "guerra di Libia "che l' Italia mosse nel 1911 all' Impero Ottomano nel provocare l' "effetto domino" della destabilizzazione mondiale.

Ne anticipiamo un ampio stralcio, pubblicato anche sul Piccolo, per gentile concessione dell' autore.


Francesco Giuseppe odiava le guerre 
 di FRANCO CARDINI
 L ’imperatore si spense dolcemente alle 9 e 5 minuti di quella sera, il 21 novembre del 1916. Le procedure di preparazione della salma e di imbalsamazione andarono per le lunghe e furono condotte in modo alquanto maldestro. Solo 10 giorni dopo, il 30, si presentò dinanzi alla porta della Kapuzinergruft di Vienna. Gelido, disfatto a causa dell’imbalsamazione mal riuscita, chiuso nella sua candida alta uniforme, invisibile a tutti. Bussarono per lui alla porta, una volta. Alla domanda del padre guardiano all’interno, chi fosse a chiedere ultimo asilo, risposero per lui secondo il rito: Sua Maestà Cesarea il Kaiser Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, re apostolico d’Ungheria, re di Boemia, di Dalmazia, di Croazia, di Slavonia, di Galizia, di Lodomiria e d’Illiria, re di Gerusalemme, arciduca d’Austria, granduca di Toscana eccetera. Non lo conosciamo, si senti rispondere da dentro.
Secondo appello: chi bussa? Francesco Giuseppe, semplicemente. Identica risposta: ancora una volta, come il perentorio Zuruck! che respinge il principe Tamino alle soglie del Tempio della Saggezza nel secondo atto della “Zauberflote” di Mozart. 
Terzo appello. Chi bussa ancora? Ein armer Sunder, un povero peccatore. Quello, Dio lo conosceva: e anche i fedeli frati custodi della cripta di famiglia degli Asburgo. La porta si apri ed egli potè scendere a riposare con i suoi avi e con la sua Sissi. Intanto, sui campi di battaglia, l’Europa stava agonizzando. Francesco Giuseppe morì in buona compagnia. Con lei. Quell’uniforme candida nella quale ormai avrebbe riposato per sempre era forse la stessa con la quale poco più di due anni prima, nel fatale 1914, egli aveva seguito a piedi, ottantaquattrenne, la processione del Corpus Domini nella sua capitale. Quel gesto di regale umiltà - uno dei tantissimi dei quali era capace - aveva commosso profondamente Papa Pio X, ch’era nato nel Veneto ancora sotto il suo regno e che non dimenticava mai di pregare per il •”suo” imperatore. Ma pochi giorni dopo, il 28 giugno, c’era stata la tragedia di Sarajevo: e tutto era precipitato. Non l’aveva voluta, quella guerra. E anche delle tre che prima di quella gli era toccato di vedere -nel ’48, nel •’59, nel ’66 - non ne aveva voluta nessuna. 
Aveva trascorso la vita intera in uniforme, come si conveniva al•”primo funzionario dello Stato”, com’era fiero di definirsi: ma era, e sempre rimase, un uomo di pace. 
Già all’indomani dell’annessione della Bosnia-Erzegovina, mentre ormai si stavano presentando - nell’Austrungheria e non solo - le prime spinte oltranzistiche, aveva quasi aggredito il nipote e successore designato al trono, l’arciduca Francesco Ferdinando, con queste parole: •«Hai mai visto la guerra, tu? No! Ma io l’ho vista, e perciò ti dico che prima di avventurarcisi bisogna rifletterci ancora tanto a lungo fino a trovare un mezzo per evitarla». E alla figlia Maria Valeria, una delle poche persone con cui amasse confidarsi, aveva dichiarato una volta che è sempre difficile trovare delle ragioni per fare una guerra, anche perché in realta non ce ne sono mai. 
Alla notizia della morte del nipote Francesco Ferdinando nell’attentato di Sarajevo, l’imperatore non apparve in fondo né troppo scosso né eccessivamente addolorato; anzi, dalle sue immediate dichiarazioni pare quasi di capire ch’egli pensasse che le cose avevano avuto il loro necessario esito. 
Tutto era andato, dal ’67 in poi, contro la volontà di Dio che gli aveva affidato i suoi popoli: era stato solo nel nome e in vista della sopravvivenza della monarchia che egli aveva dovuto accettare contro la propria coscienza tanto l’Ausgleich austroungarica prima quanto il sistema costituzionale poi. 
Ma la prospettiva presentatagli dall’arciduca Francesco Ferdinando, quella di una nuova riforma che aggregasse anche gli slavi, doveva sembrargli in realtà eccessiva e intollerabile. Certo, egli non avrebbe mai potuto opporsi: ma era accaduto che, proprio per mano di uno slavo, ci aveva pensato la Provvidenza. 
All’indomani dell’attentato l’imperatore si schierò con il primo ministro, l’ungherese Istvan Tisza, dichiarandosi contrario a qualsiasi tipo di azione di rappresaglia contro la Serbia: anche perché essa avrebbe comportato con ogni probabilità un intervento russo e quindi una guerra di più ampie e terribili proporzioni. Ma tutti gli altri ministri, a cominciare da quello degli esteri Leopold Berchtold, erano dell’avviso che ai serbi si dovesse impartire una lezione indimenticabile. Nel medesimo giorno dell’inizio della guerra contro la Serbia, l’imperatore firmò un proclama diretto a tutti i suoi popoli: «Sarebbe stato il mio più ardente desiderio dedicare gli anni che ancora mi sono concessi a opere di pace e a risparmiare ai miei popoli i pesanti sacrifici e gli oneri della guerra. La Provvidenza ha deciso altrimenti. Le macchinazioni di un avversario pieno di odio mi costringono a impugnare la spada per tutelare l’onore della mia monarchia, per difendere il suo prestigio e la sua posizione politica, per assicurarne la stabilità dopo tanti anni di pace». E se all’immediata vigilia del conflitto il sovrano era sembrato preso da una sorta di abulico fatalismo, come se tutti i suoi 84 anni gli fossero arrivati addosso d’un balzo, ora egli sembrava, se non rinvigorito, per lo meno divenuto più lucido e determinato, quasi più sereno: era come se ormai solo la guerra lo interessasse; era come se la sua stessa tarda età lo facesse sentire già fuori dalla vita e che, senza passato e senza futuro, solo il giudizio immediato delle armi avesse conservato per lui un qualche valore. 
Intanto, la guerra stava al di là della sua volontà valorizzando l’elemento germanico in un’Austria che si andava sempre più appoggiando alla fraterna potenza vicina; e se gli ungheresi restavano fedeli, gli slavi davano segni di volersene andare. [...]
lo storico Franco Cardini

