RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

lunedì 24 aprile 2017

MASSIMILIANO D' ASBURGO FUCILATO IN MESSICO. OPPURE NO ? Un articolo dell' inserto culturale del Corriere sulla mostra in corso a Miramar ripropone la vicenda di Massimiliano I salvato in quanto massone come Juarez e per intervento del massone Garibaldi e vissuto col nome di Justo Armas a San Salvador fino al 1937.


Sull' ultimo numero de  "La Lettura", inserto culturale del Corriere della Sera, Loris Zanatta, docente di Storia e Istituzioni delle Americhe all' Università di Bologna, ripropone una versione della vicenda di Massimiliano I Imperatore del Messico molto diffusa soprattutto in Sudamerica (clicca QUI).

Il nostro Massimiliano avrebbe avuto in realtà salva la vita in quanto massone come il futuro Presidente Benito Juarez e per il noto e storicamente accertato intervento a suo favore di Giusppe Garibaldi che era Gran Maestro della Massoneria Italiana.

Così l' articolo, che prende lo spunto dalla mostra di cimeli in corso nel Castello di Miramar:
"
Vuole la leggenda, infatti, che in realtà Benito Juárez risparmiasse davvero la vita a Massimiliano; e che lo facesse in nome del legame occulto che li univa: l’affiliazione massonica, la stessa che aveva indotto Giuseppe Garibaldi a intercedere. Il prezzo da pagare per avere salva la vita, però, fu salato: giurò di isolarsi dal mondo e di celare per sempre la sua vera identità. Ecco così che proprio Massimiliano si sarebbe celato dietro l’identità di Justo Armas, un signore distinto e colto comparso un giorno per le strade di San Salvador dicendo di essere sopravvissuto a un naufragio; un uomo assai  somigliante al principe asburgico, che stupiva tutti girando scalzo in città per rispetto, spiegava, a un ex voto fatto alla Vergine che l’aveva salvato da morte certa. Lì sarebbe vissuto fino all’età di centoquattro anni, al 1937, più a lungo di Carlotta, morta vedova nel suo Belgio natio undici anni prima.
Chissà: forse tutto ciò è falso, benché vi sia chi a corroborare tale mito ha dedicato anni di ricerche, raccogliendo indizi sufficienti a generare seri interrogativi. Piace però pensare che, uccidendo l’Asburgo ma salvando Massimiliano, Juárez avesse senza saperlo liberato l’uomo che la storia aveva imprigionato in un ruolo che non gli si addiceva; e che Justo Armas vivesse libero e in pace con se stesso. Non sarà vero, ma in fondo suona verosimile ed è senz’altro più piacevole che pensarlo crivellato di colpi dal plotone d’esecuzione."
Del resto anche noi, che proviamo per lui umana simpatia, preferiamo pensare a Massimiliano vivo piuttosto che fucilato...


L' appartenenza alla Massoneria di Massimiliano era nota, come quella dell' avo imperatore Francesco I, marito di Maria Teresa d' Austria, ed altri sovrani liberali dell' epoca come Federico II di Prussia, ed in proposito era uscita una interessante nota su "Bora.La":
"Esiste una imponente statua dedicata a Massimiliano d’Asburgo, inaugurata alla presenza dell’imperatore Francesco Giuseppe.
E’ interessante notare ed osservare come su uno dei lati della statua  vi sono simboli che ben ricordano l’affiliazione massonica di Massimiliano, ad esempio la tradizionale squadra e compasso, una delle colonne del tempio,quella che sembra essere la testa della dea Minerva, simbolo, all’interno della massoneria, di saggezza e conoscenza. Una statua che vuol rappresentare anche la concordia tra Oriente ed Occidente e forse  un monito per l’errore commesso nei confronti di un “fratello.(clicca QUI).


Ecco l' articolo del Corriere:

L’Asburgo fucilato. O no?

