RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 4 agosto 2017

"PORTO DI TRIESTE: PERCHE' E' LEGITTIMA LA NO-TAX AREA" - Un articolo del Messaggero su cui riflettere -



Pubblichiamo per intero un articolo di  Giovambattista Palumbo, Direttore dell' Osservatorio Politiche Fiscali Eurispes uscito il 17 luglio scorso sul Messaggero (clicca QUI).

L' articolo è preciso sulle solide basi giuridiche dei vantaggi del Porto Franco Internazionale di Trieste ed anche sugli inadempimenti e colpevole trascuratezza che si sono trascinati dal 1954 ad oggi (sperando sia giunto il giro di boa).

E'un' ulteriore dimostrazione che le tesi del movimento indipendentista triestino sul Porto Franco erano e sono corrette, vere ed utili alla città.
E che chi ha dimenticato in questi anni il Porto Franco, e lo ha anzi denigrato per inseguire chimere paraturistiche attraverso l' eliminazione del Punto Franco, ha torto marcio.

Dal 1954 il Porto Franco poteva essere messo in efficienza mentre dal '91 un' ampia area del Punto Franco del Porto Vecchio poteva essere utilizzata per il Centro Finanziario Off-Shore...
Invece una ottusa politica locale (centro destra) ha osteggiato il Centro Finanziario mentre a livello nazionale, dal centro destra al centro sinistra, hanno omesso per 23 anni i decreti attuativi della legge 84/94, per assumere una postura a 90 gradi nei confronti di Bruxelles e dell' allora Commissario alla Concorrenza Mario Monti, severo nei confronti del Centro Finanziario Off-Shore di Trieste ma cieco rispetto alle mattanze fiscali del Lussemburgo dove il Ministro delle finanze Juncker stringeva patti irriferibili con tutte le multinazionali.


I motivi di questo tradimento della politica locale sono semplici: meglio essere i primi in una città depressa vivendo di ingenti rendite di posizione che trovarsi a fronteggiare l' arrivo di nuovi attori di livello mondiale; meglio vivere di servilismo verso Roma che assumersi le proprie responsabilità.

Quello di una "classe dirigente e politica" locale inetta e servile è una maledizione che Trieste si porta dietro dalle famose Tredici Casade che erano contrarie al Porto Franco, attraversando poi il '900 con i liberal-nazionali che hanno destinato Trieste alla decadenza consegnandola all' Italia con il loro "irredentismo" da operetta, coi sedicenti autonomisti della "Lista per Trieste" che si sono rapidamente allineati fondendosi coi partiti nazionali per arrivare agli attuali sconcertanti mestieranti di tutti gli schieramenti capaci solo di blaterare di turismo di massa in Porto Vecchio tentando di racattare consenso a buon mercato in assenza di qualsiasi risultato concreto o almeno strategia credibile.

Le spinte geopolitiche e i fatti hanno spiazzato tutti costoro perchè l' Italia ha un solo modo per evitare di essere tagliata fuori dalle nuove correnti di traffici mondiali che hanno nella Nuova Via della Seta l' esempio più evidente: il Porto Franco Internazionale di Trieste.


Che Trieste sia solo un Territorio Amministrato o in piena sovranità ha per l' Italia importanza relativa: il Porto Franco Internazionale di Trieste è una delle poche carte che un paese alla canna del gas può giocarsi in un Mediterraneo che va crescendo di importanza grazie al raddoppio di Suez e le rotte con l' estremo oriente e in cui lo Stivale conta sempre meno come dimostrano anche gli smacchi in Libia.
Il Porto Franco Internazionale di Trieste è una vacca da mungere dopo che per anni è stata trascurata e ridotta alla rovina.


Per i Triestini è importante invece che i frutti di questa risorsa non vengano loro sottratti: il 100% del gettito fiscale deve restare a Trieste come primo parziale risarcimento di oltre 60 anni di abusi, malgoverno e menefreghismo italico.
Lo strumento che riteniamo più praticabile è la Provincia Speciale Autonoma come Bolzano.