venerdì 18 novembre 2016

- AL REFERENDUM VOTATE "SI" PER RENZI ! - IL RICATTO DI BANCHIERI E "MERCATI" - CON LA SCUSA DEI "MERCATI" CI HANNO RIFILATO LE PEGGIORI FREGATURE: DALLA FORNERO ALL' AUMENTO DELLE TASSE, AL JOB ACT -


Che Renzi sia ammanigliato con le banche non è una novità, che la Boschi sia figlia di banchieri falliti (Banca Etruria) nemmeno, ma pochi si aspettavano che a pochi giorni dal Referendum costituzionale del 4 dicembre Bankitalia scendesse in campo minacciando sfracelli in caso di vittoria del NO, facendo una marchetta per il governo.

Va bene che il SI è appoggiato da tutto il sistema finanziario, da Goldman Sachs a JP Morgan a Monte Paschi, dai leader della UE, da Obama, Merkel, Juncker ecc. ma minacciare tracolli finanziari è puro terrorismo.

La Brexit doveva essere una catastrofe per la Gran Bretagna ma la sua economia va a gonfie vele e il tasso di disoccupazione è il più basso da decenni, la vittoria di Trump addirittura una Apocalisse ma il dollaro si sta rafforzando e le previsioni economiche sono positive, compreso quelle del FMI.

Adesso arrivano le minacce di Banche (pochi sanno che Bankitalia è privata e partecipata dalle altre banche private come la stessa BCE) e Mercati che hanno ovunque imposto un peggioramento drastico per le popolazioni per salvaguardare i propri crediti e farsi salvare a spese dei cittadini dalla crisi finanziaria da loro stessi provocata con la finanza dei "derivati".

Con la scusa dei Mercati e del "Ce lo chiede l' Europa" hanno imposto ovunque misure pesantissime come la riforma Fornero delle pensioni e l' austerity, oltre a veri e propri strangolamenti come quello che avviene in Grecia con la foglia di fico Tsipras.


Adesso vogliono condizionare il voto democratico con le minacce di ulteriori crisi finanziarie. 


Tutti schierati per il SI e per sostenere il governo Renzi che dice "Dopo di me il Diluvio": RAI, grandi giornali, Finanza, leader esteri tra cui la Merkel e un Obama sconfitto che dichiara che oltre a SI al referendum italiano voterebbe per la Merkel in Germania e che NON bisogna cercare la distensione con la Russia (alla faccia del Nobel, prematuro, per la Pace).
E intanto Renzi annuncia e promette cose che non realizzzerà mai: dal Ponte sullo Stretto alla decontribuzione totale sulle nuove assunzioni al Sud, alle Zone Franche a Milano Expo' e Napoli Bagnoli.

Molti voteranno NO proprio per ribellarsi a questa situazione che non è solo italiana, ma internazionale e riguarda anche Trieste.