Se breve fu la vita felice di Francis Macomber, come recita il celebre incipit di un racconto di Ernest Hemingway, figuriamoci quella di Massimiliano d’Asburgo, che, nato a Vienna nel 1832 tra i tappeti e gli arazzi dei palazzi reali, morì trentacinque anni dopo sotto i colpi di un plotone di esecuzione messicano. «Vivere come un principe», si usa dire di chi se la passa bene: non fu il suo caso. O meglio: così pareva dover essere, finché la storia, il destino, la provvidenza, forse solo la sfortuna, stabilirono altrimenti. Perché la domanda è d’obbligo: come diavolo capitò che quel giovane sentimentale, amante dell’arte e della botanica, così innamorato della sua Carlotta da farle edificare il candido castello di Miramare che ancora oggi si erge come un nido d’amore dinanzi al mare infinito di Trieste, terminasse così presto e così male i suoi giorni? Dall’altra parte dell’oceano, poi!
Di problemi a onor del vero il giovane principe, cui ora viene dedicata una mostra proprio nel castello di Miramare, ne aveva già avuti. Nell’aprile 1859 il fratello Francesco Giuseppe, l’imperatore d’Austria, lo aveva richiamato da Milano: era furioso; non aveva affatto gradito lo spirito troppo liberale con cui Massimiliano aveva governato il Lombardo-Veneto. È vero che ce l’aveva spedito sperando di attenuare i guasti causati dalla durezza del feldmaresciallo Josef Radetzky, ma era pur sempre il rampollo di una dinastia erettasi a bastione antiliberale. Le sconfitte militari dell’Austria nella successiva guerra con il Piemonte e la Francia di Na- poleone III, anche se lui era già stato destituito, non giovarono alla sua fama e così non gli rimase che l’esilio. Tra l’uomo e la carica, tra Massimiliano e la dinastia degli Asburgo, le sue idee e il dovere che il ruolo gli assegnava, s’era già aperta la fessura che, divenuta squarcio, ne segnò il dramma.
Data tale premessa, infatti, suona grottesco che proprio a lui si rivolgessero gli aristocratici messicani in cerca di un monarca cui imporre la corona del loro impero restaurato; ruolo che implicava la difesa armata della Chiesa dai senza Dio liberali di Benito Juárez, colpevoli di averne colpito lo strapotere con audaci riforme. Ma di altrettanto cattivo augurio fu per il suo destino che proprio a lui si affidasse Napoleone III, allorché decise di inviare le truppe francesi in Messico per farvi garrire le bandiere della cattolicità e della latinità: gli Stati Uniti, era la scommessa, in piena guerra di Secessione, non avrebbero potuto far altro che buon viso a cattivo gioco, piegarsi al regno di un europeo ai loro confini, in barba alla dottrina Monroe. E così Massimiliano, uomo inquieto e a suo modo illuminato, s’imbarcò nella difesa del più retrivo conservatorismo: divenne imperatore del Messico e imperatrice la sua amata Carlotta; correva l’anno 1864. Tale era l’equivoco da non promettere niente di buono.
Difatti durò poco e finì male. Tempo pochi anni e, abbandonato da tutti, Massimiliano si ritrovò solo a capo di una causa persa in un Paese remoto e straniero: oltre il Rio Grande finì la guerra civile e il Nord, che ne era uscito trionfatore, non tardò un istante ad armare gli eserciti liberali messicani perché scacciassero gli europei accampati davanti all’uscio di casa; cosa che Benito Juárez fece con gran piacere e ancor più violenza, irretito dal drappo rosso dell’odioso connubio tra clericali e occupanti stranieri. I francesi, vista la malparata e la minaccia tedesca che si profilava ai loro confini, pensarono bene di fare armi e bagagli: non era più tempo di avventure. Ritirarono così le truppe dal Messico, lasciando Massimiliano nelle mani della buona sorte e dei suoi alleati conservatori; per i quali, ciliegina sulla torta, quell’imperatore elegante e colto pescato quasi a caso nel Vecchio Mondo s’era rivelato assai diverso da ciò che essi cercavano: troppo liberale, una volta ancora, troppo moderno.
Tirate le somme, il risultato era scontato: sconfitto sui campi di battaglia, si rifiutò di lasciare il Paese e venne fucilato il 19 giugno 1867, 150 anni fa. Le numerose richieste di clemenza caddero nel vuoto: Benito Juárez, repubblicano e anticlericale, non poteva perdonare ai conservatori di avere spalancato le porte del Paese alla restaurazione monarchica e all’invasione straniera. Punendoli duramente, li cancellò dalla storia messicana, dove da allora nessun partito propriamente conservatore ha più trovato spazio.
Era però inevitabile che, intorno a una vita così rocambolesca e a una morte così precoce e clamorosa, fioccassero miti e leggende. E che, come sempre capita, storia e mito si intrecciassero fino a confondere i loro confini. Vuole la leggenda, infatti, che in realtà Benito Juárez risparmiasse davvero la vita a Massimiliano; e che lo facesse in nome del legame occulto che li univa: l’affiliazione massonica, la stessa che aveva indotto Giuseppe Garibaldi a intercedere. Il prezzo da pagare per avere salva la vita, però, fu salato: giurò di isolarsi dal mondo e di celare per sempre la sua vera identità. Ecco così che proprio Massimiliano si sarebbe celato dietro l’identità di Justo Armas, un signore distinto e colto comparso un giorno per le strade di San Salvador dicendo di essere sopravvissuto a un naufragio; un u o mo a s s a i s o migl i a nte a l p r i nc i p e asburgico, che stupiva tutti girando scalzo in città per rispetto, spiegava, a un ex voto fatto alla Vergine che l’aveva salvato da morte certa. Lì sarebbe vissuto fino all’età di centoquattro anni, al 1937, più a lungo di Carlotta, morta vedova nel suo Belgio natio undici anni prima.
Chissà: forse tutto ciò è falso, benché vi sia chi a corroborare tale mito ha dedicato anni di ricerche, raccogliendo indizi sufficienti a generare seri interrogativi. Piace però pensare che, uccidendo l’Asburgo ma salvando Massimiliano, Juárez avesse senza saperlo liberato l’uomo che la storia aveva imprigionato in un ruolo che non gli si addiceva; e che Justo Armas vivesse libero e in pace con se stesso. Non sarà vero, ma in fondo suona verosimile ed è senz’altro più piacevole che pensarlo crivellato di colpi dal plotone d’esecuzione.