Ecco l' articolo:
Porto di Trieste, perché è legittima la no tax area
La Brexit comincia a far vedere i suoi primi vantaggi per il sistema Italia. Uno di questi è rappresentato dal riconoscimento di una sorta di “no tax area” nel Porto di Trieste. In realtà, peraltro, Trieste era già sede di un porto franco, che rappresentava e rappresenta un unicum nell’ordinamento giuridico italiano e comunitario. Il Porto Libero di Trieste è stato infatti istituito il 18 marzo 1719 come porto extraterritoriale per lo sviluppo economico di tutte le Nazioni del centro Europa.

Alla fine della seconda guerra mondiale, con la sottoscrizione del Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 nell'allegato VIII e, in seguito, con il Memorandum di Londra del 1954, è stato riconosciuto e disciplinato il regime del Porto Libero di Trieste, attribuendogli lo status di Porto Franco internazionale, ovvero di zona extraterritoriale ed extradoganale. I principi sanciti dal Trattato di pace del 1947 e dal Memorandum di Londra del 1954 vennero poi accolti nell'ordinamento giuridico italiano con i decreti del Commissario Generale del Governo n. 29 del 19 gennaio 1955 e n. 53 del 23 dicembre 1959.

L’articolo 169 del Dpr n. 43/73 (Testo unico della legge doganale) stabiliva poi che per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste previsti nell’allegato VII del Trattato di pace, dovevano restare ferme, in deroga a quanto stabilito negli articoli precedenti del medesimo Testo unico, le disposizioni più favorevoli. E del resto, ai sensi dell’articolo 1, par 1, del Codice Doganale Comunitario “sono fatte salve le convenzioni internazionali ai fini dell’applicazione del medesimo codice”, e quindi, anche il predetto Trattato di pace di Parigi.

La legge 28 gennaio 1994, n. 84, sul «Riordino della legislazione in materia portuale», all’articolo 6, comma 12, faceva infine salva la disciplina vigente per i punti franchi del porto di Trieste, demandando al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita l’autorità portuale competente, il compito di stabilirne con un proprio decreto l’organizzazione amministrativa. Si evidenzia peraltro che l’idea di rafforzare e chiarire lo status di area agevolata nel Porto di Trieste non è nuova. La “legge sulle aree di confine” n. 19 del 1991 prevedeva infatti l’istituzione di un Centro Finanziario Off-Shore nel Punto Franco di Porto Vecchio.

La Legge 19/91, art. 3, comma 1 e 4, disponeva, tra le altre, che “Ai fini della promozione e dello sviluppo dell’attività finanziaria …, è istituito un Centro di servizi finanziari ed assicurativi ove operano filiali, sussidiarie affiliate di istituzioni creditizie, di società di intermediazione mobiliare, di società fiduciarie, di enti e società di assicurazione, di società finanziarie che raccolgono fondi sui mercati internazionali presso non residenti da utilizzare unicamente fuori del territorio dello Stato italiano con non residenti. … I soggetti operanti nel Centro per le attività che ivi svolgono non sono considerati residenti in Italia ai fini valutari e bancari; sono esclusi da obblighi di sostituzione relativamente ad imposte italiane …”.

La citata legge è però poi rimasta inapplicata, causa la mancata emanazione dei decreti attuativi. E questo nonostante che, come visto, già in base alla precedente normativa nazionale e doganale in realtà fosse consentito, per il porto di Trieste, uno status speciale molto favorevole, non del tutto però utilizzato, almeno fino ad oggi. Ma perché? Probabilmente perché in Italia, nell’interpretazione delle norme comunitarie, siamo spesso più restrittivi (per lo più per paura) della stessa Commissione Europea.

E il fatto che, nonostante un quadro normativo in fondo abbastanza chiaro, il problema della corretta individuazione delle norme sovranazionali applicabili al Porto Franco di Trieste sia stato considerato per decenni non risolto, dimostra come tendiamo a complicarci la vita. Il Trattato CE e gli atti da esso derivati non erano del resto applicabili alle materie regolate dal Trattato di pace e dai suoi Allegati per la semplice ragione che è il medesimo Trattato CE a garantire, all'art. 234, la salvaguardia degli impegni pattizi precedentemente sorti.

