RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

sabato 8 agosto 2020

TURISMO A TRIESTE DA RIPENSARE TOTALMENTE – IL FALLIMENTO DEL TURISMO DI MASSA PROPUGNATO DAI POLITICI E L' ESCLUSIONE DI TRIESTE DALLE 29 CITTA' AMMESSE AL CONTRIBUTO PER IL CALO DEL TURISMO STRANIERO - L’ ALTERNATIVA DI QUALITA’ -

Da alcuni decenni i politici triestini parlano solo di turismo come prospettiva economica per Trieste.

Si sprecano progetti, tutti irrealizzati, che dovrebbero fungere da “attrattori” per un mitico turismo di massa che risolleverebbe le sorti economiche della  nostra città: dai Musei in  Porto Vecchio  proposti da tutti gli schieramenti  all’ Acquario di Paoletti, dall’ Ovovia di Dipiazza alla Spiaggia di Sabbia di Russo, dalle Crociere al Fish Market e via fantasticando

Questa impostazione deriva da una mentalità bottegaia, più che commerciale, della "classe politica" locale: di rimpianto dei bei tempi in cui bastava aprire un negozio di Jeans o “strazze” per arricchirsi, tentando nel 2020 di inventarsi  “attrazioni” da Luna Park per far venire a Trieste  migliaia di persone al giorno a riempire negozi, bar e ristoranti e tentando di imitare Venezia

Il sindaco Dipiazza si è dichiarato più volte contrario a puntare sullo sviluppo industriale e produttivo, tempo perso a suo dire, al contrario del turismo di cui parla sempre. 
Per capire quale sia la qualità del turismo auspicato basta ricordare le iniziative dell’ Assessore Comunale Bucci che affettava mortadelle all’ arrivo delle navi da crociera e le salutava con fuochi artificiali in pieno giorno.

Quanto all’ invidia per Venezia  bisogna porsi la domanda sul perché il suo centro storico sia sceso da 175.000 abitanti a solo 52.000 malgrado i milioni di turisti.
Semplicemente perché il turismo di quel tipo non produce che rarissimi posti di lavoro qualificati e i giovani se ne vanno alla ricerca di qualche lavoro migliore che non quello del cameriere o commesso precario o a chiamata.
Ad arricchirsi a Venezia sono stati i pochi commercianti di paccottaglia per turisti e i ristoratori di vario genere.
E adesso con la crisi post-Covid che ha cambiato i parametri del turismo mondiale la città sta letteralmente sprofondando nel disastro.

Ripensando alla tragica situazione di Venezia il prof. Carlo Ratti (
Docente presso il Mit di Boston dove dirige il Senseable City Lab) ha scritto un interessante articolo sul Corriere della  Sera in cui propone una seria riflessione sul turismo e sul tramonto, definitivo, del turismo di massa (Clicca QUI).

Scrive il prof. Ratti “Negli ultimi mesi, in giro per il mondo, sono stati messi in atto piani per risollevare molti settori produttivi prostrati dalla crisi del Covid-19: dall’ industria manifatturiera, alla ristorazione fino ai saloni di tatuaggi.
Non è ancora chiaro tuttavia come si possa rimettere in piedi il turismo internazionale, che da solo vale migliaia di miliardi di euro all’anno. Sulla base di alcune recenti ricerche svolte presso il Mit di Boston, proviamo a immaginare un modello turistico diverso, che potrebbe funzionare sia nella fase transitoria di convivenza con il Covid-19, sia nel lungo periodo”…

“quello che il nostro gruppo di ricerca presso il Mit ha scoperto, analizzando i big data sulla mobilità di milioni di persone, è che la frequenza degli spostamenti è un fattore altrettanto importante ai fini del contagio quanto la distanza percorsa.”…
In altre parole il turismo sostenibile non è quello delle masse di turisti che si spostano di continuo da un posto all’ altro bensì quello dei “viaggiatori posati” che
resterebbero per periodi più o meno lunghi in un certo luogo anche molto distante da casa, vivendone l’ atmosfera, apprezzandone lo stile di vita e l’ ambiente sociale e culturale.

Un approccio di questo genere avrebbe benefici non soltanto sanitari: nel lungo periodo ci permetterebbe di affrontare molti problemi legati al turismo di massa, un’industria che già da prima della pandemia creava ad alcune mete come Venezia gravi difficoltà.” continua l’ articolo.
I «viaggiatori posati» eviteranno di ripetere gli errori del turismo mordi-e-fuggi e ci aiuteranno a ritrovare il senso di parole come integrazione e contributo civico. Non solo soggiornare più a lungo riduce il rischio di contagio, ma moltiplica le possibilità di incontro e gli scambi culturali.”

