RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

mercoledì 11 ottobre 2017

LA LEZIONE CATALANA - INDIPENDENZA, AUTONOMIA, EUROPA E TRIESTE



Nelle questioni di indipendenza e sovranità c’è sempre il momento in cui il piano del diritto e della legittimità lascia il campo a quello del potere ovvero della forza (politica, economica, diplomatica, militare...).

Ieri la dirigenza catalana dopo aver valutato le forze in campo ha evidentemente concluso che non vi erano le condizioni per vincere rapidamente e con pochi danni uno scontro frontale con Madrid, in cui anche la componente di boicottaggio economico e perfino di impegno militare poteva avere notevole peso.
L’ indipendenza è stata solo annunciata verbalmente ed un minuto dopo sospesa.
Poi è stata firmata una “dichiarazione d’ indipendenza” solo simbolica e non votata  dal Parlamento unico organo deputato a proclamarla ufficialmente.

Il Premier spagnolo Rajoy
, con una certa ironia, oggi ha detto: “Puigdemont deve chiarire se ha dichiarato o meno l'indipendenza della Catalogna", dalla risposta ufficiale dipenderanno le conseguenze. 
La richiesta di chiarimenti da parte di Rajoy mette il presidente della Generalitat catalana con le spalle al muro.
Ma rappresenta anche una forma temporanea di apertura, se paragonata all’attivazione diretta dell’art.155 della Costituzione, che provocherebbe il caos e problemi gravissimi anche di ordine pubblico, che al momento è in pausa. Vedremo presto che risultati avrà la mossa di Madrid.
 



Alcuni osservatori ipotizzavano una soluzione “slovena” ovvero un rapido scontro anche militare con una successiva separazione quasi consensuale.
Ma la situazione slovena era radicalmente differente: la Slovenia è stata immediatamente riconosciuta, in primis dalla Germania che la secessione la aveva incoraggiata anche con aiuti economici e perfino militari per la costituzione della Milizia Territoriale che, perfettamente armata, è intervenuta subito presidiando i punti nevralgici (e ciò nonostante la situazione nella ex-Jugoslavia è poi degenerata come sappiamo bene). 
Infatti i Balcani del Nord erano ormai stabilmente nell’ “area del marco” che costituiva quasi una valuta parallela al dinaro mentre in Spagna il fedele esecutore delle politiche della Germania, fortemente coinvolta nel sistema bancario e  finanziario spagnolo, è il governo di Madrid di Rajoy.

E la UE a guida tedesca ha fatto chiaramente capire che non ci sarà alcun riconoscimento per la Catalogna indipendente, al contrario di quanto avvenuto con Slovenia, Croazia e perfino Kosovo.
Infatti per la Spagna la perdita di una regione che rappresenta il 20% del PIL sarebbe una catastrofe economica, per il debito pubblico, per le banche e la finanza in cui, ripetiamo, la finanza di Berlino è pesantemente coinvolta.
Il boicottaggio anticatalano delle banche si è già visto.

Non solo, ma gli effetti dell' indipendenza catalana su Euro, assetti statuali europei e Nato potrebbero diventare dirompenti, a cascata e soprattutto temuti.
La UE, ovvero Berlino, non vuole caos in Spagna dove deve recuperare i suoi crediti.
Per cui c'è chi si impegna a rabbonire perfino Rajoy, o a sostituirlo se troppo intransigente, al di là delle apparenze feroci delle dichiarazioni alla stampa: in fondo due milioni di voti per l' indipendenza con centinaia di seggi chiusi e la Guardia Civil che pestava i votanti non sono cosa che si possa trascurare...


Se non ci sono le condizioni per vincere uno scontro bene, rapidamente  e senza gravi conseguenze per la popolazione una dirigenza seria sceglie il compromesso e, se necessario, innesca anche una sgradevole e impopolare retromarcia rispetto a posizioni che portano all' urto frontale, evitando "ultimatum" che non è in grado di sostenere.
Pertanto si è arrivati ad una strana forma ibrida di “Indipendenza Sospesa”: la Catalogna Indipendente è esistita per quasi un minuto per poi essere "sospesa".

Così la Catalogna indipendente è finita in una specie di Limbo degli stati.

La situazione Catalana si evolverà probabilmente in qualche forma di autonomia spinta, forse anche con modifiche dello stato spagnolo in senso federalista e addirittura repubblicano visto il vasto discredito della monarchia e la pessima prova fornita in questi giorni (vedi nota).
A meno che rigidezze e settori politici e militari madrileni non provochino una precipitazione degli eventi al momento non prevedibile.

