RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

mercoledì 10 novembre 2021

TRIESTE NO-VAX-PASS: CRISI DELLA RAGIONE (TRASVERSALE) – I BAMBINI NON GIOCHINO CON LE BOMBE (SOCIALI) - La Sinistra No Green Pass -

Siamo arrivati all’ invocazione di leggi speciali nazionali da parte del Sindaco di Trieste (clicca QUI) che appartiene a quella destra che a lungo ha flirtato con le aree prima ostili alle chiusure e poi al Green pass. E non dimentichiamo le sparate di Salvini e Meloni sugli “idranti contro pacifici portuali” (che erano in 15 contati durante lo sgombero) con richiesta di dimissioni del Ministro dell’ Interno.

Ma stavolta la richiesta di fare come ai tempi delle BR avviene tra gli applausi delle categorie economiche e gran parte dei cittadini. 

Si sta realizzando il peggior scenario politico che avevamo prospettato dal momento in cui il movimento No-Greenpass e il Comitato che lo convoca avevano scelto di scagliare la forza di questa “bomba sociale" contro il Porto Franco Internazionale di Trieste con l’ intenzione di bloccare a oltranza il motore economico della nostra città.
Eppure doveva essere ormai nota a tutti la valenza geopolitica, oltrechè economica, del nostro porto: almeno da quando gli USA si sono messi di traverso alle “Vie della Seta” ribadendo che è un porto Nato in cui non possono prevalere logiche di business.

A nulla era valsa la minaccia di dimissioni del Presidente D’Agostino, di cui il "Coordinamento No-Greenpass di Trieste" sembrava non essersi nemmeno accorto, mentre chiamava a raccolta migliaia di persone estranee al porto al Varco 4.

Come a nulla varranno gli appelli dei medici oggi in prima

pagina sul Piccolo.

Come a nulla servirà far notare ai No Vax che i malati ospedalizzati e le costose cure domiciliari, prima durante e dopo per mesi, renderebbero molto di più a Big Pharma del guadagno sui vaccini immunizzanti.

Ormai siamo alla crisi della ragione su tutti i fronti.
Riportiamo due passi che ci riguardano di  un intervista del prof. Marco Revelli, sociologo e storico (clicca QUI per l’ intervista completa) 

- "Professore, oggi Roberto Dipiazza, sindaco di Trieste, ha invocato sul Corriere “leggi speciali come ai tempi delle Br” per le manifestazioni No Green Pass. “A mali estremi, estremi rimedi”, ha detto. Che ne pensa?

“In questo caso direi che chi semina vento raccoglie tempesta. Il primo cittadino di Trieste appartiene a quella destra che a lungo ha flirtato con le aree prima ostili alle chiusure e poi al Green pass. Il fatto che ora invochi misure da guerra civile mi sembra quantomeno fuori dalle righe”.

Intanto No Vax e No Pass continuano a riempire le piazze italiane.

“Con loro il dialogo è impossibile: l’uso della razionalità e la logica generalmente condivisa falliscono. Questo accade perché destituiscono di valore i numeri, i nessi logici e le affermazioni scientifiche senza badare ad alcuna evidenza empirica ma sulla base di un mero principio di diffidenza. Se sostengono che tutti i dati sono falsificati e che tutte le autorità mediche non sono credibili e ad essi preferiscono l’evocazione di ‘elementi magici’ o di guru discutibili, non si può sperare di arrivare a un punto di mediazione”.-

La situazione è pericolosa e si sta consegnando Trieste a una massiccia "reazione d' ordine" guidata dalla spregiudicata destra nazionalista istituzionale dei Dipiazza, Fedriga e Savino (Camber).

Con il rischio concreto che dopo questo affondo, servito su un piatto d’ argento, e rafforzata politicamente  arriverà a controllare tutti gli snodi strategici: Porto Vecchio, Porto Nuovo, Urbanistica e “quant’ altro…”:

Ci sono responsabilità pesanti a sinistra PURTROPPO: sia quella che ha partecipato attivamente al movimento No Green Pass Triestino, sia quella che è stata alla finestra a guardare - senza intervenire - le clamorose idiozie messe in atto a partire dallo sciagurato “Blocco del Porto” che ha segnato il punto di svolta e di non ritorno.
Poi arrivato alla manifestazione, con ennesima chiamata di gente da fuori, con coda di incidenti del 6 novembre.
E poi ci saranno altre manifestazioni e la nota spirale “repressione / sdegno/ lotta alla repressione / repressione più dura” e così via… come da già evocati dal Sindaco “anni di piombo” però ovviamente all' acqua di rose.

Molti hanno notato con sorpresa che fra i denunciati organizzatori della manifestazione del 6 novembre, nonché speaker che hanno dato il via libera al maldestro tentativo di sfondamento di p.zza Unità, ci siano un ex-anarchico e la sua compagna.
Alcuni avevano notato che tra i partecipanti alle prime manifestazioni No Green Pass c’ era la Candidata Sindaco di “Sinistra In Comune e Verdi” che la commentava entusiasticamente su Facebook già in campagna elettorale (clicca QUI) e avranno anche notato la presenza di militanti sia della "sinistra radicale" che si presenta alle elezioni, sia di quella astensionista alle varie manifestazioni e presidi No Vax Pass.

Ebbene va detto che la “sinistra radicale” con varie sfumature ha avuto un ruolo determinante nella nascita e nella crescita del Comitato No Green Pass di Trieste e nello sviluppo e scelte catastrofiche del movimento No Vax Pass.
Ruolo pienamente rivendicato come vedremo.
Compreso quella di puntare, vantandosene in TV, ad “arrecare gravi danni economici” al porto e alla città.

E va detto che altre formazioni di sinistra hanno preferito tacere o perché non hanno capito nulla del ruolo strategico del Porto Franco Internazionale di Trieste anche sul piano geopolitico oltreché economico, o perchè stanno sottovalutando quello che sta accadendo ritenuto meno importante del loro "business as usual", o perché imbarazzate dalla presenza dei “compagni” cui era meglio lasciare spazio ”per evitare di lasciare il movimento alla destra”.

Afonia su tutta questa vicenda che sta sconvolgendo Trieste da settimane essendo il fatto sociologico e politico più rilevante da decenni.
Abbiamo visto un solo comunicato emesso con evidenza: quello che contesta la chiusura di P.zza Unità alle manifestazioni (clicca QUI) e due o tre post Facebook insignificanti non ripresi dalla stampa. Non si capisce perchè il dettaglio finale del divieto di manifestazione in P.zza Unità sia più importante di tutto quello, di peso ben maggiore, che ha portato a questo risultato.
Chissà cosa si dirà adesso che il Governo ha preso provvedimenti restrittivi in tutta Italia grazie anche agli ormai famosissimi "Fatti di Trieste".