TRIESTE A RISCHIO TERREMOTO E TSUNAMI - UN LIBRO IMPORTANTE DI ILLUSTRI DOCENTI E RICERCATORI DELL' UNIVERSITA' DI TRIESTE CHE E' ALL' AVANGUARDIA NELLA SISMOLOGIA -



DIFENDERSI DAL TERREMOTO SI PUO' - di Giuliano Panza e Antonella Paresan - EPC -
TRIESTE HA UN RISCHIO SISMICO MOLTO PIU' ALTO DI QUELLO INDICATO SULLE CARTE UFFICIALI 
Noi  sosteniamo da tempo, sulla base di studi geologici ufficiali, che il rischio sismico di Trieste deve essere rivalutato con conseguente divieto di insediamenti pericolosi come il Rigassificatore e la necessità di messa in sicurezza del territorio.
Ora è uscito anche  il primo libro autorevole, per l' indiscusso prestigio scientifico degli Autori, che ha una parte dedicata al rischio sismico a TRIESTE che è normalmente molto sottovalutato dimenticando il disastroso terremoto / maremoto del 1511.
Lo abbiamo appreso QUI dove è possibile anche ordinarlo.
Apprendiamo che le attuali mappe di rischio basate sul sistema probabilistico PSHA sono del tutto inadeguate, NON SCIENTIFICHE e che sottostimano il rischio mediamente di 3 - 4 volte il che, sommato ai recentissimi studi sulla faglia attiva del Golfo di Trieste, dovrebbe allertare popolazione ed amministratori per mettere in atto le misure preventive.
Infatti il libro chiarisce che " PREVEDERE I TERREMOTI E' POSSIBILE, MA NON CON PRECISIONE" grazie alle moderne tecniche NDSHA messe a punto e sperimentate proprio all' Università di Trieste che è all' avanguardia nella sismologia.
Questo comporta che mentre è attualmente impossibile sperare in "allarmi terremoto" tali da produrre evacuazioni da territori in pericolo imminente è invece possibile individuare le località a rischio dove fare prevenzione.
E Trieste è fra queste anche se non è segnalata nelle mappe di alto rischio E LA PREVENZIONE NON SI FA.
Una parte del libro parla anche del rischio Tsunami (maremoto) e si scopre che a Trieste è molto presente perchè attualmente sono inurbate e con infrastrutture portuali tutte le aree a mare investite dal maremoto del 1511.
Se con l' acqua alta e lo scirocco gia adesso una parte del Borgo Teresiano viene allagata figurarsi con un' onda anomala generata dalla faglie sismogenetiche vicine, comprese quelle sulla costa italiana e dalmata.
Ci sono precise tabelle sull' altezza presunta delle "onde" e illustrazioni.
Sul libro sono descritti anche alcuni interventi effettuati a Trieste per la messa in sicurezza degli edifici scolastici del Nautico, del Nordio e del Carli, nonchè per la valutazione del rischio sismico del Palazzo della Provincia di Trieste secondo il metodo NDSHA.
E finirla di tenere la testa sotto la sabbia ? 
E avviare una grande campagna di messa in sicurezza del patrimonio immobiliare e di infrastrutture viarie, e portuali, tra l' altro con conseguente rivitalizzazione del comparto edilizio?

Tuttavia finchè Trieste non sarà inserita tra le zone a rischio rilevante non vi saranno stanziamenti pubblici.
Perchè gli Amministratori pubblici fanno orecchie da mercante? 

E' un testo scientifico ma accessibile firmato da due illustri docenti dell' Università di Trieste:
Panza Giuliano F.
Laurea in Fisica da Università di Bologna a 22 anni, dopo circa 50 anni ha concluso l’attività universitaria, come professore ordinario di Sismologia e Geofisica. Laurea h.c. da Università di Bucarest, professore onorario all’Institute of Geophysics della CEA di Pechino. Cavaliere OMRI, ha ricevuto le medaglie: Beno Gutenberg dall’European Union of Geosciences, dell’Iniziativa Centro Europea, Commemorative della VAST del Vietnam, of Honor del NRIAG dell’Egitto. Membro di Accademia Nazionale dei Lincei, Academia Europaea, TWAS, Russian Academy of Sciences di Mosca, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL. Autore di oltre 550 articoli scientifici e di una quindicina di libri. Giuliano PANZA work on earthquake prediction and risk ranks at #4 worldwide (SCIENCEWATCH.COM)

Peresan Antonella
Sismologa presso l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale e EGU Science Officer, laurea in Fisica e Dottore di Ricerca in Geofisica della Litosfera e Geodinamica da Università di Trieste. Attività didattiche e di ricerca presso Abdus Salam ICTP, Università di Trieste e Roma Tre. In audizioni dell’VIII Commissione della Camera dei Deputati, ha illustrato la messa a punto di una metodologia per la definizione della pericolosità sismica, basata su NDSHA. Partecipa al Tavolo di Lavoro sulla validazione della nuova mappa di pericolosità sismica per il territorio nazionale. Autrice di oltre 70 articoli scientifici e di tre volumi monografici.


giovedì 17 novembre 2016

VIA DELLA SETA - IL PRESIDENTE CINESE XI HA INCONTRATO RENZI A CAGLIARI INVITANDOLO AD ADERIRE AL GRANDE PROGETTO INFRASTRUTTURALE CINESE - LE INIZIATIVE SU VENEZIA E TRIESTE NON SAREBBERO SUFFICIENTI -



IL PRESIDENTE CINESE XI HA INCONTRATO RENZI ED HA ESPLICITAMENTE PARLATO DELLA "NUOVA VIA DELLA SETA" CHE VEDE TRIESTE COME TERMINAL NATURALE NELL' ALTO ADRIATICO (clicca QUI).
LA QUESTIONE E' STRATEGICA PER TRIESTE.
SOTTO RIPORTIAMO UN ARTICOLO DI "LIMES ON-LINE" RISERVATO AGLI ABBONATI.