Come il referendum sull’ indipendenza scozzese ha portato un maggior grado di autonomia alla Scozia è probabile che qualcosa di simile accada per la Catalonia e sarebbe un successo nel quadro internazionale attuale e con le forze in campo.

Diversa è la situazione italiana dove la classe politica è, se non alla frutta, almeno al "rosatellum" del dessert: autorevoli, capaci e fedeli esecutori delle politiche UE non se ne vedono e anche il giovane sbruffone fiorentino è stato pesato, valutato e trovato insufficiente.

Nel suo "testamento politico" l' ex ministro delle finanze tedesco 
Schäuble ha praticamente condannato l' Italia (clicca QUI) eliminando ogni flessibilità di bilancio e prevedendo default programmati.
Il suo successore alle Fiananze di Berlino (cioè UE) sarà un falco 
del FDP ancora più duro.
La situazione economica italiana è destinata alla stagnazione, come quella di tutta la periferia sud-europea.

Ma le regioni produttive del Nord sono saldamente inserite nella "catena di valore"
tedesca  (anche Trieste lo è con il suo Porto Franco che lavora al 90% con la Mitteleuropa e fornisce il 40% del fabbisogno petrolifero della Germania e il 90% dell’ Austria) e ben 
difficilmente si lasceranno trascinare nel naufragio meridionale mentre  sarà sempre maggiore l’ attrazione  del Nocciolo Europeo: la Kerneuropa teorizzata da Schäuble  fin dal 1994.

Questa particolare situazione geopolitica apre la strada ad ipotesi di integrazione progressiva nella Kerneuropa, in forme ancora non prevedibili.

I referendum autonomisti del 22 ottobre in Veneto e in Lombardia si svolgeranno in questo quadro e potranno avere conseguenze importanti anche da noi, innescando un ciclo di autonomismo e di riforme costituzionali di cui Trieste farebbe bene a trarre profitto per realizzare obbiettivi di elevata autonomia amministrativa e fiscale.

Su queste esperienze catalane è bene che ci sia una attenta riflessione, anche da parte di un movimento indipendentista triestino che, pur avendo il merito storico di aver posto la questione del Porto Franco al centro dell’ attenzione dopo decenni di oblio, dopo un tentativo di scontro frontale con un avventurista “ultimatum all’ Italia” senza seguito, si è frantumato, come spesso avviene quando si fanno minacce cui non seguono i fatti, e incartato concentrandosi solo su aspetti giuridici e di legittimità trascurando totalmente l’ aspetto della forza, politica innanzitutto, che la vicenda catalana dimostra essere fondamentale.

Soprattutto è importante lasciarsi aperte vie d' uscita su percorsi autonomisti, 
senza tagliarsi i ponti alle spalle, qualora maldestri tentativi di scontro frontale sul tema della sovranità, che scarsamente interessa ai cittadini oberati da problemi concreti e quotidiani, abbiano portato in vicoli ciechi e all' isolamento.


Nota: oggi Rajoy al parlamento tra varie durezze e minacce ha però detto anche "«si può dialogare sul perfezionamento dell’autogoverno, sui servizi pubblici, sul miglioramento della convivenza. In questo Parlamento si può dialogare su tutto quello che la Costituzione permette di discutere. Si può discutere anche della riforma della Costituzione." Può essere interpretato come un percorso di dialogo?

lunedì 9 ottobre 2017

"L' ITALIA UNITA E' UN PATERACCHIO: IL FEDERALISMO E' NEL SUO DNA " - «Noi e Madrid abbiamo tradito la nostra vocazione regionalista a differenza di Berlino. Una crisi cambierà la faccia dell’Europa» - Un articolo del noto storico prof. FRANCO CARDINI -





Su Libero del 9 ottobre è stata pubblicata un' interessante intervista al noto storico Franco Cardini.

E' un interessante contributo al vasto dibattito sull' Europa e gli indipendentismi innestato dalla "Questione Catalana" e che riportiamo sotto.

«L’Italia unita è un pateracchio Il federalismo è nel suo dna»

«Noi e Madrid abbiamo tradito la nostra vocazione regionalista a differenza di Berlino. Una crisi cambierà la faccia dell’Europa»