Non solo, ma la “sinistra alla finestra” non  ha nemmeno preso posizione sull’ Appello per Trieste che ora ha superato le 62.000 firme (su 175.000 abitanti adulti) solo su internet e contro cui si scagliava lo speker della manifestazione di sabato 6 definendola “ la petizione della “Trieste bene” mentre è l’ unica iniziativa ragionevole di massa che si vede da mesi (clicca QUI).

Si trova in rete la minuziosa descrizione, dall’ interno, della presenza di questa "sinistra radicale" sia nella formazione che nella gestione del "Coodinamento No Green Pass Trieste" e del movimento suscitato.
E’ pubblica e a disposizione di tutti da tempo.

1) Dalla nascita all’ ideona di bloccare il porto per "fermare l’economia per essere ascoltate/i" clicca QUI .

2) Dal Blocco fino a prima della manifestazione del 6  clicca QUI .

Siamo stupefatti  che in tutta questa descrizione minuziosa non ci sia nemmeno un cenno alla minaccia di dimissioni, in caso di blocco del porto, del Presidente D’ Agostino per cui mezza Trieste un anno prima era scesa in piazza.

Siamo basiti leggendo che 
la sera di sabato 16, di fronte a un comunicato del CLPT che sostanzialmente dichiarava chiuso il presidio e annunciava la ripresa del lavoro, il Coordinamento No Green Pass di Trieste, ha imposto la prosecuzione a oltranza, insieme ad altri presenti, tra cui personaggi chiaramente ambigui, del tutto incurante delle conseguenze.

Siamo allibiti leggendo come vi sia piena coscienza delle infiltrazioni avvenute e si prosegua come nulla fosse. Per le nostre precedenti segnalazioni clicca QUI.
Riguardo alla natura intrinsecamente di estrema destra del movimento No Vax invitiamo a leggere un articolo di Sergio Bologna: clicca QUI

Leggendo abbiamo ricordato, oltre al periodo torbido della “strategia della tensione” anche un manifesto che si vedeva negli anni 50: quello che metteva in  guardia i bambini dal giocare con le bombe.
                                                                                               
Qui si sono trovati casualmente a fare da innesco a una (prevista e attesa da molti) “bomba sociale” 
che si 

è formata sottopelle come un bubbone in anni di crisi prima finanziaria e poi pandemica, illudendosi di saperla maneggiare neanche fossero il Partito Bolscevico di Lenin…mentre erano solo "apprendisti stregoni".


Invitiamo a leggere i resoconti segnalati sopra di cui qui evidenziamo solo alcuni passaggi partendo dal periodo più recente:

--- "
La situazione in queste fasi ha quindi iniziato a compromettersi. Il Coordinamento No Green Pass di Trieste, la realtà locale che aveva cominciato e lavorato nelle mobilitazioni di massa dell’ultimo mese e mezzo, è in assemblea permanente nel tentativo di gestire la situazione in evoluzione. Anche perché dal sabato ha iniziato ad affluire in porto un popolo da fuori (con parole d’ordine e linguaggi estranei alle piazze triestine) che lentamente ha modificato le istanze e la rappresentazione della mobilitazione triestina contro il green pass.  

-- "In questa situazione anche il fronte dei portuali ha iniziato a diversificarsi. Con un colpo improvviso il CLPT (il sindacato autonomo dei portuali che aveva avuto un ruolo di avanguardia nei portuali insieme al suo rappresentante Puzzer) nella giornata di sabato emette un comunicato in cui sostanzialmente, anche se con linguaggio ambiguo, dichiara esaurita l’esperienza del presidio e il rientro al lavoro.
La reazione dei presenti, ma anche del Coordinamento No Green Pass di Trieste, è immediata: non può passare la resa.
Dopo un’assemblea fiume, arriva il dietrofront di Puzzer, che però in questo modo incrina i rapporti all’interno del CLPT, da cui infatti il giorno dopo si dimette per sollevare il sindacato da qualsiasi responsabilità.  
Il Coordinamento No green Pass fa uscire subito un comunicato in cui conferma la protesta a oltranza”


---“ il Coordinamento 15 Ottobre (nome, da quello che ci viene riferito, suggerito dalla digos) che, intestandosi la protesta, diviene anche l’interlocutore con le istituzioni. Entrano a farne parte, oltre a Puzzer e a due persone legate all’ambiente triestino delle proteste contro il lasciapassare, altri due personaggi ambigui calati dall’esterno: Roberto Perga (del Coordinamento Interforze OSA (???NdR), mai visto o sentito prima a Trieste) e Dario Giacomini (medico vicentino esponente di primo piano dell’Associazione ContiamoCi e candidato alle elezioni politiche del 2013 con Casapound) (NdR : Non hanno notato il fatto più importante: è nella Segreteria Nazionale del sindacato farlocco di destra FISI di Eboli (Salerno) che ha proclamato lo sciopero  contro il green pass cui ha aderito il CLPT gestione Puzzer e che è strumento di infiltrazione di destra in tutta Italia) . Sembra che tutto accada perché queste persone si trovano al posto giusto nel momento giusto ( Ma và? NdR). Si tratta di un torbido tentativo di prendere il controllo della piazza (NdR Buongiorno!e soprattutto manovrarla, viste le pressioni sempre più forti da parte istituzionale. Pare proprio che quello che stia accadendo, ormai decisamente fuori controllo, spaventi un po’ tutti.


---“Da una parte e dell’altra del blocco di polizia (che sigilla il varco) sono in corso due presidi. Uno, sul lato verso il centro città, è composto da gruppi veneti e altri elementi sparsi, ed è assolutamente tranquillo anche se determinato a non mollare il simbolo della protesta, il porto. Dall’altra parte si assesta un gruppo con forti infiltrazioni neofasciste: qui il blocco è duro, con barricate e risposte che tengono a distanza la polizia.  

---“In Piazza Unità, invece, il presidio permanente improvvisato ha contorni abbastanza surreali. Dominano i gruppi ultracattolici provenienti dal Veneto (che - approfondendo - sono alla testa dei movimenti contro il green pass in quella regione)”
(NDR ricordiamo la devota lettura del messaggio di mons. Viganò da parte di Puzzer clicca QUI per il video e QUI per il video di una predica di Viganò) 

GLI INIZI
---“Le assemblee del nascente comitato No Green Pass Trieste sono partecipatissime, lunghe, estenuanti, e si reggono su un equilibrio fragilissimo. Organizziamo turni di parola, restringiamo il limite di durata degli interventi e cerchiamo di moderare le discussioni per giungere a consensi o a votazioni a maggioranza, promosse esclusivamente per dirimere le questioni pratiche più urgenti. Nel coordinamento riconosciamo anche gruppi un po’ più organizzati, che fanno legittimamente il proprio gioco, pur quasi sempre nel rispetto delle regole imposte (no propaganda elettorale, mantenersi sui punti di critica condivisi). Dei fasci neanche l’ombra.

