RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 8 settembre 2017

CANALI ED ASCENSORI PER NAVI FLUVIALI: DUE VIDEO SPETTACOLARI - A PROPOSITO DEL CANALE NAVIGABILE TRIESTE - DANUBIO : "SE POL !"

 L' ascensore per navi fluviali di Strépy Thieu (Hainaut, Belgio) 

I nostri articoli precedenti (QUI) sul progetto di canale navigabile da Trieste (Muggia) al Danubio hanno suscitato in qualcuno incredulità sulla possibilità tecnica di realizzazione.
Gli articoli prendevano spunto dal progetto cinese di collegare il Mare Egeo, su cui hanno già il porto del Pireo, al Danubio presso Belgrado.
Ecco, a beneficio dei perplessi, due video che spiegano come si superano ostacoli e dislivilli con navi fluviali di migliaia di tonnellate.
Tra l' altro questi spettacolari ascensori navali diventano anche attrazioni turistiche (a beneficio anche di quelli che parlano solo di turismo e mai di industria e trasporti).




il Video dell' ascensore di 
Strépy Thieu (Hainaut, Belgio) 


Video del più grande ascensore per navi fluviali del mondo è in Cina presso la gigantesca Diga delle Tre Gole sul Fiume Azzurro.


Ecco lo schema di funzionamento: l' energia elettrica è fornita dalla stessa caduta dell' acqua nella vicina centrale idroelettrica.

SE POL, MA BISOGNA VOLER...

Da notare come tutti i grandi porti del Nord Europa sono ben collegati alla rete di navigazione interna


martedì 5 settembre 2017

DA TRIESTE AL MAR GIALLO: LA NUOVA VIA DELLA SETA VISTA DA PAOLO RUMIZ /1


Oggi La Repubblica pubblica il primo articolo di Paolo Rumiz dedicato alla Nuova Via della Seta di cui il nostro Porto Franco Internazionale si candida a diventare terminal europeo.
Ci pare interessante.
Riuscirà Trieste ad essere all' altezza del suo passato quando grazie a personaggi come il Barone Revoltella fu al centro dell' impresa del Canale di Suez ?
Oppure vincerà la Trieste becera e ignorante che non è stata nemmeno presente alla cerimonia del raddoppio dello stesso canale due anni fa? Quella malata che si preoccupa di più per la proposta di insegnamento facoltativo e su richiesta dello sloveno nelle scuole pubbliche che non del futuro economico?

Dal momento che il giornale non si trova più nelle edicole proponiamo ai nostri lettori l' articolo di Paolo Rumiz:


DA TRIESTE AL MAR GIALLO

La rotta delle spezie e dei sogni

prigioniera del nuovo Impero

Di Paolo Rumiz


Scoprii la mia prima Cina a cinque anni, nell’armadio di un roccioso portuale triestino alloggiato al piano sopra il mio. Si chiamava Oscar, abitava una mansarda ottocentesca che spesso frequentavo e dalla quale dominavo il mondo. Da lì mi affacciavo sul cortile, pieno di ufficiali eleganti, del comando anglo-americano in città, e lì, in una polverosa soffitta piena di cianfrusaglie mi trastullavo con un elmetto della Wehrmacht e un moschetto 91. Era la mia tana. Ascoltavo Radio Praga da una vecchia radio piena di interferenze, e divoravo da settimanali storie del conflitto appena finito come fossero cosa di mille anni prima. Fu in quel sottotetto che cominciai a masticare di storia e geografia. E fu quell’armadio a darmi la prima percezione dell’Oriente. Tè, caffè, liquirizia. Non era ancora l’epoca dei container e i portuali tornavano a casa con addosso l’odore delle merci o qualche manata di roba di straforo. Annusando l’armadio di Oscar, era facile capire quali navi fossero arrivate in porto. Sentivo l’Africa, le Americhe e soprattutto l’Oriente. Fu in quell’armadio che trovai il primo curry e il primo cardamomo, per non parlare dell’uva passa turca di ogni taglia e colore. L’incontro con la Cina fu segnato dai grani di pepe nero che zampillarono da una scatola chiusa male e si sparsero a terra come pallini da caccia. Poi vennero lo zenzero, i chiodi di garofano e la scatoletta con l’anice stellato del Sichuan. Quel nome, Sichuan, fu il mio primo invito al viaggio. Lo cercai subito sull’atlante, a da lì partì la mia personale via della seta, lungo il fiume Oxus, il lago Aral, il Karakorum e il deserto del Taklamakan. Quel sogno cinese si inserì senza fatica nell’immaginario della mia città di frontiera e nella storia della mia famiglia. Era stato il barone Pasquale Revoltella a spingere Vienna a puntare sul canale di Suez e a diventare uno dei primi azionisti dell’impresa. Nelle soffitte dei triestini era ancora facile trovare diari di bordo di navigazioni a vela o a vapore su Shanghai e Hong Kong. Lavandaie cinesi avevano lavorato nella città vecchia fino agli anni Trenta e negli uffici degli spedizionieri trovavi cinesi triestinizzati da decenni come un certo Luciano Li Kiang. Antonietto, fratello di mio nonno, era stato commissario di bordo sulle navi del Lloyd Triestino e ci aveva riempito la casa di cineserie. Franco, fratello di mia nonna, comandava il transatlantico Vulcania sulle rotte d’Oriente, e mi lasciò ad assistere a uno dei sui famosi approdi alla stazione marittima senza l’ausilio di rimorchiatori. Ma per me bambino quello era un Oriente astratto, fatto di draghi di ceramica, ninnoli e porcellane. L’Oriente vero, esotico, letterario e carovaniero, era quello arrivato col profumo delle spezie. Era la folgorazione olfattiva. La via della seta di oggi, il nastro trasportatore delle merci con cui Pechino vorrebbe penetrare l’Occidente, mi è arrivata, sessant’anni dopo, per strade sensoriali diverse. È accaduto con uno choc acustico, pochi mesi fa, quando la nave da crociera Majestic Princess, gigante da 150 mila tonnellate e 4500 passeggeri, appena costruita per il mercato cinese dai cantieri di Monfalcone, su ordine della Carnival Corporation, è apparsa nel golfo di Trieste annunciandosi con un potente carillon da guerre stellari, programmato su un motivo totalmente alieno al mio orecchio e alla mia cultura. Quella scala armonica che faceva vibrare il Carso fino alle fondamenta non era la Cina sognata da Occidente, ma la Cina imperiale temuta, che ci entrava in casa con suoni da film kolossal per declinare gli accenti della sua potenza. Era finito un mondo. Non eravamo più noi a cercare l’Oriente, ma l’Oriente a entrarci in casa. «Cinquant’anni fa la Cina era assai più presente nel nostro immaginario di quanto non avvenga oggi nell’era dei container», osserva Claudio Boniciolli, ex direttore generale dell’Adriatica di navigazione e poi presidente dei porti di Venezia e Trieste. «Gli uomini di mare, allora, stavano via da casa anche un anno di seguito. Vivevano i porti molto più intensamente. Mio padre era ufficiale di macchina sulle navi del Lloyd Triestino, e per vedermi nascere dovette chiedere un permesso speciale. La nascita degli altri figli se l’era sempre persa. Quando rientrò, dopo il mio battesimo, sapevo già camminare...». Erano i tempi in cui la bandiera del Lloyd Triestino era di casa nei porti sul Mar Giallo e veniva riconosciuta e rispettata ovunque. Poi venne la crisi delle Partecipazioni statali e lo smantellamento della compagnia con lo sbarco a Trieste dei cinesi di Formosa - società “Evergreen” - che, attraverso i loro emissari in loco, comprarono la società e ne cancellarono il nome. Oggi ci si chiede: dopo anni di indiscriminata delocalizzazione industriale italiana verso la Cina, subiremo o saremo in grado di condizionare la nuova via della seta, dettandone alcune forme e contenuti in modo da tutelare i nostri interessi? L’Italia saprà sfruttare la sua posizione nel Mediterraneo agli effetti del grande gioco? E l’ex porto degli Imperi centrali, la città dell’Orient Express e dei vapori per l’Oriente, sarà capace di ritrovare un suo ruolo? Zeno D’Agostino, presidente del porto di Trieste e di Assoporti, è convinto che dalla 4JML3PBEgli scali italiani possono afferrare al volo una grande occasione, a patto di affrontarla con «complessità di pensiero», perché ai cinesi non interessano i porti in sé, ma tutto ciò che li completa: le ferrovie, le strade, i punti franchi, le aree logistiche. «Dobbiamo parlare di valori, non di un banale corridoio di trasporto. È lì la differenza». In questo momento di stagnazione dell’economia italiana, siamo di fronte a una scommessa cruciale, che può svegliare le buone energie del Paese. «I nostri porti possono diventare il luogo di sintesi di due culture, quella della piccola e media impresa italiana e quella della grande economia di scala cinese. Ci sono industrie del Sol levante che vogliono per così dire italianizzarsi, assorbire il nostro modo di operare. È su questo che dobbiamo lavorare. Sto trattando con una multinazionale del settore alimentare che vede per esempio nella triestina Illy un modello vincente sul piano della qualità, e analogamente all’industria del caffè, punta a importare qui le sue merci per a trasformarle e raffinarle nello spazio del porto franco, in vista di una successiva esportazione». Chissà: forse torna il profumo dell’anice stellato del Sichuan nel porto che fu di Maria Teresa. Per decenni il porto è stato il luogo delle rendite e di miserabili masi chiusi. Uno spazio tenuto al riparo dal mar grande della concorrenza mondiale. Oggi siamo di fronte a un’apertura e a una rivoluzione. Una sfida culturale prima che economica. Per rispondere al tuono del carillon da guerre stellari dobbiamo risvegliare un immaginario addormentato, percepire la nostra centralità mediterranea con respiro strategico, vivendola non solo come luogo di sbarco di disperati ma anche come vantaggio rispetto alle rotte di mare e di terra verso Oriente. Ho un’affascinante carta dell’antica via della seta che mi fu regalata a Varsavia, nel 2012, dal grande reporter Ryzsard Kapuscinski. Le linee di traffico vi sono raffigurate da file di cammelli, i deserti da chiazze ocra e le grandi montagne da tonalità marrone scuro chiazzate dal bianco dei ghiacciai. Forse tutto si gioca, ancora, sulla nostra capacità di sognare.