Con lo sguardo dello «storico impuro, che non è mai rifuggito da sfide e magari trappole o provocazioni», come ha scritto di sé una volta, Franco Cardini vede nel riemergere degli indipendentismi la possibilità di un’Europa diversa da quella immaginata e costruita finora.
L’interpretazione più diffusa del recente referendum catalano sottolinea lo scontro tra regione e Stato centrale per il controllo delle risorse fiscali.
«Certamente questo aspetto conta moltissimo, fin da quando la Corte costituzionale madrilena sancì che l’autonomia catalana non si estendeva al campo economico-finanziario.
La Catalogna, che da sola rappresenta il 20 per cento del Pil spagnolo, avanza la stessa obiezione mossa da croati e sloveni nell’allora Jugoslavia e dalla Lega in Italia: perché dobbiamo pagare anche per gli altri?»
La crisi istituzionale è quindi solo figlia della crisi economica?
«Sarebbe sbagliato fermarsi a questa lettura. Specialmente per chi, come me, non crede nel primato dell’economia ma è un fautore del primato della politica e dell’etica.
Dietro il referendum catalano si agitano questioni cruciali: la domanda su che cosa sia una nazione, su quale rapporto debba esserci tra governi, nazioni e popoli… Tutti temi dei quali si dovrebbe discutere.
In pochi hanno notato, peraltro, che il nazionalismo catalano non è isolato come sembra».