---“Il 13 settembre, dopo qualche intervento veloce, si muovono in corteo circa 1500 persone: la parola d’ordine è ormai NO al GREEN PASS.
A questa manifestazione, ne segue un’altra, il 20 settembre, rilanciata dalla stessa piazza e poi elaborata in assemblea. Qua avviene qualcosa di nuovo: il salto di qualità. Dopo la rottura del ghiaccio operata dal primo corteo, si presentano in piazza migliaia di persone: c’è di tutto, riconosciamo pezzi di indipendentismo triestino, sinistra diffusa, commercianti, operai, volti noti dell’estrema destra e della curva dello stadio, insieme a tutte quelle persone che si erano mobilitate nei mesi precedenti.”

---“Il CLPT aveva già iniziato a partecipare alle assemblee del coordinamento, rilanciando il bisogno ormai cresciuto in tutte/i di passare ad una fase successiva: fermare l’economia per essere ascoltate/i. Indicono quindi un’assemblea di portuali in cui capeggia il “se non può entrare in porto anche solo uno di noi perché sprovvisto di green pass, allora non entra nessuno”. All’assemblea vi partecipano anche persone attive nel coordinamento, e ci sono delle prese di posizione (anche se in quella sede non esplicitate in questi termini) di chiara solidarietà.”

Con poche parole nel resoconto viene liquidato il corteo anti-SIOT di cui non viene evidentemente compresa  la valenza geopolitica visto che gli stessi promotori, del giro di Puzzer, lo convocano con  l’ intento risibile di provocare l’ intervento della Germania.
Ecco l’ intervista tanto interessante quanto allucinata a Antonino Rizzo uno dei firmatari della richiesta di autorizzazione della manifestazione: clicca QUI 

--- “
Il corteo dei portuali (pochi ndrsi propone come obiettivo simbolico di finire in porto e di passare davanti alla SIOT, oleodotto fondamentale nell’economia del porto di Trieste, luogo di interesse strategico e protezione antiterroristica a seguito degli attacchi di Settembre Nero. Alla fine, la manifestazione non passa né davanti alla SIOT né si conclude in porto e vede un nuovo corteo, di circa 1500 persone, incentrato sulla figura di Puzzer, a cui mancano molti portuali presenti nelle giornate al porto. È un corteo che in nome dell’unione tra categorie lavorative viene rilanciato anche dal coordinamento no green pass.” 

Adesso invitiamo a continuare da soli la lettura dei resoconti completi che sono lunghi ma molto interessanti per interpretare i "Fatti di Trieste":

1) Dalla nascita all’ ideona di bloccare il porto per "fermare l’economia per essere ascoltate/i" clicca QUI .

2) Dal Blocco fino a prima della manifestazione del 6  clicca QUI .

Abbiamo già criticato duramente le frange indipendentiste che sono entrate nel movimento No-Vax-Pass in cerca della visibilità perduta, adesso è la volta di questi “apprendisti stregoni” che si sentono di sinistra e in grado di gestire bombe sociali e tematiche di grande rilievo gepolitico.
Vanno fermati e la bomba sociale disinnescata, se non è già troppo tardi.

Paolo Deganutti e la Redazione di Rinascita Triestina


FABIO E CICCIO ALLA RISCOSSA

L' inizio di due luminose carriere nazionali






domenica 7 novembre 2021

PERCHE' PROPRIO TRIESTE E IL SUO PORTO? SULLA CATEGORIA DI PATERNALISMO E IL CASO TRIESTINO DELLA MOBILITAZIONE NO GREENPASS - Un articolo di Sergio Bologna



Articolo di Sergio Bologna pubblicato originariamente su OFFICINA PRIMO MAGGIO il 18 ottobre scorso - clicca QUIIl prof.Sergio Bologna è presidente della AIOM  Agenzia Imprenditoriale Operatori Marittimi) di Trieste.

Questo articolo è stato pubblicato 20 giorni fa ed ha avuto diverse versioni sul Fatto Quotidiano e su Il Manifesto. Ma offre spunti importanti per iniziare una riflessione sulla mobilitazione  No-Vax-Pass a Trieste.
Cosa è successo in questi 20 giorni in estrema sintesi?
Le persone, moltissime provenienti da fuori Trieste, sgomberate dal Varco 4 del Porto si sono insediate per una settimana in p.zza Unità, ma al pomeriggio dello sgombero gruppi di facinorosi, alcuni palesemente infiltrati da neofascisti, hanno impegnato la polizia nel tentativo vano di ribloccare il porto.
In piazza Unità si sono susseguite manifestazioni e comizi che hanno fatto emergere le forze che lavoravano sottotraccia per inserirsi in un movimento che aveva acquistato visibilità nazionale (come da noi denunciato QUI): dal sindacato fantasma FISI di destra, con il suo dirigente Dario Giacomini - ex candidato alle politiche di Casa Pound - costantemente al
fianco di Stefano Puzzer e all' interno del Comitato 15 ottobre di cui controlla la comunicazione social, all' associazionismo cattolico veneto di estrema destra (area mons. Viganò), ai "misteriosi" finanziatori veneti del palco per concerti e comizi,  agli elementi dell' estrema destra nazionalista mimetizzati con altre sigle ("Ancora Italia" ad esempio) o palesi, a gruppi "spiritualisti" 
ambigui, ai movimenti No-Vax radicali trumpiani e/o misticheggianti, intrinsecamente reazionari (clicca QUI).
Un esempio: la Lettura al Popolo da parte di Puzzer, emozionatissimo, del "fantastico" messaggio di mons. Viganò -clicca QUI per il video.

La Trieste democratica ha reagito con un appello che ha superato le 60.000 firme solo su internet e la città si dimostra sempre più insofferente alle martellanti e scriteriate iniziative dei No-Vax-Pass e richiede iniziative di contenimento.

Alla testa della "reazione d' ordine" ormai largamente maggioritaria si è messa come prevedibile la destra istituzionale di Dipiazza, Fedriga e Savino (Camber).
Il Coordinamento No Green Pass di Trieste, in cui sono presenti anche attivisti di sinistra antagonista (Clicca QUIQUI - per un 
interessante resoconto dall' interno
) ha tentato di riprendere in mano la situazione con il corteo regionale del 6 novembre, convocato facendo nuovamente l' errore di far arrivare gente da fuori.
Ma gruppi da tempo presenti, come  quello facente capo a Ugo Rossi 3V, hanno preso la scena fomentando scontri, che avrebbero potuto essere pesanti, presso la presidiatissima P.zza Unità.
Scontri invece assai contenuti grazie alla prudenza delle Forze
dell' Ordine, provocate oltre misura da elementi venuti da fuori, ma assai rilevanti mediaticamente e che hanno alimentato la richiesta d' ordine ormai di massa.