Per le aree portuali triestine vigeva dunque, fin dal 1947, un regime giuridico più favorevole rispetto a quello previsto per le aree doganali «franche» ai sensi del diritto interno o comunitario. L’averlo ora finalmente chiarito senza tentennamenti è un passo comunque importante. Come si dice: meglio tardi che mai.

di Giovambattista Palumbo

Direttore Osservatorio Politiche Fiscali Eurispes

martedì 1 agosto 2017

PORTO VECCHIO: LACRIME DI COCCODRILLO SUL CENTRO FINANZIARIO OFF-SHORE IN PUNTO FRANCO - PROVINCIA SPECIALE AUTONOMA A TRIESTE COME A BOLZANO, TRATTENENDO IL 100% DEL GETTITO FISCALE SUL TERRITORIO.


Non siamo gli unici a evidenziare l’ importanza dei referendum del 22 ottobre  prossimo per l’ autonomia del Lombardo-Veneto.
Abbiamo detto che  saranno l’ occasione per far prendere il volo all’ idea di una Provincia Speciale Autonoma di Trieste che trattenga il 100% del gettito fiscale.
Un idea che trae forza  dalla situazione di “Territorio Amministrato” dal Governo Italiano della zona A, coincidente con la eliminata Provincia di Trieste, conseguente al Trattato di Pace del ’47.
In un articolo sul Piccolo di lunedì 31 luglio scorso Giovanni Bellarosa versa lacrime (di coccodrillo ?) sul Centro Finanziario Off-Shore che avrebbe utilizzato il regime di Porto Franco previsto dalla legge 19 del 1991.
Questo Centro Finanziario avrebbe dovuto sorgere nell’ area di Porto Vecchio vicina alla sede della Generali utilizzandone l’ extraterritorialità doganale.
Aveva sponsor importanti come l’ AD di Generali Desiata e l’ economista Nino Andreatta.
Tuttavia tutto è stato lasciato finire nel nulla, nela palude del “non se pol” locale ed europeo:  noi ne abbiamo parlato più volte come esempio positivo  di utilizzo produttivo del Punto Franco di Porto Vecchio che una “classe politica e dirigente locale” di “minus habens” ha invece brigato per far eliminare venendo sbugiardata dagli attuali sviluppi che prevedono un utilizzo produttivo, industriale e nei servizi dei Punti Franchi.

Anche Illy, in modo meno estremista del suo compagno d’ area  Pacorini, si era pronunciato contro il Punto Franco perché, a suo dire, avrebbe… comportato un noioso  obbligo di dichiarazione degli attrezzi agli addetti alle riparazioni delle macchinette del caffè…
Adesso Giovanni Bellarosa, già segretario Generale della Giunta Illy, dice: “..legge, la 19 del 1991 sulle aree di confine. Essa prevedeva vantaggi in particolare per Trieste con il recupero della disciplina del Porto franco per costituire il Centro di intermediazione economica e finanziaria offshore, che avrebbe dovuto essere coltivato e difeso con fermezza, anziché trascurato come è colpevolmente avvenuto tanto da giungere alla sua revoca.”  Meglio arrivarci tardi che mai….  

Ma dice anche sulle Regioni e Province Autonome: “si salva solo Bolzano protetta da un Trattato di pace  che per inciso è all’origine anche della nostra specialità (della Regione Friuli-VG).”
Però nel Trattato di Pace del 1947 non si fa cenno alcuno alla autonomia della Regione sorta appena nel 1963.
il TdP istituisce il Territorio Libero di Trieste la cui zona A e stata affidata al Governo Italiano in Amministrazione Civile Provvisoria con il Memorandun del 1954, come opportunamente ricorda il Decreto Attuativo del Porto Francio varato pochi giorni fa.
Per analogia con Bolzano al territorio della defunta Provincia di Trieste spetterebbe quantomeno un trattamento analogo.
Bolzano è una Provincia Speciale Autonoma che trattiene il 90% del gettito Fiscale.
Riconoscere a Trieste uno status analogo sarebbe il minimo dopo anni di disastroso malgoverno, in attesa di ulteriori sviluppi, applicando la facoltà di trattenere il 100% del gettito fiscale: cosa attualmente riconosciuta alla Sicilia oltre alla facoltà di gestire autonomamente l’ ordine pubblico, e senza la “copertura” di alcun Trattato di Pace…
Il muro di malgoverno e menefreghismo che ha stritolato Trieste fino ad oggi sta  mostrando vistose crepe: si tratta di allargarle per farlo franare.
Non sarebbe il “tutto e subito o niente” tanto caro agli estremisti ma il “possibile prima possibile”.