E ancora: “Un tempo si trattava di un lusso per le élites: pensiamo a Peggy Guggenheim o Cole Porter a Venezia. Nel mondo interconnesso di oggi i soggiorni a lungo termine potrebbero diventare accessibili a un numero molto più ampio di persone. Le videochiamate su Zoom o Teams, con cui abbiamo acquistato familiarità nei mesi del lockdown, consentono a molti lavoratori di stabilirsi in luoghi lontani senza interrompere la propria vita professionale.”
Per attrarre i «viaggiatori posati» i comuni potrebbero sfruttare il potere delle piattaforme online. Oltre a creare opportunità di volontariato o di lavoro temporaneo, le città potrebbero incentivare le aziende come Airbnb a offrire sconti maggiori per soggiorni lunghi. Un’altra opportunità: nel caos della pandemia in corso negli Stati Uniti, molte università, tra cui anche il Mit, hanno impedito l’accesso ai campus a molti studenti. E se Venezia o altre città italiane offrissero ai ragazzi un alloggio a basso costo, che permetta oggi di terminare la formazione online e domani magari di fare start-up e impresa in Italia?

Proviamo a immaginare un nuovo futuro per Venezia. Nel 2021 la Serenissima potrebbe non aver più bisogno di rimpinguare le proprie casse imponendo nuove tasse ai turisti. Potrebbe invece contare sulla capacità dei «viaggiatori posati» di contribuire in maniera ben più sostanziale alla sua «civitas».”


Ebbene se Venezia ripensa il proprio futuro turistico non può essere che Trieste, dopo tanti proclami su “niente sarà più come prima”, continui ad inseguire progetti balordi e irrealizzabili di turismo di massa sostenuti da vecchi tromboni della politica ormai da decenni al potere senza alcun risultato concreto.

Perché un dato è certo: il turismo di massa allontana quello di qualità.
Un acquario da un milione di visitatori accalcati all’ anno non attitira il “viaggiatore posato”: lo respinge. Al contrario di un’ area recuperata intorno alla storica Lanterna con un affaccio sul mare e un panorama ineguagliabile.


Guardiamo quali sono i risultati concreti di anni e anni di ossessione per il turismo dei politici locali:

TRIESTE E’ APPENA AL 70° POSTO TRA LE PROVINCE ITALIANE:  nel 2018 si sono registrati 245.092 arrivi di turisti stranieri, 595.010 le permanenze. Per quanto concerne i turisti italiani 268.437 arrivi e 593.093 presenze. Il totale del 2018 dunque è 513.529 arrivi e 1.188.103 presenze. Nel 2020 naturalmente è iniziato il collasso.
Per quanto riguarda le altre città della Regione:
Udine si piazza al 20esimo posto con 5.458.146 (spinta dalle località di montagna e di mare),
Gorizia al 57esimo posto con 1.833.644.
Pordenone . al 90esimo posto con 542.657 turisti
(Fonte: Rapporto 2019, il turismo a Verona", realizzato dalla locale Camera di Commercio - servizio studi e ricerca. Clicca QUI).

Conseguentemente Trieste non rientra tra le 29 città che avranno il contributo a fondo perduto per le attività nei centri storici colpite dal calo del turismo straniero previsto dal "Decreto agosto": il requisito per accedervi è di aver avuto l' anno prima un numero di turisti stranieri 3 volte superiore ai residenti mentre Trieste ha avuto un numero appena pari ai residenti che può apparire molto ma nell' industria turistica è insignificante (si pensi a Venezia o Cortina).(Nota 1)

E questo malgrado i continui trionfalistici proclami sui successi del turismo a Trieste e il fatto che sia una città di confine, storico sbocco al mare della Mitteleuropa.

Come si vede la montagna di chiacchiere ha partorito un topolino: la vocazione di Trieste non è il turismo ma il Porto e le attività industriali, produttive e di servizi che crescono intorno ad un grande scalo. La storia lo dimostra.


Il turismo può costituire un interessante contorno, se di qualità come sopra descritto, non certo il volano economico di una città con la storia e le potenzialità di Trieste.