      Che cosa intende dire?
«Be’, vicino ai catalani ci sono i valenciani e i balearici… L’indipendentismo catalano si inserisce in una fascia che dai Medi Pirenei, dalla Repubblica di Andorra, scende fin quasi all’Andalusia.
Non basta: a nord dei catalani, ecco i provenzali, con cui i primi condividono una identità occitana che trova espressione in lingue affini, tradizioni comuni (l’amore per le corride, ad esempio) e una stessa bandiera, a strisce gialle e rosse».
Ma l’Europa può permettersi di riconoscere queste nuove/antiche identità?
«Se esistesse un’unità politica europea, le autonomie potrebbero trovare un loro posto al suo interno.
Invece, prima ci hanno fatto credere che si sarebbe fatta l’unione politica con le nazioni uscite dal mondo sette-ottocentesco, poi ci siamo accorti che l’unione in realtà non sarebbe mai stata politica ma sarebbe rimasta quella che è ora: una unione doganale, economica, finanziaria, e nient’altro».
       Un destino ineluttabile?
«Sono convinto, da professore di storia, che ci stiamo avviando verso un periodo di crisi, che potrà essere molto lunga ma che potrebbe aprire fronti che oggi non si sospettano neppure.
Da questa crisi usciremo non so in quale direzione, non so se andando avanti o tornando indietro, come amano dire molti miei colleghi.
Ma insomma, perché non immaginare la nascita di una diversa idea d’Europa, non più costituita esclusivamente, o prevalentemente, dagli Stati nazionali?
Un’Europa che riscopra valori storici profondi, che erano stati dimenticati e che sono riemersi?
Vede, certe cose diventano vere quando qualcuno ci crede.
Oggi gli indipendentismi possono sembrare utopie, domani potrebbero diventare una realtà.
Nel 1916 Lenin era solo un illuso, Trockji un signor nessuno e Mussolini un soldato che in trincea teneva un diario, peraltro molto ben scritto. Ragazzacci eversivi, assai improbabili come classe dirigente. Eppure, pochi anni dopo…»
C’è chi un tramonto dello Stato nazionale l’ha non solo annunciato ma auspicato. Richiamandosi al politologo Philippe Schmitter, già nel 2000 l’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato immaginava un’unione europea capace di ripensare il concetto stesso di sovranità, presentandosi come espressione di un ordine post statuale, un’architettura complessa di autorità su diversi livelli, con competenze ambigue e condivise. La parentesi dello Stato nazione si stava per chiudere, saremmo tornati al Medio Evo.
«Non mi convince l’etichetta di Medio Evo, appiccicata fra l’ironico e il terroristico.
Il Medio Evo aveva di qualificante, fondamentale e irrinunciabile la visione metafisica, l’ordinamento di tutti i valori alla metafisica.
Quello prefigurato da Amato, invece, è un Medio Evo laicizzato, che somiglia molto a una giungla. O a una prateria percorsa da cowboy».
Anche in Italia si parla di autonomie. Il 22 ottobre in Lombardia e Veneto si terrà un referendum per chiedere di gestire maggiori risorse. Ma forse, anche qui, i problemi vengono da lontano e chiamano in causa il Risorgimento, il modo in cui fu realizzata la nostra unità.
«L’unità fu l’esito di un accordo tra un potere politico virtualmente tirannico e reazionario, e perfino arcicattolico, come quello dei Savoia, e l’estrema sinistra giacobina di mazziniani e garibaldini.
Questo pateracchio innaturale trovò un punto di convergenza nell’adozione di un modello, il centralismo di Napoleone III, che calpestava i patriottismi locali.
Provenzali, bretoni, normanni, borgognoni-lorenesi, dai colpi ricevuti allora non si sono più rialzati».
Abbiamo dunque scelto un modello sbagliato, un abito che non ci andava a misura?
«Italia e Spagna sono realtà fortemente, vorrei quasi dire vocazionisticamente, policentriche, predisposte naturalmente al federalismo anche per la loro stessa conformazione idro-orografica.
Se si tradisce questa realtà, si tradisce la loro stessa storia: una storia di comuni, signorie, liberi fueros, città stato, piccole o medie monarchie che s’accordavano tra loro oppure si facevano la guerra…
Oggi, in Spagna, il modello centralistico è in discussione, e per la verità lo è fin dalla morte di Francisco Franco (e in misura minore lo è stato anche prima: pensi all’attentato all’ammiraglio Carrero Blanco, ucciso dall’Eta).
Nell’interregno dopo la morte di Franco, il ruolo decisivo nell’elaborare la nuova Costituzione fu giocato da re Juan Carlos e dall’ultimo segretario del movimento falangista, Adolfo Suarez, peraltro politico fine ed equilibrato.
Ma sulle autonomie la Carta rimase molto cauta».
Una via alternativa al centralismo napoleonico esisteva: quella tedesca.
«La Germania scelse una via senza dubbio autoritaria.
Ma l’Impero degli Hoenzollern non toccò mai le libertà locali, il federalismo effettivo ereditato dal Medio Evo: dalle grandi realtà statuali come la Prussia e la Baviera, fino alle piccole città stato (i porti di Amburgo e Brema ndr).
La camera bassa del Secondo Reich era un parlamento solo parzialmente eletto, dominato dal Kaiser e con un potere consultivo; ma era uno specchio fedelissimo di questa realtà policentrica, come lo era il parlamento dell’Impero austroungarico nato dalla riforma del 1867, dopo la guerra austro-prussiana.
Lì, insomma, si è operato veramente sulla scia della storia, e questo rimase vero per la Repubblica di Weimar, per la Repubblica federale e, a suo modo, anche per la Repubblica democratica.
L’unico che provò a staccarsi da questa tradizione fu Hitler, ma piuttosto timidamente: eliminò i Länder sostituendoli con i Gaue, province più piccole e meglio controllabili, alla cui testa mise un Gauleiter, che era, insieme, prefetto dello Stato e federale del partito.
Ma non osò mai intaccare le libertà locali nella loro sostanza».
Sul riconoscimento delle istanze indipendentiste l’Europa è apparsa nel tempo schizofrenica: da un lato il Kosovo, dall’altro la Crimea.
«L’Europa è una unione di paesi senza vera sovranità. È cinico dirlo, ma senza sovranità militare non esiste sovranità diplomatica, quindi non c’è sovranità politica.
I nostri politici accettano il diktat per cui, quando si entra nella Ue, automaticamente si entra nella Nato, cioè in una organizzazione militare i cui alti comandi sono extraeuropei: chiamiamolo, per pietosissima buona educazione, un paradosso.
Ma è questo paradosso che spiega perché poi i separatismi vengano divisi in buoni e cattivi».
E i curdi d’Iraq, che hanno tenuto il loro referendum indipendentista il 25 settembre, qualche giorno prima della consultazione catalana, sono “buoni” o “cattivi”?
«Del trattamento riservato ai curdi dovremmo vergognarci.
Le potenze vincitrici della prima guerra mondiale li punirono perché, a differenza degli arabi, agli agenti inglesi e francesi avevano risposto che non avrebbero abbandonato il Sultano.
Così, a guerra finita, questo popolo di lingua ed etnia iranica, che ha una forte unità religiosa (sono islamici sunniti, con una piccola minoranza di sciiti) e che ha una unità territoriale ben delimitata, nonostante i proclami dell’allora presidente americano Wilson sull’autodeterminazione dei popoli, rimase senza Stato.
Oggi, poi, nonostante il loro contributo alla guerra contro il Califfo, sono riusciti a mettere d’accordo contro di loro turchi, siriani, iracheni e iraniani».
I vecchi equilibri nati nel Medio Oriente dopo la Grande Guerra sembrano comunque fragilissimi.
«In quell’area dopo la guerra fu imposto il modello nazionale, cui arabi, e poi turchi e persiani, si sono adeguati pur non avendolo mai sperimentato prima. Non è stato un successo.
Ora il modello sembra essere quello delle realtà etnoreligiose. Ecco, quindi, che l’Iraq verrebbe spezzato in tre tronconi: curdi al nord, sunniti al centro e sciiti al sud.
Un piano che serve ai sauditi per avere una testa di ponte iracheno-sunnita e alla Nato per disporre di una piattaforma dove piazzare i missili da puntare su Teheran».