Ecco l’ articolo del Piccolo del 31 luglio:
IL FVG DAVANTI AL VOTO DI LOMBARDIA E VENETO
di GIOVANNI BELLAROSA
Dopo una contesa sino alla Corte costituzionale, in ottobre si celebreranno in Lombardia e Veneto i referendum per l’autonomia. L’iniziativa non ha un grande rilievo istituzionale o carattere separatista. La possibilità è infatti già prevista dall’articolo 116 Costituzione, purché lo Stato, con sua legge, lo consenta. Il problema sta nel “purché”, in quanto le resistenze sono forti. Il motivo della consultazione è un altro: smuovere situazioni cronicamente ingessate. Il sì al quesito è probabile, ma l’interesse dell’osservatore si concentra sull’affluenza: se bassa, le cose non muteranno. Lo stesso potrebbe avvenire pur davanti a un concorso plebiscitario, ma l’effetto politico sarebbe rilevantissimo. Infatti, sino a ora nessuno ha potuto o saputo misurare il grado di affezione per gli enti regionali a prescindere dal giudizio sugli amministratori. Quindi, la domanda sottesa è un’altra: volete essere gestiti dal centro oppure preferite più ampi spazi da gestire localmente? I referendum saranno così una cartina di tornasole tra centralismo e autonomia. Per di più sono indetti in due grandi regioni, per un numero alto di elettori e coinvolgono una parte dinamica della società italiana sotto ogni profilo, economico e culturale in primis. Infine, si evidenzierà l’interesse per i temi istituzionali, come ha dimostrato la grande partecipazione del 4 dicembre scorso, in un periodo in cui la disaffezione alla politica e l’impossibilità di scegliere i parlamentari, nominati dai partiti, ha allontanato il Popolo dallo Stato. Cosa interessa tutto questo a noi, Regione speciale?
Sarebbe poco lungimirante trascurare l’evento considerata la vicinanza e il fatto che i nostri collegamenti con il resto d’Italia passano per il Veneto.
Vi è poi un discorso istituzionale essendo noto che le Regioni ad autonomia differenziata non sono amate: si salva solo Bolzano protetta da un Trattato di pace  che per inciso è all’origine anche della nostra specialità.
 Sono tutte buone ragioni perché il Friuli Venezia Giulia non si isoli: piuttosto che affrontare nella prossima legislatura un confronto o forse una contrapposizione con le consorelle ordinarie, è più utile sostenere le spinte per una legittima maggiore autonomia altrui, anche per trarne vantaggio. Non si tratta di favorire una macroregione, ma di intese, alla pari, tra istituzioni.
 Lo consiglia poi una tradizione importante se pensiamo che già nel 1991 l’alleanza e l’appoggio del Veneto consentì di ottenere l’ultima grande legge, la 19 del 1991 sulle aree di confine.
Essa prevedeva vantaggi in particolare per Trieste con il recupero della disciplina del Porto franco per costituire il Centro di intermediazione economica e finanziaria offshore, che avrebbe dovuto essere coltivato e difeso con fermezza, anziché trascurato come è colpevolmente avvenuto tanto da giungere alla sua revoca.
Non ultima, la grande opportunità di riavviare un rapporto organico e soprattutto stabile tra le aree dell’alto Adriatico e del vicino centro Europa.

I Gruppi di cooperazione territoriale, destinati a gestire programmi europei, sono poca cosa. Qui è necessario un progetto di ampio respiro da promuovere con il Veneto e mirato a una “intesa politica”, nel senso alto del termine, come, per intendersi, fu l’originaria Comunità Alpe Adria, per sviluppare azioni coordinate con Slovenia, Croazia e Austria tese a riportare l’Alto Adriatico al centro dei traffici per l’Europa continentale. Il percorso non è agevole anche perché mancano nell’ordinamento italiano strumenti giuridici adeguati e per le prevedibili resistenze della diplomazia; ma lo era anche negli Anni ’80 in una situazione geostrategica ben più complicata.
Oggi invece, per un interlocutore locale forte e credibile, ci sono le condizioni per calamitare il rinato interesse per questa parte del Mediterraneo.