Stupisce che alcune "anime belle" presenti nel movimento No-Green-Pass, che si è candidamente vantato di aver "arrecato gravi danni economici" al porto e alla nostra città, non si rendano, o non vogliano rendersi, conto che la situazione è scappata di mano e che si sono comportati, qualora in buona fede, da apprendisti stregoni. E' compromessa fin dalla demenziale decisione di bloccare il porto, obiettivo sbagliato e senza prospettive che non siano lo scontro frontale dall' esito infausto.
La minaccia di dimissioni del Presidente D' Agostino avrebbe dovuto far riflettere la componente avventurista "di sinistra" sulla gravità di quanto si stava facendo (clicca QUI).
Al contrario la sera di sabato 16, di fronte a un comunicato del CLPT che sostanzialmente dichiarava chiuso il presidio e annunciava la ripresa del lavoro, il 
Coordinamento No Green Pass di Trieste, ha imposto la prosecuzione a oltranza, insieme ad altri presenti, tra cui personaggi chiaramente ambigui.
 A questo punto c'è stata la marcia indietro di Puzzer, sostenuto da alcuni strani personaggi che poi lo seguiranno nella fondazione del Comitato 15 Ottobre, e la situazione è degenerata senza rimedio. D
egenerazione emersa con evidenza nel
surreale "presidio" di p.zza Unità.
 
Ormai i politici furbastri come Bandelli hanno tagliato la corda e i famosi portuali non ci sono più.  E anche Puzzer ha dovuto disertare il corteo.
Mentre la città si sta allineando alla richiesta di divieto e repressione delle manifestazioni che lo stesso ministero dell' Interno giudica eccessiva.
La nostra posizione sull' intera vicenda è riassunta QUI (clicca).  

Ovviamente queste nostre considerazioni introduttive non impegnano il prof. Sergio Bologna autore dell' articolo che riportiamo sotto-

La redazione di Rinascita Triestina


SULLA CATEGORIA DI PATERNALISMO E IL CASO TRIESTINO
di Sergio Bologna
18/10/21

Chi ha partecipato intensamente ai movimenti di lotta e di protesta degli anni Settanta può portarsi dietro una serie di stereotipi che certe volte gli impediscono di capire i movimenti di oggi. Quello che succede in queste ore a Trieste non è immediatamente decifrabile, soprattutto per chi non è sul posto. Nessuno può negare però che tante categorie con cui si giudicano alcuni comportamenti di massa sono saltate ben prima dei fatti di Trieste, per cui l’esigenza di fare chiarezza è da tempo avvertita come urgente.
Questo è un mio piccolo contributo alla chiarezza, maturato nei miei anni di studio e di docenza sulla storia del movimento operaio.

Vorrei parlare della categoria di “paternalismo”.

Che cosa si è inteso con questo termine? (e non a caso uso il passato). Si è inteso un comportamento del datore di lavoro che offre ai suoi dipendenti un trattamento migliore di quello che avrebbero ottenuto o potrebbero ottenere mediante una tradizionale dialettica sindacale. Alla radice del paternalismo c’è sempre l’idea che il sindacato è superfluo. Questo si può tradurre anche nella costituzione in azienda di un sindacato “giallo”. Il paternalismo è sempre di carattere conservatore e non va confuso con forme di politiche sociali del datore di lavoro che in realtà possono essere fortemente innovative. L’esperienza di Adriano Olivetti, per esempio, si può liquidarla come paternalismo? Penso proprio di no.

Ma il paternalismo è un fenomeno proprio di epoche in cui il sindacato è forte e rappresentativo, epoche in cui valgono i contratti nazionali e il datore di lavoro disposto a dare “un qualcosina in più” è uno che riconosce solo contratti aziendali. Non è la nostra epoca. Da noi i contratti nazionali valgono sempre meno, ce ne sono circa 900 registrati presso il Cnel, il sindacato della cosiddetta “triplice” Cgil, Cisl e Uil, vede costantemente erosa la sua presenza sui luoghi di lavoro, nel comparto della logistica rischia addirittura di essere minoranza, il proliferare di accordi aziendali è favorito dalla presenza dei Cobas. Ma soprattutto c’è un altro fattore di carattere strutturale che cambia i connotati del termine “paternalismo”. L’Italia è fatta di aziendine piccole o microscopiche, di artigianato, dove per forza s’instaurano rapporti del tipo “siamo tutti una famiglia”. Nel migliore dei casi. Perché sempre più frequente è la presenza di situazioni dove i più elementari diritti dei lavoratori sono negati, dove si verificano casi di schiavismo, l’Italia è il paese del subappalto, dell’outsourcing, del caporalato, anche in aziende solide (es. caso Grafica Veneta). Un imprenditore che paga i contributi rischia già di essere considerato “paternalista”.

I porti e il caso di Trieste

In questo quadro s’inserisce il problema del porto di Trieste.
Quando Zeno D’Agostino è arrivato alla presidenza la situazione del lavoro e in particolare del lavoro occasionale, a chiamata, nel porto di Trieste era la peggiore in Italia. Cooperative fallite, contenziosi a non finire, in breve “il Far West”, per dirla con una ricerca comparativa dell’Isfort su tutti i porti italiani. Per i concessionari dei terminal – diciamolo – avrebbe potuto benissimo continuare così. Invece Zeno D’Agostino, cogliendo al volo la possibilità legale di stabilizzare la forza lavoro offertagli dall’istituzione delle Agenzie del Lavoro da parte del Ministro Del Rio, ha ritenuto di poter porre fine a una situazione che produceva solo danni al porto di Trieste e che era molto simile a quella di migliaia di aziendine che campano eludendo in un modo o nell’altro il pagamento dei contributi e il riconoscimento dei più elementari diritti dei lavoratori.
D’Agostino non ha “innovato” nulla, ha ristabilito la legalità. Ma nell’Italia di oggi è stata una scelta anomala, in particolare nel settore pubblico, così incline all’outsourcing.

Lo ha fatto perché “ha un debole” per i portuali? Lo ha fatto perché, come manager pubblico, ha il mandato di conservare e valorizzare un patrimonio dello Stato e ha capito che il modo migliore per farlo, per far crescere i traffici del porto, per attrarre investimenti, per accrescere l’occupazione, è quello di garantirsi una pace sociale ottenuta non attraverso contrattazioni sottobanco o favoritismi ma riconoscendo ai lavoratori i loro diritti fondamentali. Nel caso specifico del lavoro portuale, limitando la precarietà.

