Riportiamo l' articolo di ieri di Venezie Post (QUI) perchè ci piacciono le buone notizie anche quando sono un po' superficiali.
Ma un fondo di verità c'è e sono di buon auspicio: un po' di ottimismo aiuta anche se, come dice l' articolo stesso, bisogna darsi molto da fare.
Il declino di Udine, la
rinascita di Trieste e le sfide del futuro
In questi anni Udine
sembra essersi “triestinizzata” e Trieste “milanesizzata”. La prima è entrata
in un declino che la rende periferia estrema del nuovo triangolo industriale.
La seconda in grande crescita grazie al Porto e al turismo. Ma il destino non è
segnato né in un senso né nell'altro e queste tendenze potrebbero invertirsi.
di Filiberto Zovico
Più di dieci anni fa, durante l’era Illy, sotto l’attenta regia di Cristiana
Compagno, Udine celebrava con il Festival InnoVaction la grande forza
economica e politica di quel territorio. Se c’era un centro del Friuli Venezia Giulia, questo era sicuramente Udine, non certo la sonnacchiosa Trieste dedita a vivere di rendite pubbliche e
a passare intere stagioni a prendere il sole sulle rive.
A determinarne la forza di Udine
erano grandi gruppi
industriali come Pittini e Fantoni (solo per citare
due aziende simbolo), una Università in fase
di decollo e una vita culturale che aveva in un Festival
come Vicino/Lontano una
delle sue punte di diamante.
Trieste appariva
invece come una città ripiegata su se stessa, con un Porto in declino, marginale e lontana
da uno scacchiere europeo che nella traiettoria da Lisbona a Kiev preferiva
salire lungo la Pontebbana verso il nord Europa che avventurarsi sul Carso, per
terminare la corsa nel deserto spettrale di un Porto Vecchio abbandonato e
chiuso alla stessa città.
Poi, negli ultimi
anni, lentamente, si è determinata la svolta. Udine, forse perché si è
sentita sin troppo forte, ha cominciato a chiudersi pian piano in uno splendido isolamento, affidandosi a classi dirigenti (quelle che contano davvero, non quelle
politiche) dedite più all’autoconservazione che al tentativo di aprirsi e di
giocare sullo scacchiere più ampio di quel nuovo triangolo industriale che da
Milano corre fino a Bologna e arriva poi a lambire la provincia di Pordenone.
Trieste, di converso,
ha iniziato a mettere a fuoco due delle sue vocazioni: quella turistica e
quella portuale. Il turismo, spinto anche da da trend
globali, ha fatto scoprire e riempire una città bellissima e di grande fascino.
Il Porto, con l’arrivo di D’Agostino, è tornato ad accendere i motori lasciati
spenti per decenni e a diventare elemento di traino per la città.
Girando la città
Giuliana in occasione di Trieste Next questo clima era visibile e palpabile. Una Trieste viva, bellissima, carica di entusiasmo è stracolma di
giovani giunti da ogni parte d’Italia. La sensazione condivisa tra i visitatori
è stata, estremizzando le polarità, di una Udine “triestinizzata”, cioè declinante come
è stata per anni la città della barcolana, e di una Trieste “milanesizzata”, cioè rivitalizzata dai nuovi flussi turistici e portuali.
Ma, se queste sono alcune linee di tendenza, va anche
detto che il destino di queste città non è segnato, ne in un senso nè nell’altro. Udine ha ancora risorse notevoli per ripartire. Ha sopratutto una nuova classe imprenditoriale molto proiettata al futuro
(Siagri di Eurotech e Scarpa di Biofarma solo per citare due uomini simbolo)
che potrebbe invertire il percorso che la sta portando ad essere estrema
periferia del triangolo industriale; Trieste, invece, se non riparte con un tessuto industriale, non
crea sinergie con i centri di ricerca e non realizza un piano straordinario che
la colleghi al mondo via aria e via terra, nel caso il miracolo del Porto
dovesse arrestarsi, rischia di
radicalizzare la sua già naturale tendenza a tornare ad essere solo una casa di
riposo diffusa per anziani benestanti.