MANET - LA FUCILAZIONE DI MASSIMILIANO


L' AUTORITA' PORTUALE DISPOSTA AD INTITOLARE IL CANAL GRANDE A MARIA TERESA SE IL COMUNE LO RICHIEDE, COME SUO COMPITO - ADESSO LA POLITICA VENGA ALLO SCOPERTO - RIPRESA LA NOSTRA PROPOSTA DI INTESTARE A JOSEF RESSEL IL MOLO DELLA STAZIONE MARITTIMA


Il Presidente D' Agostino attende una pronuncia del Comune per procedere all' intitolazione del Canal Grande a Maria Teresa d' Austria -
Sfora il muro del silenzio anche la nostra proposta di intitolare il Molo della Stazione Marittima a Josef Ressel, il concittadino che inventò l' elica navale, la posta pneumatica e rimboschì il Carso.

Dall' articolo odierno del Piccolo:

Nell’attesa arriva un’ulteriore proposta. «Prendiamo atto dell’ammissione di incompetenza del sindaco e ci auguriamo che il presidente D’Agostino riesca a provvedere in tempo anche a questa necessità simbolica ma importante, tanto più che Maria Teresa è ricordata per lo sviluppo del Porto Franco di Trieste - propone il gruppo di Rinascita triestina -. Osserviamo che se il Canale è di competenza dell’Autorità portuale altrettanto può dirsi dei moli. Nulla vieterebbe allora che il presidente D’Agostino, in una sola volta, intitolasse il Canal Grande a Maria Teresa e il molo della Stazione marittima a Joseph Ressel, l’illustre concittadino che inventò, brevettò e collaudò a Trieste nel 1829, addirittura, l’elica navale che rivoluzionò la navigazione di superficie, rese possibile quella subacquea e pose le basi per quella aerea. Un gigantesco merito dimenticato in città e che gli è valsa solo l’intitolazione di un vicoletto periferico». 