Nota 1:

L ’elenco delle 29 città i cui negozi sono ammessi al contributo a fondo perduto, con il rapporto tra presenze di turisti stranieri e residenti.
(Nei capoluoghi le presenze di turisti stranieri devono essere almeno il triplo dei residenti. Nelle città metropolitane devono essere semplicemente superiori.)
Venezia 42,6 volte i turisti stranieri rispetto ai residenti
Verbania 26

Firenze 21,5

Rimini 15,3

Siena 11,6

Pisa 9,9

Roma 7,6

Como 7,2

Verona 6,4

Milano 5,8

Urbino 5,7

Bologna 4,2

La Spezia 4,2

Ravenna 4,2

Bolzano 4,1

Bergamo 3,8

Lucca 3,7

Matera 3,4

Padova 3,3

Agrigento 3,3

Siracusa 3

Ragusa 3

Napoli 2,2

Cagliari 1,8

Catania 1,7

Genova 1,6

Palermo 1,3

Torino 1,3

Bari 1,3
Fonte Corriere della Sera clicca QUI



venerdì 24 luglio 2020

D’ AGOSTINO E VISINTIN ASCOLTATI IN CONSIGLIO REGIONALE: IL PORTO DI TRIESTE ALZA LA VOCE E CHIEDE AL GOVERNO IL RICONOSCIMENTO DELLA EXTRADOGANALITA’ – EPOCALE: TUTTI D’ ACCORDO! – Per la prima volta un alto funzionario pubblico parla senza peli sulla lingua: “L'ostacolo più insidioso non è Bruxelles ma Roma” e “l'ufficio legislativo del ministero per l'Economia e le Finanze (Mef) non riconosce l'extraterritorialità doganale di Trieste perché non riesce a interpretare il fatto che un trattato internazionale deve essere rispettato” (Zeno D’Agostino) - Non meraviglia che abbiano cercato di farlo fuori e che sia stato rimesso al suo posto a furor di popolo.



Il porto alza la voce e chiede al governo che lo speciale regime di porto franco dello scalo giuliano, derivante dall’applicazione dell’allegato VIII del Trattato di Pace di Parigi del 1947, venga correttamente comunicato a Bruxelles affinché Trieste venga aggiunta alla lista dei dieci punti extradoganali dell’Unione Europea già esistenti.

E’ la conferma che sul boicottaggio italiano del Porto Franco di Trieste avevano sempre avuto ragione i movimenti autonomisti e indipendentisti per non parlare dei portuali del CLPT che rivendicano l' applicazione dell' Allegato VIII.

"Lo Stato italiano, nell'ambito della sua comunicazione a Bruxelles relativa ai territori extra doganali, si è dimenticato di dire che esiste il porto franco di Trieste. E anche di aggiungere che ha tutti i requisiti in regola per essere presente nella lista. Una dimenticanza che non fa bene alla città e all'intero Friuli Venezia Giulia, ma anche un autentico problema politico: abbiamo la legge dalla nostra parte e persino un trattato internazionale che dice che l'Italia deve farsi viva a Bruxelles per ovviare alla sua omissione".Lo ha affermato  il presidente dell'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale, Zeno D'Agostino, davanti alla I e alla IV Commissione consiliare, riunite in presenza a Trieste nell'emiciclo di piazza Oberdan.
Continua: “mentre noi siamo qui a perdere opportunità preziose e legittime, l'ufficio legislativo del ministero per l'Economia e le Finanze (Mef) non riconosce l'extraterritorialità doganale di Trieste, perché non riesce a interpretare il fatto che un trattato internazionale deve essere rispettato".
"Il Porto franco - ha proseguito D'Agostino - potrebbe essere il luogo dove le imprese tornano a fare attività e a essere aggressive. Basta leggere i venti articoli dell'allegato ottavo del Trattato di pace di Parigi del 1947 e le poche righe nel Memorandum di Londra del 1954 per apprendere che il porto di Trieste gode di determinati benefici e che qui devono essere applicati addirittura quelli migliori tra tutte le zone franche del mondo".
D'Agostino ha infine ricordato che "l'Europa verificherà se ci sono le basi giuridiche. L'ostacolo più insidioso non è tuttavia Bruxelles ma Roma: deve essere convinta e, come già fatto nei confronti di Campione d'Italia, ora deve fare l'opposto a vantaggio di Trieste".