Continua-

lunedì 4 settembre 2017

PUNTO FRANCO A FERNETTI, ZONA FRANCA A GORIZIA E ALLEGATO ECONOMICO DEL TRATTATO DI OSIMO - SFRUTTARE TUTTE LE OPPORTUNITA': "NON NE VANZA !"

Nell' ottobre dello scorso anno il sindaco di Gorizia Romoli, Centro Destra, presentò a Mattarella lo studio-progetto di una Zona Franca a Gorizia per far rinascere l' economia e con questo la sua parte politica ha poi vinto le elezioni.

Sorpresa: lo studio si basa sulla rivitalizzazione della parte economica del Trattato di Osimo che prevedeva una Zona Franca a cavallo del confine, spostata però da Trieste a Gorizia.

Ne ha dato notizia anche il Piccolo, nella sola edizione di Gorizia, negli articoli che riproduciamo alla fine.

La sorpresa deriva dal fatto che il Centro Destra ha sempre avversato duramente il Trattato di Osimo (testo completo QUI) e la Zona Franca transfrontaliera per motivi nazionalistici e adombrando rischi etnici di "balcanizzazione" che i fatti hanno dimostrati essere solo fantasmi e spauracchi elettorali.
In questo caso a Gorizia ha, giustamente, prevalso il pragmatismo economico sulla paranoia.

In effetti l' Unione Europea nel trattato di associazione della Slovenia ha recepito il Trattato di Osimo con i suoi allegati economici che prevedono oltre al canale navigabile Trieste - Danubio anche una Zona Franca che, a questo punto, non può essere negata dalla UE.