Il Piccolo 24/4 pag.18
L’Autorità portuale apre al Canal Grande dedicato a Maria Teresa.
Per D’Agostino nessun ostacolo all’intitolazione dell’area Lo stesso discorso vale per un monumento allo squero


di Fabio Dorigo
«Noi diamo una mano, non ci mettiamo certo di traverso». Il Porto di Trieste non si opporrà agli eventuali riconoscimenti per il trecentesimo genetliaco di Maria Teresa. Sia che si tratti dell’intitolazione del Canal Grande che dell’edificazione di un monumento nell’area del piccolo squero all’inizio dello stesso Canal Grande. Entrambe ricadono nel demanio marittimo e sono quindi di competenza dell’Autorità portuale. «Il Porto di Trieste ha un debito storico verso l’Austria», spiega Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico orientale. «È pur vero che stiamo parlando di un’area demaniale gestita da noi. Ma, come nel caso del Parco del mare, l’Autorità portuale non entra nel merito delle scelte strategiche, storiche ed estetiche della città. È il sindaco che deve avere una visione della città. Quando mi dice cosa ha intenzione di fare noi aiutiamo queste decisioni. Sia nel caso dell’intitolazione che della statua. Con il sindaco ci ritroveremo per capire le reali intenzioni e per fare le scelte migliori per la città», aggiunge D’Agostino, che ha già incontrato alcuni rappresentati del Comitato per l’erezione di un monumento a Maria Teresa d’Austria e che ha ricevuto nei giorni scorsi un appello da parte delle 25 associazioni che hanno sottoscritto la petizione per l’intitolazione del Canal Grande. Il “non possumus” del primo cittadino Roberto Dipiazza («I canali fanno parte del demanio marittimo e non sono considerate aree di circolazione dal punto di vista toponomastico. Ne consegue quindi che non è possibile effettuarvi un’intitolazione») appare quindi superata. La precedente amministrazione, guidata da Roberto Cosolini, è riuscita a intitolare il Ponte Curto (Passaggio Joyce) che attraversa proprio il Canal Grande. «Non sono io il sindaco della città. Sono al massimo il sindaco del Porto. E in questa veste, se c’è un interesse pubblico della città, mi piego tranquillamente. Se il Comune prende una decisone noi siamo al suo fianco. È la città che deve dirmi a chi intitolare il canale o se vuole erigere un monumento», aggiunge il presidente dell’Autorità portuale. Come dire, se ci fosse una richiesta del Consiglio comunale, che impegna sindaco e giunta, non ci sarebbe problema ad arrivare all’intitolazione, magari in tempo per la data del 13 maggio, giorno del giubileo tricentenario della nascita di Maria Teresa d'Asburgo. È questione di volontà politica. Con anticipo sulla ricorrenza, ancora lo scorso anno, 25 associazioni triestine avevano chiesto al Comune con una petizione un segno toponomastico per ricordare la sovrana. Un’iniziativa simbolica e a costo praticamente zero. Ma l’amministrazione comunale ha atteso cinque mesi prima di degnare le associazioni di una risposta, arrivata il 5 aprile solo dopo un sollecito inoltrato a inizio marzo. All’esame dell’amministrazione c’è anche il monumento a Maria Teresa a cui sta lavorando (attraverso una colletta) un apposito Comitato. «Abbiamo ragione di credere che il sindaco non sia contrario e pensiamo che i cinque siti individuati siano tutti adatti a rendere onore a Maria Teresa con un monumento. L’obiettivo del Comitato è erigere il monumento nel Borgo da lei creato dal nulla, ed è difficile che l’amministrazione comunale possa essere contraria ad una così genuina proposta», spiega il promotore Massimiliano Lacota che è pure portavoce in Italia della Casa d’Austria. Oltre allo squero sulle Rive davanti al Canal Grande, il Comitato ha individuato altri quattro siti a all’interno dell'area del Borgo Teresiano, cioè piazza Ponterosso, piazza Sant’Antonio, Largo Panfili e via delle Torri. Nell’attesa arriva un’ulteriore proposta. «Prendiamo atto dell’ammissione di incompetenza del sindaco e ci auguriamo che il presidente D’Agostino riesca a provvedere in tempo anche a questa necessità simbolica ma importante, tanto più che Maria Teresa è ricordata per lo sviluppo del Porto Franco di Trieste - propone il gruppo di Rinascita triestina -. Osserviamo che se il Canale è di competenza dell’Autorità portuale altrettanto può dirsi dei moli. Nulla vieterebbe allora che il presidente D’Agostino, in una sola volta, intitolasse il Canal Grande a Maria Teresa e il molo della Stazione marittima a Joseph Ressel, l’illustre concittadino che inventò, brevettò e collaudò a Trieste nel 1829, addirittura, l’elica navale che rivoluzionò la navigazione di superficie, rese possibile quella subacquea e pose le basi per quella aerea. Un gigantesco merito dimenticato in città e che gli è valsa solo l’intitolazione di un vicoletto periferico».