LA VERGOGNA INDELEBILE DI TRIESTE: LE LEGGI RAZZIALI ANNUNCIATE 80 ANNI FA NELLA NOSTRA CITTA' - UN VIDEO RESTAURATO E UN ARTICOLO DEL CORRIERE DI OGGI -


Il Corriere della Sera ha pubblicato un bellissimo articolo sull' annuncio proprio a Trieste, il 18 settembre 1938, delle Leggi Razziali in Piazza Grande, ribattezzata "Piazza Unità d' Italia" che così si trova accomunata ad una delle pagine più nefande della storia.
Fu questa un' offesa mortale a Trieste e alla sua tradizione di tolleranza e cosmopolitismo perpetrata dai fascisti e dai nazionalisti.
Fu, come precisò Mussolini stesso nel comizio, un' iniziativa interamente "Made in Italy" e derivata dagli "studi" sulla supremazia della "Razza Italica" pubblicati su "La Difesa della Razza".

L' articolo contiene il link al video del documentario dell' Istituto Luce appena restaurato.
Cliccare QUI per l' articolo contenente il link al video.


Una delle conseguenze gravissime delle leggi razziali fu la distruzione definitiva della classe dirigente triestina che aveva già subito durissimi colpi con l' annessione all' Italia dopo la Grande Guerra.
Restarono gli "italianissimi" e i facinorosi incapaci di ridare a Trieste una prospettiva internazionale.

Perfino il celebrato poeta Umberto Saba riparò in Francia per le sue ascendenze ebraiche.

Pubblichiamo sotto per intero il testo dell' articolo del Corriere e uno spezzone del documentario.




L'Italia delle leggi razziali: «Oggi nessuno ricorda». Il video restaurato di Benito Mussolini che le annuncia

di Gian Guido Vecchi, video dell'Istituto Luce

Trieste, 18 settembre 1938, mattina. Il cacciatorpediniere «Camicia Nera» attracca al «molo Audace» con «il Duce sulla plancia di comando». È la prima volta che si possono vedere per intero queste immagini, 34 minuti restaurati e digitalizzati dall’istituto Luce. La voce narrante informa sobria che la città è «un solo palpito di attesa e di amore» e in piazza dell’Unità ci sono 150 mila persone, camicie nere e fez, fazzoletti e applausi, gente sui davanzali. L’attesa del comizio, in effetti, è tragicamente giustificata: il discorso di Trieste è il primo e l’unico nel quale Mussolini, con toni raggelanti, annuncia in pubblico le «soluzioni necessarie» per affrontare il «problema ebraico» in quanto «problema razziale», spiega che per mantenere il «prestigio dell’impero» occorre «una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime» e infine esclama tra le ovazioni: «L’ebraismo mondiale è stato durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo». 

Bisogna guardarlo bene, perché questo è «il primo atto antisemita mediatico del regime», spiega lo storico Marcello Pezzetti, il segno che le cose precipitano. Il filmato sarà al centro di una mostra che dal 16 ottobre, in vista degli ottant’anni dalle leggi razziali, verrà allestita nella Casina dei Vallati, in largo 16 ottobre 1943, il luogo della razzia nazista del ghetto di Roma. Curata da Marcello Pezzetti e Sara Berger, della Fondazione Museo della Shoah, si intitola «1938» ed ha uno scopo molto semplice: «La gente non sa, i ragazzi non sanno che cosa sono state le leggi razziali. Con materiale quasi del tutto inedito — fotografie, immagini, documenti — facciamo vedere ciò che è accaduto». 
A Trieste è lo stesso Duce a smentire le tesi riduzioniste che lo vorrebbero condizionato da Hitler: «Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito a imitazioni o peggio a suggestioni sono dei poveri deficienti». 
Il documento programmatico dell’antisemitismo biologico, «Il fascismo e i problemi della razza», era uscito il 14 luglio 1938. In agosto il regime schedò la popolazione ebraica, un censimento prezioso per le deportazioni naziste. All’inizio di settembre arrivò la cacciata di studenti e insegnanti «di razza ebraica» da tutte le scuole. Dopo Trieste, nelle sedute del 7, 9 e 10 novembre, il consiglio dei ministri approverà il «corpus» delle leggi razziali, la morte civile della popolazione ebraica, l’espulsione da ogni impiego pubblico, dalle professioni, i divieti sulla proprietà e i matrimoni «razzialmente misti». 