Quest' anno è stato portato un Punto Franco a Fernetti, che così rappresenta l' embrione di una ben più grande Zona Franca logistica e industriale.
Non era necessario trasferirlo da Porto Vecchio: bastava allargare i Punti Franchi esistenti lungo la linea ferroviaria o rivitalizzare la Zona Franca prevista da Osimo

Nell' ottica finalmente affermatasi di usare lo strumento delle Zone Franche e dei Punti Franchi per insediamenti produttivi e industriali sarebbe pragmatico e utile rispolverare ed estendere anche la Zona Franca prevista dal Trattato di Osimo che, essendo solo bilaterale, non ha il potere di modificare lo strato giuridico di "territorio amministrato" di Trieste però quello di istituire zone franche bilaterali si.

Se lo fa Gorizia perchè noi no?


Gli esegeti della piena sovranità italiana su Trieste citano continuamente il Trattato di Osimo (anche quelli della destra nazionalista che lo hanno duramente avversato a suo tempo): se è pienamente valido, come dicono e afferma in particolare il Centro Sinistra, perchè si dimentica solo la parte economica che prevede Zona Franca e Canale Navigabile Trieste - Vienna ?

Noi ci collochiamo dalla parte del pragmatismo: lo sviluppo economico ed il benessere dei triestini valgono più dell' ideologia e sono la priorità di questa fase storica insieme al ricollegamento con l' entroterra naturale del nostro Porto, la Mitteleuropa.

" Ne vanza de dir no" a un' opportunità posta su un piatto d' argento?  


Il Piccolo 28 ottobre 2016 Gorizia


Gect e Comune puntano alla creazione di una Zona economica speciale
Se andrà in porto previste detassazioni per le imprese che vogliono investire
di Francesco Fain. 
L’acronimo è “Zese”. E si riferisce alla cosiddetta “Zona economica speciale europea”: una proposta che il sindaco Romoli ha fatto uscire dal cilindro durante la cerimonia ufficiale con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Mai prima d’ora era stata delineata questa possibile via d’uscita per rendere appetibile agli investitori quella che è diventata una zona depressa. Sì, si era parlato di Zone franche urbane, di Aree a bassa fiscalità, di Labour Belt ma mai era stato prodotto uno studio organico e compiuto che consentisse al Gect (Gruppo europeo di cooperazione territoriale) di recitare il ruolo dell’attore protagonista. Oggi siamo in grado di proporlo in anteprima. L’elaborazione è della direttrice del Gect, Sandra Sodini. Agevolazioni di natura fiscale «Nessuno pensi alla benzina e alla sigarette - premette il sindaco Ettore Romoli -. La “Zese” non è la zona franca old style che si identificava appunto con i contingenti agevolati di carburante, con i “buoni” prima e con la tesserina magnetica poi. Ci riferiamo ad un nuovo tipo di Zona franca che ha come obiettivo arrivare alla detassazione delle imprese e dei capitali finanziari. Ho già sottoposto la proposta e lo studio attuativo all’ambasciatore d’Italia a Lubiana e spedirò, nei prossimi giorni, tutto il materiale direttamente al Ministro Padoan. Ho approfittato della visita del Presidente Mattarella per lanciare questa proposta che se troverà appoggio a livello romano potrà cambiare le sorti di quest’area». Ma entriamo nel dettaglio. «Solo a seguito dell’entrata della Slovenia nell’Unione europea - si legge nello studio - si è compreso quanto il confine avesse condizionato l’economia reale del territorio, essendo oggi testimoni, a 11 anni dalla sua caduta, di una desertificazione imprenditoriale senza precedenti e di un calo demografico che ha portato al taglio di servizi essenziali per i cittadini. Quale futuro per questo territorio? Questa la domanda che si sono dovuti porre gli amministratori delle tre città confinarie negli ultimi dieci anni per cercare di avviare nuovi modelli di sviluppo per risollevare un’economia basata principalmente su un confine che non sarebbe più tornato. Le condizioni del rilancio economico dell’area transfrontaliera traggono origine proprio dall’analisi dei trattati internazionali che ne hanno scandito la storia degli ultimi 70 anni (Ma guarda un po'! ndr.) ed è proprio l’Ue stessa che sembra aver provveduto a pensare, già nel 1998, al futuro di questo territorio attraverso unlungimirante passaggio contenuto nell’accordo di associazione con la Slovenia, ratificato in Italia con la legge 108 del 23 marzo 1998». Nessun rischio di infrazione europea Il titolo decimo dell’accordo, infatti, pone al riparo da ogni rischio di infrazione la previsione, in attuazione alle disposizioni contenute nell’accordo di Osimo in materia di cooperazione economica tra Slovenia ed Italia, di costituire delle “zone franche di frontiera” da istituire mediante accordi tra la Repubblica italiana e la Repubblica slovena. Questa previsione normativa venne accolta con grande favore dagli allora sindaci delle tre città di Gorizia, Nova Gorica e Šempeter-Vrtojba, tanto che venne firmato un accordo il 23 settembre 2000 tra
le tre amministrazioni per promuovere con ogni azione possibile l’istituzione di una “Zona agevolata a cavallo di confine” nel territorio delle tre municipalità. «Tuttavia, nonostante l’importanza del dettato normativo comunitario e le dichiarazioni di intenti sottoscritte tra le tre città, il progetto di istituzione di una zona franca transfrontaliera non decollò, probabilmente per la mancanza degli strumenti giuridici adeguati e per l’evidente difficoltà di attuare un siffatto progetto tra uno stato membro dell’Unione europea ed uno stato non membro, seppure associato, come al tempo risultava la Slovenia - rammenta Sodini -. Oggi, le rafforzate prospettive di collaborazione tra i tre comuni, ma soprattutto il mutato contesto europeo che ha registrato enormi passi avanti mettendo a disposizione innovativi strumenti sia giuridici che programmatori per la costruzione di una Europa realmente senza confini, ci sprona a considerare la fattibilità dell’operazione per attuare non solo il rilancio economico dell’area con una sostenibilità nel lungo termine, ma anche la costituzione di un’azione pilota di successo per superare gli ostacoli determinati dai confini nazionali nelle aree transfrontaliere».