domenica 23 aprile 2017

CAMBIA IL VENTO SUI MARI ANCHE CON L' USO PRODUTTIVO DEI PUNTI FRANCHI MENTRE QUELLI DEL"TURISMO DI MASSA" CONTINUANO A FAR DANNI PURE AL COMMERCIO IN CRISI


Fino a poco fa sul Piccolo non avreste potuto leggere una frase come la seguente, che trovate sull' articolo odierno che riportiamo sotto:
"Un altro elemento di forte attrazione per gli investitori orientali può essere rappresentato dalla presenza dei Punti franchi dove poter svolgere anche operazioni di trasformazione delle merci."

Fino a poco fa andava di moda il pensiero unico dei vari Pacorini e PD che consideravano i Punti Franchi

una cosa "obsoleta" e da "nostalgici" mentre la città doveva puntare tutto non sulla ricostruzione del tessuto industriale distrutto ma sul turismo di massa con l' urbanizzazione di Porto Vecchio con i fantasticati "due milioni di turisti all' anno"(clicca QUI), i Parchi del Mare da "un milione" di turisti sognati e i "concerti Rock" da centinaia di migliaia e via delirando: ritornando di fatto al tempo delle bancherelle di bambole e dei jeansenari.

La nuova amministrazione di Centro Destra ha fatto propria questa deleteria linea politica puntando anch' essa tutte le risorse economiche, che non ha, sulla urbanizzazione in chiave turistica di Porto Vecchio e sulle bancherelle con manifestazioni a raffica "perchè attirano turisti".
Anche se arriva un turismo povero con le bancarelle che vengono da fuori, cosa dubbia, gli acquisti vengono fatti a danno del commercio triestino che qui paga le tasse ed ha rilevanti costi di gestione dei negozi che animano la città ed è già in gravissima crisi con la chiusura di 300 esercizi di cui molti storici e la perdita di migliaia di posti di lavoro veri e stabili.


Di tutto ha bisogno meno che dell' arrivo della concorrenza delle bancarelle che assorbono il già scarso potere d' acquisto dei cittadini e dell' apertura di nuovi Centri Commerciali ed esercizi in Porto Vecchio o all' ex-Olcese.


Se il turismo può contribuire al PIL di Trieste, che non è Lignano o Venezia, può venire da turismo qualificato e congressuale: ma del nuovo Centro Congressi al Silos annunciato in pompa magna da anni non si sa nulla mentre il Silos è diventato un bivacco indecente.


Mentre la Politica continua con le sue sceneggiate dannosissime c'è chi lavora in silenzio per creare lavoro vero e sviluppo economico: e i risultati arrivano sia con lo sviluppo dell' opportunità delle Nuove Vie della Seta ( vedi articolo sotto) sia con l' utilizzo produttivo dei Punti Franchi come alla base Saipem per la Robotica Subacquea nel Punto Franco di Porto Vecchio (vedi video sotto).
Fatti, non chiacchiere !