Nella mostra fanno impressione gli schemini disegnati a mano dagli «esperti» di «Demorazza», nel ministero dell’Interno, per calcolare il grado di «razza ebraica», le immagini dei cartelli sulle vetrine («Proprietari o personale di questa libreria sono ariani») o degli ebrei in giacca e cravatta costretti al «lavoro obbligatorio» con ramazze e picconi. La perversione burocratica produce decine di circolari grottesche, pure divieti sui «saltimbanchi girovaghi» o «gli allevatori di piccioni viaggiatori». I ricercatori hanno trovato un verbale nel quale il presidente del Coni e quello della Federcalcio dispongono la cacciata degli atleti e degli sportivi ebrei: come Arpad Weisz, l’allenatore che vinse uno scudetto con l’Inter e due con il Bologna e morì ad Auschwitz. 

Un’altra mostra, sempre allestita da «Cor», racconterà in aprile le vicende delle persone. «Se ne sente un gran bisogno», sospira Pezzetti: «Allora “italiano” e “ariano” divennero sinonimi. 
Oggi si torna a parlare di “veri italiani” e cose simili. La mostra non ha riferimenti all’attualità perché sarebbe pleonastico. Il virus razzista sta penetrando nelle coscienze. Qui noi lo facciamo vedere: guardate i danni che ha fatto».

8 ottobre 2017




domenica 8 ottobre 2017

“La Via dell’Autonomia” - IL REFERENDUM VENETO, DOPO QUELLO CATALANO, AVVIA UN PROCESSO DI FORTE AUTONOMIA IN CUI TRIESTE PUO' INSERIRSI per costruire le basi della sua “Città Stato Portuale” come Amburgo e Brema che sono Stati federati alla Germania - L’ ideale federativo europeo deve riprendere vigore contro i nuovi nazionalismi e centralismi ottocenteschi: è una questione non di ideologia ma di efficienza e rispondenza ai mercati globali del Porto Franco Internazionale, come la No Tax Area – Trieste non deve perdere l’ ultimo treno che sta passando.

CONFRONTO TRA DUE REGIONI A STATUTO SPECIALE - CIRCA IL 90% DELLE TASSE RESTA A BOLZANO E TRENTO MENTRE ALLA REGIONE FRIULI-VENEZIA GIULIA DOVREBBE TEORICAMENTE RESTARE IL 60% MA IN REALTA' DOPO GLI ACCORDI SERRACCHIANI-PADOAN  E TONDO-TREMONTI LA REGIONE FVG TRATTIENE SOLO CIRCA 3/10 (IL 30%) DELLE IMPOSTE: UNA DIFFERENZA IN MENO DI CIRCA 1.800 MILIONI A FAVORE DI ROMA.  LA SICILIA INVECE TRATTIENE IL 100 % ! SI VEDE CHE HA USATO ARGOMENTI CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE...

Da tempo sosteniamo (vedi QUI) che è iniziato un processo irreversibile di distacco delle regioni più sviluppate ed europee dagli Stati Nazione della Periferia Sud destinata al sottosviluppo da "errori di progettazione" economica, monetaria ed istituzionale della UE che si manifestano con una crisi economica e istituzionale che non vede fine.

La situazione Catalana ed i prossimi referendum autonomisti di Veneto e Lombardia sono solo sintomi evidenti di un processo che condurrà a una sempre maggior autonomia di queste regioni europee insofferenti ai gioghi centralistici e al fisco rapace di Stati Nazione alla canna del gas e sovraindebitati.

Che senso hanno Stati Nazione centralistici, burocratici e antiquati, contro i quali si battevano i "padri fondatori" federalisti europei come Spinelli, in un contesto moderno di sviluppo dei mercati mondiali che rende superati i mercati nazionali e privilegia aggregazioni territoriali omogenee per interessi ancorchè più piccole ed efficienti?
Ne parlava, insieme alla necessità di avere istituzioni flessibili, anche l' economista Alberto Alesina in un articolo del Corriere (vedi QUI ) e sono tesi che sosteniamo da sempre insieme a qualificati studiosi (vedi QUI).


Invece ci troviamo di fronte a chiusure centralistiche ovunque e, in Catalonia  
perfino interventi polizieschi e militari, boicottaggi economici con in testa banche e finanza che minacciano trasferimenti su istigazione del governo centrale madrileno che vara apposite agevolazioni per piegare le istanze autonomiste e indipendentiste: veri anacronismi da stati nazionalisti, borbonici e ottocenteschi.
Un popolo che sa lavorare duramente e bene come il catalano deve sorbirsi, nel 2017, i pistolotti borbonici di un certo don Felipe V Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbón y Grecia in uno spot televisivo in cui mancava solo Zorro ! E con la benedizione della UE di Juncker ! E sopportare pure adunate falangiste e neofranchiste !

Italia e Spagna senza le regioni produttive (Catalogna, Lombardia, Veneto, Nord ed Est in genere) sarebbero molto meno di "espressioni geografiche": per cui è bene abbassino i toni arroganti e la retorica patriottarda e riprendano i temi federalisti di cui si parla da trent' anni con magri risultati e con un partito come la Lega ex-Nord che da secessionista e federalista è diventato nazionalista, sovranista e alleato di "Fratelli d' Italia".