Renzi, Xi e il posto dell’Italia nelle vie della seta 
[di Giorgio Cuscito]
Fresco di Cop22 in Marocco, il presidente cinese Xi Jinping si è fermato per uno scalo tecnico in Sardegna prima di dirigersi verso l’America Latina, dove visiterà Ecuador, Cile e Peru e parteciperà al forum Apec di Lima. In un resort di Pula (il cui polo tecnologico ospiterà un laboratorio per l’innovazione di Huawei), nei pressi di Cagliari, Xi ha incontrato il primo ministro Matteo Renzi. Il meeting è stato informale, ma è rilevante per due motivi.
Il primo è che Xi ha esplicitamente invitato Roma a far combaciare le sue strategie di crescita con il progetto infrastrutturale e commerciale ‘Una cintura, una via’, ispirato alle antiche vie della seta. In virtù della sua posizione geostrategica nel cuore del Mar Mediterraneo, la nostra penisola può essere un importante punto di raccordo tra la rotta marittima e quella terrestre, come emerge dalla cartografia ufficiale cinese.
L’Italia non subisce solo la competizione dei grandi porti del Nord Europa come Rotterdam, ma anche del porto greco del Pireo. I cinesi, che ne detengono il controllo, vorrebbero collegarlo direttamente al cuore del Vecchio continente costruendo una rotta ferroviaria lungo la penisola balcanica. Ciò renderebbe marginale il ruolo dell’Italia lungo i principali flussi commerciali da e per la Cina.
Le iniziative in corso legate a singoli porti come quelli di Trieste o Venezia potrebbero non bastare per attirare l’interesse cinese. Occorre una strategia di sistema, che riguardi lo sviluppo coordinato di strutture ferroviarie, marittime e aeroportuali. Ciò è essenziale per non subire passivamente i progetti della Cina e degli altri paesi europei nel lungo periodo.
Il secondo motivo risiede nella speranza di Xi che l’Italia svolga un “ruolo attivo nell’assicurare lo sviluppo stabile e di lungo periodo dei rapporti tra Repubblica popolare e Unione Europea”. Prima del Brexit, Pechino puntava su Londracome testa di ponte per penetrare nel mercato comunitario e ottenere il riconoscimento dello status di economia di mercato. Del resto il Regno Unito è il secondo partner commerciale europeo della Cina dopo la Germania e la principale destinazione degli investimenti esteri cinesi nell’Ue, seguita proprio dall’Italia.
Roma potrebbe sfruttare le turbolenze generate dal Brexit per svolgere il ruolo di mediatore tra Repubblica popolare e Unione Europea. Ciò le permetterebbe di consolidare i rapporti con Pechino e avere un peso maggiore a Bruxelles.
La Cina ci offre due opportunità, noi abbiamo le potenzialità per coglierle.


PORTO VECCHIO - SPRECO DI DENARO PUBBLICO: INTERVENGA LA MAGISTRATURA CONTABILE - DOV' E' IL PIANO DELL' "ADVISOR" ? VALE QUEI SOLDI ? - RUSSO INSISTE COL POLTRONIFICIO -

Non è passato un giorno dalle dichiarazioni del Presidente dell' APT D'Agostino sulla permanenza del Punto Franco in Porto Vecchio (clicca QUI) che già il sen. Russo, autore della legge che lo voleva togliere totalmente, torna alla carica con l' idea della società pubblica per l' urbanizzazione in chiave turistica dell' area, ovvero un POLTRONIFICIO.

Contemporaneamente la Corte dei Conti, ovvero la Magistratura contabile, ha CENSURATO la promozione turistica e culturale della Regione con un passo che riguarda anche il "polo museale" di 
Porto Vecchio, con un investimento regionale di  € 1.292.259, con "uno sguardo miope" e "giudizio insufficiente". 
Del resto è evidente a tutti che non produce nulla quanto a ricadute economiche e turistiche sul territorio.

La Magistratura contabile entra dunque nel merito dell' efficacia e utilità degli investimenti di denaro pubblico.


A tale proposito segnaliamo ai magistrati contabili i soldi per la parcella di € 170.000 dell' "advisor" (consulente) per Porto Vecchio che avrebbe dovuto già consegnare il "masterplan" (così lo chiamano) definitivo ma di cui non si sa nulla.


Si conosce solo la bozza che abbiamo pubblicato a settembre (clicca QUI) e che, come tutti possono verificare, non serve a nulla, è un banale e scontato elenco di quello che il committente vuole sentirsi dire e, a nostro giudizio ponderato, NON vale i soldi investiti.

Infatti era un investimento chiaramente "politico" di immagine, evidentemente finalizzato alla campagna elettorale come il defunto "trenino" rivelatosi privo di passeggeri.