Il Piccolo  23/4 pag.33
Arriva la nave superveloce per la Cina L’8 maggio la toccata triestina della portacontainer Apl Oregon. Ridotta di cinque giorni la durata del viaggio da Shanghai
La Cina è più vicina. Da questo mese, con la prima partenza dal Far East, il servizio di trasporto container Ocean Alliance per l’Adriatico (Cma Cgm-Evergreen-Cosco Shipping-Oocl), che scala settimanalmente il Molo Settimo, rimpiazza il vecchio servizio Ocean 3. Così la rotazione e il transit time per Trieste. In direzione ovest (import): Shanghai (trentadue giorni), Ningbo (trentuno), Pusan (ventotto), Shekou (ventiquattro), Singapore (venti), e in direzione Est (export) da Trieste: Gedda (quindici giorni), Port Klang (ventotto), Shekou (trentatre), Shanghai (trentotto), Ningbo (trentanove), Pusan (quarantadue). Con il nuovo servizio, la clientela potrà beneficiare di una riduzione del transit time verso il Sud-Est asiatico e la Cina, in confronto alle soluzioni proposte dall’O3. Oltre a ciò, il mercato del Medio Oriente sarà nuovamente servito in maniera diretta da Trieste, grazie alla rapida connessione con Gedda. La prima nave di questa nuova linea superveloce che - ad esempio - da Shanghai riduce di cinque giorni la durata del viaggio, sarà a Trieste l’8 maggio. È la Apl Oregon, portacontainer da 6.350 teu di Apl (che è la compagnia di container del gruppo Nol recentemente acquisito dalla francese Cma-Cgm), al debutto nelle toccate triestine. Va ricordato che continuano, anch’esse con frequenza settimanale, a raggiungere Trieste anche le unità transoceaniche del consorzio 2M di cui fanno parte Maersk e Msc. Come Trieste sia antesignana della nuova Via della seta promossa in grande stile dagli stessi potentati economici cinesi, lo dimostra in piccolo anche la società di spedizioni Silkway shipping, il cui stesso nome è tutto un programma, che fondata a Venezia ora vede il core del suo business spostato su Trieste dove recentemente ha aperto un ufficio sulle Rive e i suoi dipendenti locali stanno passando da due a quattro. Ciò grazie anche alla consulenza di Claudio Grim, assieme a Claudio Boniciolli e Sergio Bologna, uno dei grandi vecchi triestini della logistica. Attraverso il porto di Trieste transita oggi il sessanta per cento dei traffici gestiti dalla società che ha un fatturato di 7,5 milioni di euro e conta quindici dipendenti. L’amministratore delegato è il veneto Pierluigi Martini, ma tra i cinque soci fondatori c’è anche il triestino Gianluca Ferrante. Il mercato di riferimento è l’Asia centrale: non solo la Cina, ma anche India e le ex Repubbliche sovietiche come Azerbaigian, Turkmenistan e Kazakistan. Tutto questo è possibile grazie al lavoro di “pivot” che viene svolto da un altro triestino: Sergio Purin, che da una ventina d’anni si è insediato a Baku, la capitale dell’Azerbaigian. «Riforniamo anche in Afghanistan le truppe Nato impegnate nelle operazioni di peacekeeping - spiega Martini - e in Cina arriviamo pure via ferrovia impiegando dall’Italia ventidue, ventiquattro giorni; quindi, notevolmente meno rispetto anche alle linee marittime più veloci. Così come via ferrovia contiamo di servire l’Iran passando attraverso Baku e la Georgia». Che i rapporti tra Trieste e la Cina possano essere in futuro molto più stretti lo dimostra il semplice fatto che il presidente dell’Adsp Zeno D’Agostino è andato a Pechino per tentare di coinvolgere gli operatori locali nella realizzazione e gestione del Molo Ottavo il cui primo segmento è rappresentato dalla Piattaforma logistica oggi in fase di realizzazione. Un altro elemento di forte attrazione per gli investitori orientali può essere rappresentato dalla presenza dei Punti franchi dove poter svolgere anche operazioni di trasformazione delle merci.


LA BASE SAIPEM A TRIESTE SITUATA NEL PUNTO FRANCO DI PORTOVECCHIO (clicca QUI o sull' immagine)