Può essere definito questo “paternalismo”?

Certo, è stata una decisione presa “dall’alto”, non è stata la conseguenza di una lotta dei lavoratori con picchetti, ore di sciopero, veglie notturne, sacrifici di salario e magari conseguenze giudiziarie; come di solito avviene in questi casi, dove il diritto te lo devi conquistare con il sudore e il sangue. Come le lotte dei lavoratori dei magazzini della logistica – tanto per capirci – dove ci lasciano pure la pelle. É stata il risultato di una scelta “manageriale” che – particolare non secondario – si è rivelata giustissima.

Il Clpt (Collettivo dei Lavoratori del Porto di Trieste) continua a ricordare (a rinfacciare) a D’Agostino l’appoggio e la solidarietà che gli ha dimostrato quando una sciagurata sentenza di un’Authority romana lo aveva destituito.
Quella è stata una bella pagina nella storia del Clpt, ma credo che con quel gesto i lavoratori del porto difendessero anche se stessi e i diritti che la scelta manageriale di D’Agostino aveva loro concesso, non è che “si spendevano” generosamente per il loro Presidente. Certo, avrebbero potuto starsene a casa e non scendere in piazza, si sarebbero persi una splendida giornata di sole.

Poi le cose sono cambiate, i portuali hanno fatto diverse scelte sindacali, sono entrate in gioco altre dinamiche, in alcuni casi i terminalisti hanno cercato di ristabilire condizioni autoritarie, prontamente rintuzzate da una forza lavoro che ormai si era rafforzata nella solidarietà (ma anche da un deciso atteggiamento da parte della governance del porto), la decisione di Sommariva di accettare la nomina alla Presidenza di La Spezia ha fatto mancare un interlocutore con cui i portuali avevano una forte empatia.

Il Clpt ha cominciato a essere riconosciuto come realtà cittadina e si è affrancato dalle pure logiche portuali, è diventato – possiamo dire – un attore della politica triestina. Cambiando le cose, i rapporti con la Presidenza sono cambiati. Ma le cose sono cambiate così come sono cambiate in altri porti, si pensi a Genova, dove una parte dei portuali, per la prima volta dopo settant’anni (!), ha deciso di voltare le spalle alla Cgil. Questo non deve scandalizzare. Se si pensa alla drammatica situazione della formazione del ceto politico nell’Italia di oggi, al fatto che possiamo avere deputati semianalfabeti e Ministri con esperienza zero nella materia su cui dovrebbero governare – c’è da stare contenti che dei lavoratori del porto possano diventare non solo dei sindacalisti sul loro luogo di lavoro ma anche dei “cittadini che fanno politica”.

Però nel momento stesso in cui lo diventano non possono pensare di sottrarsi al giudizio politico degli altri, non possono pensare che i loro comportamenti pubblici debbano sempre essere giudicati bonariamente solo come “azioni di un onesto lavoratore”.
In particolare oggi, dove con le problematiche sollevate dal Covid e dalla gestione governativa della pandemia, aggravata da micidiali tentennamenti dell’Oms, la complessità della situazione è aumentata a dismisura, la confusione delle lingue pure, la sistematica deformazione della realtà è un esercizio costante, lo spregio della competenza uno spettacolo televisivo. La complessità di oggi mette a dura prova il politico più “navigato”, figuriamoci tutti gli altri, comprese “le matricole”.

“No al Green Pass” come obbiettivo unificante

Avevo scritto all’inizio che i reduci dei movimenti di protesta degli anni Settanta possono portarsi dietro stereotipi e pregiudizi che impediscono loro di capire la realtà di oggi. É quello che è capitato anche a me. Quando a Trieste il coordinamento del movimento No Green Pass e il Clpt hanno dichiarato il blocco a oltranza del porto ho pensato subito a un’iniziativa neofascista.
Trieste da questo punto di vista ha un ricco Curriculum, non dimentichiamo che è stata la culla di Gladio, come ben ricostruisce Franzinelli nel suo volume sul 1960 e il governo Tambroni.
Invece, mi ero sbagliato di grosso (c’è da dire anche che manco da Trieste per ragioni di forza maggiore da almeno tre mesi, agosto compreso). Leggendo su www.infoaut.org la chiara cronistoria, scritta dai protagonisti, di quel movimento che ha visto alla fine migliaia di persone in piazza, ho capito che ero finito fuori strada.

Il movimento l’avevano messo in piedi e gestito giovani che stanno nel campo opposto all’estrema destra.

Ma non per questo mi sono tranquillizzato, anzi, le perplessità sono aumentate e con esse gli interrogativi senza risposta. Ne riporto uno solo.

Trovo curioso che proprio sul porto si sia concentrata la protesta, cioè sulla realtà che bene o male funziona meglio. Non c’era proprio a Trieste e dintorni nessun altro simbolo dell’arroganza del potere o dello sfruttamento dei lavoratori da individuare come obbiettivo? É proprio il porto la peggiore immagine dell’Italia di oggi? Tanto da mobilitare gente da tutta Italia e farla accorrere ai varchi? Qualcuno ricorda in Italia un fenomeno del genere per una lotta sindacale? Sì, il precedente c’è: la manifestazione del 18 settembre per la Gkn a Firenze. Ma quella era una manifestazione con l’appoggio della Cgil e di alcuni partiti. Qui sembra spontanea, una cosa a Trieste mai vista per una lotta sindacale in un luogo specifico di lavoro.

E allora il mio pensiero corre a un altro luogo di lavoro, che da lì, da dove c’è tutta quella gente, si vede a occhio nudo: la Fincantieri di Monfalcone, un’azienda pubblica – com’è pubblico un porto – dove il modello dell’organizzazione del lavoro è “leggermente” diverso, si basa sugli appalti e i subappalti, sul reclutamento di forza lavoro straniera proveniente da quegli ambienti che sono considerati l’ultimo girone dell’inferno del lavoro mondiale, dai cimiteri delle navi del Bangladesh. Un modello dove investigatori e magistratura hanno trovato anche corruzione e caporalati. Lì il sindacato ha firmato, proprio sugli appalti, a maggio di quest’anno, accordi che è meglio dimenticare.

Lì è tutto tranquillo, lì l’Amministratore Delegato ing. Bono, può dichiarare alla stampa che assumerebbe volentieri migliaia di giovani italiani ma questi, purtroppo, preferiscono fare i rider…

In realtà il mio interrogativo rimane senza risposta perché parte da un equivoco: quello di considerare la vicenda triestina una lotta sindacale. Ma quella non è una lotta sindacale, come per Gkn, quella è una protesta politica contro la gestione governativa della pandemia e quindi concentra su un unico obbiettivo simbolico – capitato per caso – non solo tutta la rabbia, le frustrazioni, le pulsioni che si sono accumulate in questo anno e mezzo, non solo la protesta studentesca, non solo i lavoratori con le loro famiglie, ma anche tutto il potenziale esplosivo del movimento no vax e la volontà dell’opposizione di Fratelli d’Italia e dei gruppi neonazi che hanno tutto l’interesse a destabilizzare il governo Draghi, sfidando apertamente l’ordine pubblico.