In virtù di tali assurdi centralismi nazionali una città come Trieste, nata intorno a un Porto Franco
Internazionale che lavora al 90% con l' Europa e solo per il 10 % con il mercato italiano, si trova inclusa da 17 inutili anni nella inutilissima "Macroregione Adriatico Ionica" insieme alla Sicilia ed altre aree periferiche meridionali ed esclusa dalla dinamica  Macroregione Danubiana di cui fa invece parte  Koper-Capodistria insieme ad Austria e Germania..

Sono di ieri alcuni articoli, pubblicati anche dal Corriere, che illustrano come il referendum Veneto mira a raggiungere i livelli di autonomia delle Province Autonome Speciali di Bolzano e Trento (clicca QUI per l' articolo) e così è presentato dal Governatore Zaia, mentre le autonomie della Regione Friuli-Venezia Giulia sono ritenute insufficienti, come in effetti sono.

Sopra pubblichiamo la scheda, tratta dal Corriere, che raffronta le competenze della Provincia Autonoma di Bolzano con quelle della Regione FVG e possiamo notare che Bolzano ha competenze tanto estese che, insieme al 90% delle tasse trattenute ne fanno quasi uno "stato nello stato".
Una condizione invidiabile per chi, come Trieste, subisce le angherie e le inefficienze burocratiche di un centralismo, anche regionale, ottuso e anacronistico.

E' scandaloso che politici come Tondo e Serracchiani abbiano devoluto tanti denari della comunità locale (oltre 1.800 milioni) per accordi con i governi romani guidati dai loro partiti che non hanno ridotto nemmeno di un centesimo il debito pubblico italiano: bastonati e presi in giro !


L' articolo del Corriere precisa che il Veneto potrebbe ottenere le stesse autonomie di Bolzano senza bisogno di ricorrere a leggi costituzionali:
"l’articolo 116 della Costituzione individua le cinque regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, costituita da due Province Autonome di Bolzano e Trento, e Friuli Venezia Giulia) ma allo stesso tempo prevede che«ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», poi specificate nel successivo articolo n, 117 , possano «essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato ( e NON costituzionale ndr.), su iniziativa della Regione interessata». Il Veneto ha fatto richiesta di un numero molto elevato di competenze, 19, sostanzialmente tutte quelle possibili, perfino la vigilanza sulle casse rurali."

Nulla vieterebbe che, sull' onda della mobilitazione referendaria autonomista che sta coinvolgendo anche Lombardia e il vento autonomista e indipendentista che spira in Europa, anche la Regione Friuli-Venezia Giulia richiedesse analoghe competenze e autonomie sulla base dell' art. 117 della Costituzione, per poi conferirle con delega a cascata ad aree della regione che si potranno chiamare Provincie Autonome, Cantoni,  Länder, Gigi, Pina o come si preferisce... non ha importanza.


L' importante è che al territorio che corrisponde alla defunta Provincia di Trieste, e che coincide con quello della zona A del TLT che il Governo Italiano ha ricevuto in amministrazione il 1954, siano attribuite quanto prima le competenze e le facoltà di cui gode Bolzano.
E la cosa sarebbe fattibile, anche dal punto di vista giuridico italiano, con semplice legge Regionale così come la legge regionale 26/2014 ha istituito i nuovi sciagurati enti denominati Unioni Territoriali Intercomunali (UTI) dopo aver abolito, unica in Italia, le Province previste dall' art. 114 della Costituzione.

Dal momento che a parlare di autonomia (e Zone Franche) a Trieste si drizzano sensibilissime orecchie angosciate dal cosiddetto "populismo" o dal ricordo della "Lista per Trieste" (che in realtà era a guida fortemente nazionalista italiana e antislovena e pertanto confluita in "Forza Italia"), per rasserenarle ricordiamo che l' insospettabile triestino Willer Bordon, già del PCI e poi della Margherita confluita nel PD ed ex Ministro dell' Ambiente, nel 2001 ha presentato un disegno di legge costituzionale per la Provincia Autonoma di Trieste, proposta poi non coltivata ma che dimostra che non ha un marchio ideologico:
CLICCA QUI PER IL DISEGNO DI LEGGE WILLER BORDON 2001 PER LA COSTITUZIONE DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRIESTE. 
Del resto nel dopoguerra la proposta di legge per una Zona Franca a Trieste fu del PCI di Vittorio Vidali (clicca QUImentre oggi la Zona Franca di Gorizia la portano avanti sia il Centro Destra che il Centrosinistra (clicca QUI).