«Così si sfrutta il nostro potenziale»
Sodini (Gect) illustra il piano. Il sindaco Romoli: «Messi a tacere tutti i polemisti»

«Cosa resta della visita di Mattarella a Gorizia? Resta tantissimo. Perché le parole del Presidente sono il riconoscimento del lavoro che questa amministrazione ha fatto nel campo della collaborazione transfrontaliera. Sono stati messi a tacere tutti i polemisti di professione». Ettore Romoli si toglie i proverbiali sassolini dalle scarpe. E attacca 24 ore dopo la visita del Capo dello Stato alla città. «Tutti coloro che dicono che siamo all’anno zero, che bisogna celebrare i matrimoni sul confine, che non abbiamo fatto abbastanza con la Slovenia, sono serviti. Basta polemiche. Basta demagogica». La Zona economica speciale europea gestita dal Gect nell’area dei tre Comuni ricadenti nel territorio di Osimo, rimarca Sandra Sodini, «potrebbe rappresentare quello strumento all’avanguardia che permetterebbe all’Unione Europea di creare uno spazio per la prima volta realmente europeo, non soggetto ai confini nazionali, istituito per attrarre investimenti extra Ue in territorio europeo, sfruttando il potenziale geografico di un territorio centrale in Europa che ha già infrastrutture logistiche d’eccellenza, collegamenti autostradali, aeroportuali e portuali e che potrebbe giocare un ruolo di prim’ordine anche guardando al futuro allargamento dell’Ue all’area balcanica, vicina sia per ragioni geografiche che per la storia di relazioni internazionali che questo territorio ha sempre rappresentato. Le attività che possono essere autorizzate nella Zona economica speciale europea devono essere oggetto di un ulteriore approfondimento tecnico-giuridico che delinei la tipologia di agevolazioni doganali e fiscali da applicare». (fra.fa.)