Invitiamo la Corte dei Conti a farsi recapitare l' elaborato definitivo di Ernst & Young, che secondo contratto dovrebbe essere già stato consegnato al Comune, ed a valutarlo attentamente per verificarne l' utilità in relazione ai soldi pubblici spesi.




martedì 15 novembre 2016

D' AGOSTINO, NEOPRESIDENTE DI APT, SU PORTO VECCHIO: IL PUNTO FRANCO C'E' ( e bisogna valorizzarlo...)


Divenuto Presidente dell' APT Zeno D' Agostino comincia a dichiarare pubblicamente le sue strategie.
Oggi è uscita sul Piccolo un' interessante intervista di Dorigo sulla "vexata quaestio" di Porto Vecchio 
in cui il neopresidente esprime delle posizioni su cui troviamo alcune importanti sintonie.

1) IL PUNTO FRANCO RESTA IN PORTO VECCHIO perchè può essere  in qualsiasi momento esteso dalla fascia costiera per attività produttive e di servizi avanzati, ad esempio nel campo dell' arte (noi ne avevamo parlato DA SEMPRE: ad esempio  QUI  e nel programma in fondo).

2) I PUNTI FRANCHI NON SONO DESUETI ANZI SONO UN IMPORTANTE VALORE AGGIUNTO DA SVILUPPARE (con una No Tax Area ndr).


3) E' IMPORTANTE RIANIMARE I PUNTI FRANCHI E PROPORLI A LIVELLO INTERNAZIONALE, COSA CHE NON E' MAI STATA FATTA PRIMA.

Insomma una bella sberla al pensiero "mainstream" dei partiti e del Piccolo che finora descrivevano i Punti Franchi come un orpello dannoso del passato !


Il neopresidente della APT ha detto (vedi sotto) "Vuoi che D’Agostino vada a rovinare il futuro di Trieste perché si è dimenticato di lasciare il Punto franco in Porto vecchio - si domanda il presidente dell’Authority -?"
: evidentemente anche per lui togliere il Punto Franco potrebbe voler dire "rovinare il futuro di Trieste": piccolo particolare che era finora sfuggito ai politicanti locali, al Piccolo e all' autore dell' "emendamento Russo".

Noi pensiamo da sempre che Porto Vecchio abbia un importante futuro produttivo anche nel campo dei servizi grazie al regime di vantaggio di Punto Franco doganale che andrebbe ulteriormente potenziato con la No Tax Area fiscale.
E che se, ad esempio, vi si installasse un centro logistico di IKEA (che produce in Cina ed importa via mare) - per fare un esempio tutt' altro che campato in aria - anche una funzione portuale a suo supporto sarebbe sviluppata, analogamente a quello che avviene tuttora all' Adriaterminal ad esempio con Saipem che si occupa di alta tecnologia delle perforazioni subacquee.
Mentre il Centro Finanziario Off Shore era già previsto dalla legge 19/91 e del mercato dell' arte abbiamo più volte parlato portando l' esempio del Punto Franco dell' Aereoporto di Ginevra.


Noi non crediamo all' urbanizzazione e al "fantaturismo" in quell' area, impraticabile e dannosa per motivi economici ed urbanistici.

Bene ha fatto D' Agostino a lasciare il punto franco in Porto Vecchio nonostante la pressione per toglierlo esercitata dai miopi e stolti politicanti triestini di tutti i colori impegnati a inseguire i fumi delle loro fantasie urbanistiche.

La realtà ed il buonsenso stanno cominciando a prendere il sopravvento e la miseranda fine del "Mercato all' Ingrosso del Pesce" che Di Piazza annunciava in Porto Vecchio lo dimostrano (clicca QUI).


Ben scavato vecchia talpa !

Ecco l' intervista:


«Punto franco attrattivo Resta in Porto vecchio» 


Il presidente dell’Authority D’Agostino: «Rimane lungo la fascia demaniale Può essere utilizzato per l’arte. Nell’area vedo bene anche il terminal crociere»