Collante di tutto questo è stata la dichiarazione del blocco a oltranza che, dal punto di vista strettamente sindacale, quindi del solo Clpt, è un’idiozia, perché anche un bambino capisce che non avrebbe potuto reggere più di un paio di giorni.

Se questo è vero, allora è anche plausibile che il movimento No Green Pass:

a) sia stato generato a Trieste dall’area “antagonista” (detto per brevità);

b) quando è giunto al culmine dell’insperata mobilitazione i lavoratori del porto organizzati in Clpt ci sono saltati dentro e

c) invece di manifestare davanti alla Prefettura – simbolo dello Stato e del governo – sono andati a bloccare il porto e

d) lì hanno servito su un piatto d’argento un bel pranzo a chi non era invitato. A turisti di passaggio, a no vax militanti e neonazi.

Ma perché i portuali sono andati a cacciarsi in una situazione che poteva sfuggire al loro controllo?
Non dobbiamo dimenticare varie cose: che il Green Pass è una questione che riguarda specificamente il lavoro e i luoghi di lavoro, che i sindacati di base della logistica avevano dichiarato sciopero generale il 15 ottobre e che la solidarietà dei cittadini con la protesta contro il Green Pass era stata massiccia.
 Alla fine però a Trieste sembrava che la partita si giocasse tra chi era disposto a concludere questo “tornante” di lotta (e magari riprenderlo più tardi o altrove) e chi pensava di poter continuare il blocco a oltranza rinforzando il picchetto operaio con la massa degli “autoinvitati”.

Non era detto che dovesse finir male. Invece è finita con le cariche della polizia, ma i sostenitori del blocco a oltranza avrebbero dovuto saperlo sin dall’inizio.
Di mezzo qualcuno che “voleva” che finisse così ci deve essere stato. In questi frangenti la troppa ingenuità non è ammessa.

Io mi auguro solo che un ceto politico in embrione non perda l’entusiasmo, ma sappia trarre l’insegnamento giusto da questa esperienza.
Per questo su un punto vorrei essere chiaro e abbandonare per un momento le vesti di osservatore diversamente imparziale.

Il movimento no vax non può che essere di estrema destra

Conosco bene i dilemmi del vaccinarsi o meno, li ho avuti in famiglia, con mio figlio, sebbene di lieve entità. Per questo distinguo tra il problema individuale e l’appartenenza, la militanza, al movimento mondiale no vax.
Uno può essere operaio ma non per questo appartenere al movimento operaio.
Considero l’idea di libertà del movimento no vax quanto di più contrario ci possa essere all’idea di solidarietà che sta alla base dell’esistenza stessa del movimento operaio, del sindacato, della sinistra.
Ne ho scritto su un testo che circola su Facebook e su diversi siti (clicca QUI).

Quando è scoppiata la pandemia sono rimasto disorientato come tutti, l’unica voce era quella di un governo fatto di gente alle prime armi, del teatrino televisivo ne ho piene le scatole da tempo.
Come orientarmi? Mi sono ricordato che di epidemie ne ho sentito parlare nel 1974-75 da gente che le ha studiate a fondo, da gente con cui ho lavorato, da uomini come Giulio Maccacaro, docente di statistica medica, direttore di “Sapere”, fondatore di “Epidemiologia e Prevenzione”, ispiratore di “Medicina democratica” e di quel movimento di lotta per la salute che ha svelato i danni dell’amianto e di tante altre sostanze tossiche letali o portatrici di malattie degenerative. Che ha anticipato i criteri fondatori del servizio sanitario nazionale, che ha combattuto Big Pharma e la ricerca asservita alle multinazionali, che si è battuto per una medicina territoriale e per una politica di prevenzione basata sulla consapevolezza dei cittadini, che ha pensato alla formazione degli operatori sanitari. Tutto quello che la gestione governativa dell’emergenza non ci ha voluto o saputo dare. É una grande tradizione di conoscenza e di passione civile, è la “mia” cultura alla quale dovevo restare fedele.
E questa diceva che la gestione dell’epidemia non si può limitare alle campagne vaccinali.
É un problema assai più complesso che va affrontato con diverse strategie, in modo da indirizzare prima di tutto le persone verso un comportamento intelligente e consapevole.

Anch’io ho avuto perplessità sul vaccino, ma non sulla necessità di vaccinarsi e quando mi hanno detto “sei una cavia!” ho risposto che ne ero ben consapevole, ma che la vaccinazione ha dato i suoi frutti lo dicevano i numeri. Con quel bel po’ di tradizione alle spalle avrei dovuto correre dietro ai vari guru no vax e andare a braccetto con quel tipo con le corna di bufalo che ha dato l’assalto a Capitol Hill?
O con certi personaggi che schiamazzavano ai varchi del porto di Trieste?

No grazie.   









NON REGALIAMO ALL' ESTREMA DESTRA L' IDEA DI LIBERTA! Un articolo di Sergio Bologna sulla intrinseca natura di estrema destra del movimento No-Vax

 


Articolo di Sergio Bologna pubblicato originariamente su OFFICINA PRIMO MAGGIO - https://www.officinaprimomaggio.eu/

Il prof. Sergio Bologna è presidente della AIOM  Agenzia Imprenditoriale Operatori Marittimi) di Trieste

NON REGALIAMO ALL' ESTREMA DESTRA L' IDEA DI LIBERTA!

Chi ha seguito con qualche attenzione la fase della presidenza Trump e in particolare, nei mesi della pandemia, la campagna elettorale che ha portato alla sua sconfitta avrà notato con quanta insistenza lui stesso e l’ambiente dei suoi sostenitori dichiaravano di voler difendere la libertà degli individui.

Freedom, libertà, è un mantra nella storia americana, che in certi periodi viene evocato con maggiore enfasi, in altri con una tensione minore. Durante tutto il confronto con il comunismo, per esempio, la parola libertà veniva identificata con è stata usata per identificare tutto ciò che il comunismo non era. Libertà di mercato anzitutto, l’opposto del dirigismo comunista. Il concetto di libertà che la Rivoluzione francese aveva istituito come valore supremo e principio fondamentale dell’essere civile si è tramutato già nel corso dell’Ottocento in un concetto di libertà come essenza di un determinato ordine economico, di un determinato assetto istituzionale. È passato dall’essere valore che ha dato identità a una classe, la classe borghese, a valore che ha dato identità al capitale, mentre le classi subalterne innalzavano il vessillo dov’era scritto “solidarietà”.