Non può sfuggire a nessuno l'importanza di avere i
ntorno ad un Porto Franco Internazionale, che vuole finalmente espandersi dinamicamente con l' utilizzo produttivo e industriale dei Punti Franchi, un territorio con governance efficiente, esente da  una burocrazia cervellotica e intrisa di cultura del "non se pol ", senza conflitti tra enti e tra congreghe di politici.

Uno dei vantaggi competitivi dei porti di Amburgo e Brema è certamente quello di essere "Città - Stato", addirittura con parlamento e legiferazione propria, federate alla Repubblica Federale di Germania, il che permette integrazione e sviluppo armonioso ed efficiente tra Porto e territorio circostante.


A Trieste invece, grazie al centralismo, bisogna attendere 23 anni per avere i decreti attuativi dei Punti Franchi previsti per legge, 14 anni di niente di fatto per il Sito Inquinato Nazionale, interventi assurdi della Sovrintendenza Belle Arti perfino in Porto Nuovo, fallimento dell' EZIT - ente di promozione industriale costituito nel 1953 dal GMA - per richiesta vampiresca di tasse non dovute da un ente pubblico non commerciale, conflitti e veti incrociati tra enti vari e tra politicanti, burocrazia levantina.

Si pensi se solo Trieste avesse, come Bolzano, la competenza sulla "Tutela del patrimonio storico e culturale" quante angherie 
da parte della Sovrintentenza ministeriale sarebbero evitate al Porto, e non solo...

In attesa che altri, sicuramente migliori di noi, riescano a convincere qualche organismo internazionale ad obbligare il Governo Italiano (evidentemente con la forza come induce a pensare anche la vicenda catalana che tutti dovrebbero analizzare con attenzione) a rispettare integralmente lo status di Trieste derivante dal Trattato di Pace del '47 e dall' affidamento in amministrazione civile disposto dal Memorandum di Londra del 1954, noi ci preoccupiamo per una gestione autonoma ed efficiente del territorio ORAsfruttando gli strumenti immediatamente disponibili, per costituire la base economica e organizzativa di ulteriori sviluppi ed impedire il tracollo economico e civile della nostra città.

Il movimento indipendentista e i lavoratori portuali del CLPT hanno conseguito una grande vittoria nella battaglia per il rilancio dl Porto Franco Internazionale, dimenticato per oltre 60 anni e riconosciuto dai recenti Decreti Attuativi, che ora vive un nuovo dinamismo grazie alle mobilitazioni e alle lotte che ne hanno messo in luce le grandi potenzialità.
Si tratta di proseguire raggiungendo altre tappe e traguardi aggiungendo capacità tattica e politica alla visione strategica.


Per costituire una No Tax Area fiscale da affiancare all' extraterritorialità doganale dei Punti Franchi bisogna mobilitare la città, come ha fatto Gorizia che ha individuato due strade: la ZES (simile a quella recentemente disposta dal Governo per i soli Porti del Sud) e la Zona Franca prevista dal Trattato di Osimo e mai applicata.

E' evidente che per perseguire la "via dell' autonomia" alla rinascita di Trieste, secondo noi da aggiungere alla "via giuridica e giudiziaria" percorsa in questi ultimissimi anni con scarsi risultati pratici e concretamente fruibili, è necessario cercare alleanze con forze in grado di portarla avanti efficacemente nelle opportune sedi istituzionali.

Ed è necessario domandarsi quali siano le forze, esistenti o da creare, disponibili a sostenere seriamente nelle istituzioni il percorso che porti alla Provincia Autonoma di Trieste (o come altrimenti si voglia chiamarla) che trattenga il 100% delle tasse - come già avviene per la Sicilia -  nella prospettiva di una Città Stato federale connessa con la Mitteleuropa.
E a sostenere l' attuazione rapida della No Tax Area fiscale da affiancare all' extraterritorialità doganale dei Punti Franchi.

Su questi punti, che riteniamo ragionevoli, raggiungibili e soprattutto proporzionati alla situazione attuale e alle reali forze in campo, bisogna essere disposti a confrontarsi e ad unire le forze: per la rinascita di Trieste, qui e ora e non solo in un ipotetico futuro.

La finestra temporale concessa a Trieste per trarre vantaggio dai nuovi assetti geopolitici e geoeconomici, di cui la "Nuova Via della Seta" è solo il più evidente, è solo di 2 - 3 anni e non c'è tempo da perdere.
Trieste non può perdere questo ultimo treno che Storia e Geopolitica le mettono a disposizione.


pa.de.

 Il citato paginone dell' edizione veneta del Corriere della Sera del 6 ottobre.