«Il Punto franco in Porto vecchio? L’abbiamo lasciato. Non si sa mai».
Zeno D’Agostino è “franco” su questo punto. Non per nulla il neopresidente dell’“Autorità di sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale” di Trieste si è laureato a Padova con una tesi dal titolo “Il ruolo della logistica nel capitalismo postfordista”. L’economia è tutto, ma non una scienza esatta. E così, il Punto franco vecchio non è sparito. Si è solo ristretto. «Se c’è una cosa che ci insegna la storia è che non ci sono persone infallibili - spiega D’Agostino -. Magari uno toglie il Punto franco e lo porta da un’altra parte. Poi arriva uno con una barca di soldi e un’idea innovativa per investire nel Punto franco. Meglio essere pronti». Le occasioni non mancano. «Ci sono per esempio i punti franchi dell’arte - continua il presidente dell’Authority - che non hanno nulla a che vedere con la portualità e neppure con l’utilizzo tradizionale dei punti franchi, ma che potrebbero rappresentare un elemento ad alto valore aggiunto per il Porto vecchio. Abbiamo portato i via i Punti franchi che servivano per sviluppare l’attività del Porto nuovo. In ogni caso ne abbiamo lasciato una parte in Porto vecchio. La caratteristica di un Punto franco è che lo si può estendere quanto vuoi senza problemi. Per assurdo basterebbe lasciarne un metro quadro che dopo può essere esteso anche alla totalità del Porto vecchio». E quindi? «Vuoi che D’Agostino vada a rovinare il futuro di Trieste perché si è dimenticato di lasciare il Punto franco in Porto vecchio - si domanda il presidente dell’Authority -? Nella zona che resterà demaniale, lungo la costa, il Punto franco rimane. Verrà eventualmente sospeso nel caso in cui l’area verrà utilizzata per ogni altra attività. Intanto noi lo lasciamo. Può succedere che quel Punto franco un giorno possa tornare utile». Il Punto franco vecchio, insomma, non è morto. Come non è finita la portualità in Porto vecchio. «Le attività portuali che potranno restare in Porto vecchio non dovranno essere collegate alle merci - spiega D’Agostino -. Una questione strategica. Se lascio aperta l’attività delle merci in Porto vecchio non riesco a dare un futuro all’attività del Porto nuovo che invece devo sviluppare con il nuovo piano regolatore. Si parla di merci e non di passeggeri. Un terminal crociere starebbe benissimo. La crocieristica può essere sicuramente un volano complessivo per il Porto vecchio sia che sia museale piuttosto che turistico commerciale». La cosa importante è rianimare i Punti franchi. «Sono l’elemento distintivo del porto di Trieste. Rappresentano una grande fortuna - aggiunge D’Agostino -. Non sono costretto a far passare un contenitore per il porto di Trieste perché qui costa un euro o due euro in meno la manodopera. Lo faccio passare perché è obbligato poiché quel contenitore è destinato a delle attività da sviluppare in Punto franco. Bisogna promuovere i vantaggi del Punto franco a livello internazionale. Finora non lo si è fatto». Non sono strumenti desueti? «No. Tutt’altro - spiega D’Agostino -. Quando andiamo a dire a uno che non paga la dogana, che paga meno i dazi e quant’altro si spalancano porte. Sono gli elementi con cui oggi i grandi player mondiali della portualità stanno cercando di attirare investimenti. I Punti franchi sono tutt’altro che fuori moda». E i decreti attuativi che mancano? Di recente è stato Massimiliano Fedriga, capogruppo della Lega Nord alla Camera, a evocarli per il Porto vecchio: «Il Porto vecchio senza attività produttive non ha futuro. Io ci vedo imprese del terziario avanzato. Ciò potrà avvenire solo dopo l’emanazione dei decreti attuativi sul regime di Porto franco». D’Agostino è d’accordo: «Quello dei decreti attuativi è un percorso che Roma sta portando avanti. Su questo si sta lavorando. I decreti attuativi sono previsti dalla legge 84 del 1994. Da allora sono passati 22 anni. Quindi la responsabilità ce l’hanno un po’ tutti se non si sono fatti i decreti attuativi. Non certo chi, come me, è arrivato qui da un anno e mezzo. In ogni caso io non aspetto i decreti attuativi come non aspetto la manna dal cielo. Prendo quello che c’è e cerco di svilupparlo. È la linea che io e Mario Sommariva (il segretario generale dell’Apt, ndr) abbiamo dato al porto di Trieste. Non ci piangiamo addosso». (fa.do.)




IL BLUFF DEL MERCATO ITTICO DI DIPIAZZA SI E' SGONFIATO


PROSECCO: HANNO RUBATO PURE IL NOME DI PROSECCO DOPO I CANTIERI E LE ASSICURAZIONI...CENTO ANNI DI ITALIA

NELLA FOTO ZAIA E DI PIAZZA PIANTANO UNA BARBATELLA A PROSECCO NELLA MESSA IN SCENA PER CELEBRARE  L' INIZIO DELLA TRUFFA DEL FURTO DEL NOME.

Non sono bastati i cantieri chiusi e spostati altrove, le sedi operative delle Assicurazioni storiche di Trieste trasferite (quella delle Generali a Mogliano Veneto), la sistematica spoliazione di Trieste "preda di guerra", in cento anni ridotta ad avere meno abitanti del 1910.

Pure il nome di Prosecco... senza dare niente in cambio.


Solo il Porto non sono ancora riusciti a trasferire perchè i fondali e la posizione geografica li ha stabiliti il Padreterno... ma ci stanno provando con il progetto di isola artificiale per il Porto Off-Shore di Venezia, caldeggiato dal sindaco Brugnaro amicone di Di Piazza, e con il trasferimento del Punto Franco che qualcuno vorrebbe estendere a Monfalcone con il "Porto Regione" della Serracchiani.
Per fortuna il Punto Franco è stato lasciato sulla fascia costiera di Porto Vecchio malgrado le pressioni di tutti i partiti nazionali per eliminarlo per i loro vacui sogni di musei e urbanizzazione...