Quel che succede oggi è ancora diverso, perché l’idea di libertà che l’estrema destra porta avanti – e Trump appartiene all’area dell’estrema destra – deve potersi tradurre in un comportamento riconosciuto proprio da quella “moltitudine” senza connotati di classe che è il risultato sia della fine della contrapposizione tra modello di democrazia occidentale e modello di regime comunista, poi divenuto genericamente contrapposizione tra “destra” e “sinistra”, sia della dissoluzione della middle class e della frammentazione e scomposizione della working class.

Non deve più rappresentarsi immediatamente come sinonimo di un determinato ordine sociale, economico e istituzionale, ma come sostanza biologica, “naturale”, di una umanità in cerca del puro benessere. Quindi la libertà diventa semplicemente il diritto del singolo individuo di fare ciò che vuole per il proprio utile, non solo al di fuori di ogni regola, ordine e principio istituzionale – ancora Trump, come esempio – ma anche al di fuori della considerazione per l’altro da sé: l’individuo ha il diritto di fare ciò che vuole, senza preoccuparsi se il suo agire può essere di vantaggio o di detrimento di altri. Perché l’altro esiste soltanto se gli si contrappone, alla pari, esercitando lo stesso diritto a proprio vantaggio. Se non è mio pari, prevalgo; se lo è lo combatto, per prevalere. È evidente la regressione: dalla società di Locke, dal contratto sociale di Rousseau e dal liberalismo di Stuart Mills (l’esercizio della mia libertà non può limitare la libertà altrui) all’homo homini lupus di Hobbes e al darwinismo sociale intrinseco alla storia otto-novecentesca del capitalismo prevaricatore, razzista colonialista e neoliberista.

L’idea di libertà sottesa al comportamento e alla propaganda no-vax è di questo genere: faccio quello che voglio; voglio poter fare quello che voglio dove voglio. Per questo riteniamo che il movimento no-vax sia un’espressione di estrema destra (ed è paradossale vedere i neofascisti e neonazisti al suo interno che danno del fascista e del nazista a chi è pro-vax). Riteniamo che esso abbia le idee molto confuse sui vaccini e sulla loro gestione (anche noi non le abbiamo chiarissime e nemmeno l’Oms le ha…); al suo interno sono presenti persone di differenti e anche opposte idee politiche, ma tutte sono fermamente convinte che l’idea giusta di libertà è quella: chiunque ha il diritto di fare ciò che vuole e nessuno, tanto meno quel dispositivo che chiamiamo stato ha il diritto di impedirglielo.

È sempre più evidente che il movimento no-vax è essenzialmente un movimento anti-stato. Non è solo, in questo. Si capisce che anche tendenze anarchiche abbiano potuto trovare affinità con quel movimento. Ma non è l’anti-stato anarchico la matrice dominante. Negli Stati Uniti, destra “trumpista” e movimento no-vax hanno avuto, insieme, una grande forza. L’assalto al Campidoglio del gennaio 2021 ne è stato la rappresentazione più compiuta ed eloquente. Se poi dalla manifestazione no-vax a Roma scaturiscono l’assalto fascista alla sede nazionale della Cgil e il tentativo di arrivare a Palazzo Chigi il cerchio si chiude: dall’’assalto al Campidoglio di Washington il 6 gennaio all’assalto alla Cgil di Roma il 9 ottobre; dal “ci prendiamo Washington” al “ci prendiamo Roma”. In più, a Roma, l’attacco anti-sindacale che non può non ricordare le Camere del lavoro devastate e incendiate dai fascisti cent’anni fa.

Il movimento no-vax non ha connotati di classe, anzi s’inserisce perfettamente nel fenomeno della dissoluzione della middle class e della working class, della crisi dei ceti medi e della trasformazione del mondo del lavoro. Ma proprio qui si svela come movimento che sembra non avere riferimenti in un determinato ordine economico, mentre in realtà ne ha uno preciso: quello del modello neoliberista. Negare lo stato significa negare il servizio pubblico e quindi affermare implicitamente che la gestione della sanità, dell’acqua, della scuola, dei trasporti, dell’assistenza ecc. non deve o può essere pubblica. Perché, se lo è, il sostenerne i costi implica togliere qualcosa a me a beneficio di altri da me. Tutto deve essere consegnato ai privati, e chi non è in grado di pagare, peggio per lui o per lei.

*        *        *

Dobbiamo liberarci dai prototipi che abbiamo sempre usato per definire l’estrema destra, in particolare dal prototipo del nazismo o del fascismo. Dobbiamo parlare oggi di un “neonazismo senza Hitler”, perché il nazionalsocialismo degli anni Trenta come l’abbiamo conosciuto prima e dopo le sue mostruosità, era tutt’altro che un’ideologia individualista, anzi, si fondava sull’idea di Volksgemeinschaft, di comunità di popolo (certo, del popolo “tedesco”). Oggi l’autoritarismo trumpiano si sposa perfettamente con l’individualismo: è individualismo nella sua proiezione globale, all’altezza di Internet, e poiché l’universo virtuale del web è un universo di individui senza vincoli istituzionali, senza un ordine istituzionale, senza un’autorità regolatoria superiore, si presta a meraviglia come spazio nel quale l’immaginario dell’individuo della moderna “moltitudine” proietta i suoi comportamenti materiali. Nello spazio virtuale del web l’individuo pensa di poter fare ciò che vuole, nessun governo – o istituzione, o “corpo intermedio” – può dettargli le regole, nessun potere può disciplinarlo.

Perfino il capitalismo delle multinazionali, stadio che pensavamo supremo della sua evoluzione, è roba vecchia. L’ordine imposto dai nuovi Leviatani – Google, Amazon, Facebook e pochi altri loro simili, il Big Tech – costituisce un nuovo stadio di sviluppo capitalistico con caratteristiche assai diverse. Una delle sue caratteristiche è proprio la “democratizzazione” dell’accesso alla comunicazione, la possibilità offerta all’individuo di comunicare con il mondo e teoricamente di agire nel mercato. Il vecchio modello capitalistico delle multinazionali conservava i caratteri dichiaratamente gerarchici del comando e manteneva per l’impresa l’esclusiva dell’accesso al mercato. L’esclusiva sulla possibilità di sopravvivenza materiale, economica dell’individuo, restava all’impresa, produttrice di lavoro dipendente, subordinato. Oggi l’inclinazione naturale all’individualismo – in questo senso il freelance è la figura-simbolo della nostra epoca – è enormemente potenziata dalla convinzione che l’accesso al web possa diventare accesso al mercato e dunque alla sopravvivenza, senza la mediazione di alcuna istituzione, senza la mediazione del lavoro subordinato e del salario. Corpi intermedi come quello sindacale sono presentati dalle imprese e percepiti dagli individualisti come intralci alla realizzazione di sé.