domenica 3 settembre 2017

CANALE NAVIGABILE TRIESTE - VIENNA: FATTIBILE ED ECONOMICO SECONDO 450 TECNICI CONVENUTI A GRADO NEL 1984 - VIDEO DEGLI IMPIANTI DI SOLLEVAMENTO OPERATIVI IN FRANCIA - DIBATTIAMO SULLE PROSPETTIVE ECONOMICHE NON SULLE SCIOCCHEZZE DEL "MARKETING POLITICO"


"Per ora importa suscitare l' interesse e la coscienza del pubblico che deve tornare ad occuparsi dei grandi problemi dell' evoluzione economica..." Max Fabiani.

E' quello che stiamo cercando di fare con gli articoli di questi giorni riguardanti la progettata Idrovia Trieste-Danubio che trae spunto dalla notizia del progetto cinese di collegare la Grecia al Danubio.

Nei precedenti articoli abbiamo ricordato che esiste dai tempi di Maria Teresa il progetto di collegare Trieste al Danubio, che tale progetto è esplicitato nell' art 4 dell' allegato economico al Trattato di Osimo insieme alla Zona Franca Transfrontaliera (e su questa base  Gorizia richiede una Zona Franca Isontina che la Ue non può contestare perchè prevista da un trattato recepito, mentre la politica triestina tace sulla necessaria No Tax Area da affiancare all' extraterritorialità doganale del Porto Franco).

Gli studi prevedono due ipotesi del punto di sbocco del canale: quello più antico indica Monfalcone, quello più recente invece indica Muggia (clicca sulle rispettive immagini).

 SBOCCO  A MONFALCONE












SBOCCO A MUGGIA
Qui sotto c' è il video dell' impianto di sollevamento navi di Louis/Arzwiller in Francia sul canale Reno-Marne che consente di superare i dislivelli senza l' uso di numerose chiuse.
VIDEO: Impianto di sollevamento navi ASt. Louis/Arzwiller in Francia sul canale Reno-Marne- Altri si trovano a Krasnojarsk in Siberia sul fiume Yenisey. Il più grande è  presso la diga delle “Tre gole“ sul fiume Jangtse in Cina ed è in grado di sollevare navi con un peso di 8.000 tonnellate su un dislivello di 150 m. Gli impianti sono autosufficienti sul piano energetico perchè l' energia elettrica è fornita da centrali idroelettiche alimentate dal movimento dell' acqua dei canali.

Non può sfuggire che tutti i grandi porti del Nord Europa sono efficacemente collegati con la fitta rete di canali e idrovie 

che percorrono il continente e che il trasporto fluviale di merci pesanti costa un cinquantesimo del trasporto terrestre ed inquina molto di meno.

Non può sfuggire che rappresenterebbe un vantaggio competitivo importante avere l' imbocco di un canale navigabile che colleghi Trieste al bacino del Danubio, e da lì a tutta Europa, vicinissimo al futuro Terminal Container del molo VIII, inserito nella Nuova Via della Seta, e dai Punti Franchi utilizzati per insediamenti industriali.

Non può sfuggire che c'è bisogno di investimenti in infrastrutture utili per rilanciare l' economia  (moltiplicatore keynesiano...).


Non può sfuggire che Trieste dovrebbe far parte di organismi internazionali che discutono di queste tematiche come la Macroregione Danubiana, di cui Koper fa parte ma Trieste no per miope scelta italiana.

Non può sfuggire che c' è bisogno di parlare delle prospettive economiche di Trieste invece dei sciocchezzai quotidianamente proposti dal "marketing politico".

Che il dibattito pubblico si occupi di queste cose che sono serie così come è serissima la Nuova Via della Seta di cui parliamo da anni, all' inizio isolati ...cerchiamo di non lasciarci sopravanzare come la questione del canale greco sembra indicare...

Ricollegare Trieste al suo entroterra naturale è la priorità.