Cliccando QUI un articolo sulla trasmissione di Report sul Prosecco .




domenica 13 novembre 2016

RASSEGNA GEOPOLITICA DELLA SETTIMANA 7-12/11: UN NUOVO SERVIZIO DI RINASCITA TRIESTINA


Trieste è città internazionale e fortemente influenzata dagli avvenimenti internazionali vista la cruciale posizione geopolitica.
E siamo entrati in un periodo di cambiamenti geopolitici che aprono nuove opportunità per Trieste.
Pensiamo sia importante informare i nostri lettori su alcuni aspetti più importanti perciò abbiamo deciso di iniziare una rubrica settimanale riassuntiva degli avvenimenti più importanti, spigolando tra vari articoli:


TrumPresident
L’elezione del presidente degli Stati Uniti ha sempre un grande impatto – simbolico o reale – sul resto del mondo. Ancor di più se finisce come l’8 novembre, quando ribaltando tutti i pronostici la candidata democratica Hillary Clinton ha perso contro il suo ex finanziatore Donald Trump.
L’arrivo alla Casa Bianca di un uomo d’affari tanto ricco quanto  privo di esperienza nella pubblica amministrazione e nel governo può portare un cambiamento nella politica internazionale della prima potenza mondiale.
La carta geopolitica di Donald Trump è bianca.
La sua politica estera sarà largamente funzione della sua politica interna. La priorità domestica del neoeletto presidente degli Stati Uniti è infatti quella di riportare l’America all’altezza delle aspettative di una grande potenza. A partire dalla ripresa dell’economia e da una certa misura di giustizia sociale.
In termini di politica economica questo significa protezionismo, la cui traduzione geopolitica si chiama isolazionismo. Il problema è che entrambi sono difficilmente applicabili a un paese come gli Stati Uniti.
L’America è troppo implicata economicamente, geopoliticamente e culturalmente nel resto del mondo per poterne restare al di fuori. Allo stesso tempo, non ha le risorse per guidarlo.
Entro questo varco molto stretto si svolgerà la politica estera di Trump, la quale però solo in parte minore sarà determinata dal presidente. Dovrà infatti passare al vaglio ed essere eventualmente attuata dagli apparati burocratici, in particolare militari e dell’intelligence.
La pietra di paragone, almeno nei primi mesi, della geopolitica del prossimo inquilino della Casa Bianca sarà il rapporto con la Russia.

Calexit [di Enrico Beltramini]
In California, lo Stato più liberal dell’Unione, quello che ha permesso a Hillary Clinton di vincere il voto popolare (ma non la presidenza), sembrano aver preso male l’elezione di Donald Trump.
Il giorno prima delle elezioni, il governatore Jerry Brown ha spiegato durante una cena che se Trump avesse vinto, lui avrebbe fatto costruire un muro per isolare la California dal resto del paese. Brown parlava ai suoi ospiti e ha immediatamente chiarito che stava scherzando.
Il giorno dopo le elezioni, Shervin Pishevar ha annunciato via Twitter l’intenzione di far vita a un movimento secessionista. Insieme a Ben Huh, Marc Hemeon e David Morin ha lanciato “New California”, un progetto che non prevede la secessione, ma la minaccia della secessione.
L’idea  è quella di mettere Washington sotto pressione. Pishevar è un investitore in startup abbastanza noto: tra le varie aziende, ha investito in Uber e Airbnb.  Si è distinto per aver finanziato la campagna di Barack Obama e di Hillary Clinton. Come molti altri investitori e imprenditori, sostiene che la legislazione sui visti di lavoro vada rivista in funzione della particolare situazione della Silicon Valley, in cui le aziende tecnologiche hanno permanentemente bisogno di ingegneri che non trovano in loco.
Tre anni fa, Facebook, LinkedIn, Yahoo e alcuni investitori come Ron Conway fondarono FWD.US, un gruppo di pressione per convincere i membri del Congresso della necessità di riformare la legge sull’immigrazione.
Fino a martedì, il rappresentante della Silicon Valley al Congresso era Mike Honda, un politico attento alle richieste dei sindacati. È stato scalzato da Ro Khanna, un professore di Stanford che di fatto rappresenta le industre tecnologiche. Sarà la loro voce a Washington.