Bisogna assolutamente risalire alle radici sociali del comportamento individualistico, per capire la sua predisposizione ad accettare determinate idee di libertà.

Fondare il proprio comportamento sulla convinzione che ciascuno ha diritto di fare ciò che vuole è il modo più radicale per negare tutti i valori su cui è stato costruito il movimento operaio, il socialismo, in una parola “la sinistra”, negare il valore del mutualismo, della solidarietà, della comunità, valori sui quali si sono costruiti tessuto sociale e conflitto sociale. Valori ai quali si ispira la nostra rivista, così, semplicemente, senza tanti fronzoli né bisogno di spiegazioni.

*        *        *

Detto questo, possiamo anche entrare nel merito delle questioni riguardanti la salute pubblica, questioni che il movimento no-vax risolve con la semplificazione: ciascuno si regola come vuole, la salute pubblica non è un mio problema, io debbo pensare solo alla mia salute, non esiste una scienza della salute, anzi non esiste la scienza, dunque non può esistere un potere regolatore fondato su una presunta maggiore conoscenza di quella che l’individuo già possiede e che è tutta contenuta nell’affermazione della sua libertà individuale.

L’idea che la libertà dell’individuo di pensare da sé e per sé sia conoscenza e per di più conoscenza superiore a quella di presunti “tecnici” – individuati come funzionari o intermediari di un potere statale o come servitori di multinazionali farmaceutiche – equivale a negare valore alla competenza, alla formazione, alla ricerca scientifica. Non significa però tornare all’idea del “buon selvaggio” roussoviano, ma alla condizione di essere alla mercé del mercato. Gli individui che pensano se stessi come entità indipendenti, che non hanno bisogno di nessuno, che non fondano la loro esistenza sulla relazione ma sull’individualismo, sono proprio quelli che perdono maggiormente la loro libertà, in particolare nei rapporti di lavoro: negando la solidarietà, la comunità e il mutualismo, si presentano nella condizione di essere oggetto del più sfrenato sfruttamento, perché si sono posti nella condizione di maggiore debolezza contrattuale sul mercato, quella dell’individuo singolo.

Il fanatico difensore delle proprie libertà individuali, che non riconosce nessuna entità o istituzione regolatrice e quindi nemmeno il welfare state, si affida interamente e incoscientemente al mercato, che non mancherà di stritolarlo condannandolo a un’esistenza precaria da working poor. E il pensarsi liberi e il trovarsi poi deboli di fronte non al vecchio padrone, ma a poteri senza volto e spesso senza nome per i quali l’individuo da solo è nulla facilita la nascita di fantasmi: non le dinamiche intrinseche ai concreti rapporti di potere nella società, ma oscure presenze ostili che cambiano il mondo intorno a me e sono, anzi complottano “contro di me”. Non so chi sono, ma so che ci sono, perché qualcuno dovrà ben essere responsabile del danno che subisco. L’entità superiore più immediatamente riconoscibile, anche se inafferrabile, è lo stato. Ma è qui che scattano anche la diffidenza, l’aggressività, la violenza verso chi è diverso da me, tanto maggiori quanto più lui e lei sono fisicamente vicini, riconoscibili (per il colore della pelle o per la foggia degli abiti o per il profumo della cucina) e socialmente deboli.  

Il movimento no-vax non ha alcuna idea di salute o di igiene pubblica. Perché la dimensione del collettivo gli è completamente estranea, oltre ad essergli estraneo il concetto di servizio pubblico. Per quale ragione, quindi, persone che si richiamano a valori molto diversi da quelli trumpiani, a valori più o meno vagamente “di sinistra”, finiscono per accodarsi a questa banda di irresponsabili? Questo comportamento subalterno è tanto più incomprensibile, in quanto nella nostra tradizione di esperienze, lotte, ragionamenti, ricerche, sia il problema della salute pubblica, sia il problema delle epidemie, è stato lungamente affrontato e sviscerato.

Un solo esempio. È dalla metà degli anni Settanta che esiste la rivista Epidemiologia e prevenzione, espressione di quel “movimento di lotta per la salute” che ha condotto le battaglie politiche e legali che hanno portato al riconoscimento dei rischi per i lavoratori esposti a sostanze tossiche – come l’amianto, il piombo tetraetile, il cloruro di vinile, la betanaftilamina ecc. – e il diritto al risarcimento. Ricordiamo i nomi di Giulio Maccacaro e di Ivar Oddone. La rivista è nata per formare operatori sanitari sul territorio, per combattere l’arroganza delle case farmaceutiche e delle industrie che negano l’evidenza dei danni prodotti dalle loro lavorazioni e che finanziano abbondantemente studi volti a dimostrare l’inesistenza del rischio, per combattere un modello di sanità pubblica fondato solo su grandi centri ospedalieri superspecializzati e su cliniche private, al servizio di chi si può permettere cure costose.

Questo è il grande patrimonio di esperienze e di conoscenze che ci ha lasciato in eredità il movimento di lotte sociali degli anni Settanta, un patrimonio che si rinnova di generazione in generazione. Noi non abbiamo bisogno di ricorrere a confuse teorie del complotto per denunciare certi veri e propri crimini commessi dalle case farmaceutiche, ci basta ricorrere al concetto marxiano di profitto. Né abbiamo bisogno di accodarci all’azione anti-governo di Fratelli d’Italia per denunciare il preoccupante taglio alla spesa sanitaria pubblica del governo Draghi. La battaglia per una sanità al servizio di tutti i cittadini, con un presidio costante del territorio, per una prevenzione basata sul senso di responsabilità verso gli altri, è una nostra battaglia da mezzo secolo, non è roba da apprendisti stregoni

P.S. Dopo l’assalto fascista alla sede Cgil di Roma da più parti si è levata la richiesta di mettere fuori legge Forza Nuova. Da parecchi anni il problema di una rinascita della fede fascista in Italia è un problema serio. La sinistra, la stampa, gran parte delle forze intellettuali, la magistratura, hanno non solo ignorato questo problema ma hanno in certi casi assecondato la peggiore deriva di estrema destra, come nel caso delle foibe. Mettendo fuori legge Forza Nuova pensano magari di aver risolto il problema? Così continueranno a ignorarlo, a far finta che non esista? Prima di metterli fuori legge cominci la polizia a trattarli come tratta gli operai in sciopero. E allora l’assalto alla Cgil non sarebbe riuscito. Non si tratta di metterli fuori legge, ma di metterli fuori gioco politicamente. E questo è affare nostro, è nostra responsabilità creare le premesse perché vengano isolati e sconfitti.