Schermaglie attorno al Kuznecov [di Alberto de Sanctis]
Il presunto incidente nel Mediterraneo orientale fra un sottomarino diesel della Marina olandese e il gruppo navale del Kuznecov è meno grave di quanto appaia.
Mercoledì il portavoce del ministero della Difesa russo ha dato notizia di come i due cacciatorpediniere di scorta all’unica portaerei russa siano intervenuti per allontanare un sottomarino olandese (probabilmente ilWalrus, avvistato proprio in questi giorni fra Malta e Creta) portatosi a una ventina di chilometri dall’ammiraglia della Flotta del Nord che ora si trova al largo delle coste siriane.
Le unità russe sarebbero ricorse ai propri sensori di bordo e a quelli dei loro elicotteri antisommergibile per intercettare il Walrus e costringerlo a lasciare l’area del Kuznecov. Il portavoce della Difesa di Mosca ha denunciato il comportamento degli olandesi, che avrebbe potuto avere non meglio precisate gravi conseguenze, mentre il ministero della Difesa dei Paesi Bassi Jeanine Hennis-Plasschaert ha suggerito di non abboccare alla retorica russa.  
Vero o presunto che sia, l’episodio non costituisce alcunché di sorprendente. Assetti Nato stanno monitorando la campagna della task force russa sin dallo scorso ottobre, quando le sue unità hanno lasciato il porto di Severomorsk sul Mare di Barents per dirigersi alla volta della Siria. Norvegesi, statunitensi, britannicibelgi, portoghesi e spagnoli si sono succeduti per seguire il dispiegamento della più consistente forza navale russa dai tempi della guerra fredda lungo il suo periplo del Vecchio Continente.
Più che le unità di superficie o i ricognitori aerei, sono i sottomarini a costituire gli assetti meglio attrezzati per monitorare con discrezione la navigazione di imbarcazioni straniere. Non a caso, il portavoce della Difesa russo ha dato notizia della presenza di almeno un sottomarino nucleare d’attacco americano al seguito del gruppo del Kuznecov. Il fatto che in questo momento nel Mediterraneo orientale operi anche il gruppo da battaglia della portaerei francese Charles de Gaulle suggerisce la presenza di sottomarini francesi, né si può escludere quella di almeno un’unità italiana.
In questo gioco delle parti ciascun attore ha l’opportunità unica di seguire e registrare le evoluzioni avversarie per acquisire dati sulle capacità degli equipaggi e le caratteristiche dei loro mezzi navali,immagazzinando informazioni che potrebbero tornare drammaticamente utili nel caso di un conflitto. A patto però di non farsi scoprire. 
Per questo motivo, se fosse confermata la dinamica evocata dai russi, l’incidente che ha visto coinvolto il Walrus non depone a favore degli olandesi. Questi avrebbero potuto comunque decidere di mettere pressione ai russi ora che il gruppo navale del Kuznecov si appresta a intervenire nel conflitto siriano.
Negli ultimi giorni i suoi velivoli sono stati avvistati sui cieli di Tartus e di Aleppo, mentre in precedenza il dispositivo navale russo era stato rafforzato dall’arrivo di tre sottomarini armati con missili cruise in grado di colpire bersagli terrestri (due Akula a propulsione nucleare e un Kilo a propulsione diesel-elettrica), così come da una fregata proveniente dal Mar Nero ed equipaggiata anch’essa con missili Kalibr d’attacco a terra.

Sì al libero commercio Ue-EcuadorChi ha detto che l’Unione Europea non sa più fare accordi di libero scambio? Firmato oggi quello con l’Ecuador, che destina al blocco continentale la maggior parte delle sue esportazioni non petrolifere. Quito si unisce all’intesa vigente tra Bruxelles, Perù e Colombia.
Ora serve l’assenso dei 28 membri dell’Ue e del parlamento europeo; poi l’intesa entrerà in vigore in maniera provvisoria, in attesa della ratifica finale dei paesi coinvolti. La complementarietà delle economie veterocontinentali ed ecuadoriana e il credito di cui gode nella sinistra europea il governo di Correa dovrebbero scongiurare una replica dello stallo legato al Ceta (e alla Vallonia).

Il primo accordo sull’energia dell’Iran dopo l’accordo sul nucleare [di Marco Giuli]
Il primo accordo preliminare per la produzione di gas naturale iraniano dopo l’allentamento delle sanzioniporta la firma della francese Total, della cinese Cnpc e della locale Petropars. Valevole 6 miliardi di dollari, esso riguarda lo sviluppo del giacimento di South Pars nel Golfo Persico, che da solo contiene l’8% delle riserve di gas convenzionale del pianeta.
Il coinvolgimento delle due compagnie non è una sorpresa, data la forte presenza di entrambe in Iran prima che l’effetto delle sanzioni Usa bloccasse i loro progetti.
L’importanza dell’accordo risiede nel fatto che si tratta del primo adottato secondo i nuovi termini contrattuali iraniani, un esercizio di difficile compromesso fra il presidente iraniano Rohani e le forze più conservatrici. Un suo successo rafforzerebbe la linea del presidente.
L’accordo sembrerebbe anche una dimostrazione di fiducia da parte del mondo degli affari europeo nella continuità della politica Usa sull’alleggerimento delle sanzioni – uno dei fattori di maggiore incertezza per investimenti di questa portata. Fu proprio la banca francese Bnp a essere colpita da una multa record da 8,9 miliardi di dollari da parte delle autorità statunitensi per aver violato il regime di sanzioni nel 2014.
O forse, come dimostra il caso del coinvolgimento di Total e Cnpc nei progetti della russa Novatek, sottoposta anch’essa alle sanzioni a stelle e strisce, sembra svilupparsi l’idea che con l’emersione di fonti di capitali alternative – per esempio cinesi – l’applicazione extraterritoriale delle leggi emanate a Washington possa risultare meno efficace in futuro.