Stefano Visintin, presidente della Confederazione regionale delle categorie degli spedizionieri internazionali, agenti marittimi e terminalisti portuali è partito dalla "certezza che la trasformazione industriale delle merci nel porto franco di Trieste è fattibile, nonché prevista anche da un decreto del 1959. Perché farlo? Intanto, smentisco la possibilità di pagare di meno i lavoratori, perché vengono applicati i contratti di lavoro nazionali con forti controlli da parte dell'Autorità di sistema. Inoltre, la Dogana rende impossibili falsificazioni o contrabbando, proprio perché il porto franco è soggetto a maggiori controlli. L'utilità è dunque legata al fatto che le merci rimangono allo Stato estero e chi le detiene non deve anticipare dazi e Iva prima che vengano immesse nel territorio comunitario politico dell'Unione europea".
Infine, le lavorazioni industriali "all'interno del porto franco potrebbero essere utili per la vantaggiosa acquisizione dell'origine comunitaria. Il cardine della procedura doganale di perfezionamento attivo è invece legato alla valutazione delle condizioni economiche. Nella Ue - si è lamentato Visintin - ci sono 77 zone franche, perciò Trieste si ritrova alla pari con altri 76 soggetti e la soluzione deve essere drastica: il Governo deve comunicare all'Ue che lo scalo giuliano deve essere inserito nella lista delle aree non doganali dopo che, per troppi anni, la comunicazione non è avvenuta in modo corretto".
L’extra doganalità del punto franco triestino rappresenta un unicum in territorio italiano ma i numerosi governi “non hanno mai comunicato correttamente all’Unione Europea il suo status” così Visintin.

Riuscirà il governo italiano a continuare nel suo boicottaggio al Porto Franco adesso che stanno arrivando colossi tedeschi della logistica come Duisport all’ Interporto che gestisce anche il Punto Franco “Freeeste” ?
La Germania è già presente all’ Oleodotto e sta espandendo i suoi interessi nel Porto Franco Internazionale di Trieste: all’ Italia non resterà che cambiare rotta.

I cittadini di Trieste capiranno che il futuro economico è nello sviluppo del Porto Franco Internazionale e non nelle baggianate fantaturistiche  inventate da un ceto politico espressione di piccoli negozi che si illudono di ricavare prosperità da attrazioni da Luna Park come Acquari, Ovovie, Spiagge di Sabbia o Case di Riposo in Porto Vecchio? 
Per non parlare delle "Lucette natalizie" e i "Color Saturday" con cui si vorrebbe combattere una terribile crisi?

Potrà Trieste svilupparsi se continuerà, come già da vent' anni, a farsi governare dalla miopia del "Sindaco Bottegher" Dipiazza e  del ventennale Presidente della Camera di Commercio Paoletti pluripresidente anche dei negozianti di Confcommercio in barba alle altre categorie economiche?

Possibile che nello snodo strategico della Camera di Commercio le categorie produttive e che operano nel porto siano messe da decenni ai margini come se l' economia di Trieste fosse fatta solo di bar e negozi?

E' questa la partita dei prossimi mesi: Porto Franco Internazionale e Città devono lavorare in sinergia.
Con l' arrivo di operatori internazionali con le spalle robuste e la buona volontà dei cittadini, Trieste ce la può fare a non farsi travolgere dalla crisi italiana post-Covid, che si annuncia devastante ed epocale, e a mandare a casa una presunta "classe dirigente e politica" che ha finora portato la città al fallimento  per tutelare i suoi piccoli privilegi di casta.


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mercoledì 22 luglio 2020

LE CITTA’ PORTUALI HANNO SEMPRE AVUTO L’ ASPIRAZIONE AD ESSERE CITTA’- STATO. LE TEDESCHE AMBURGO E BREMA LO SONO ANCORA, TRIESTE LO E’ STATA FINO A 66 ANNI FA.



Non molti sanno che Amburgo e Brema tuttora si fregiano di essere “Freie und Hansestadt” “Città Libera e Anseatica” e che non si tratta solo di un titolo onorifico e formale ma che si tratta di veri e propri Stati federati, alla pari del “Libero Stato di Baviera”, alla Repubblica Federale di Germania che è un’ autentica federazione di stati.
Il titolo “Anseatica” si riferisce alla antica Lega Anseatica che riuniva le città portuali del Nord Europa.
L’ influenza e il ricordo della Lega Anseatica sono ancora molto vivi ed è grazie a questi antichi legami che, ad esempio, Amburgo ha fitti rapporti commerciali e culturali con Londra che vanno al di là dei rapporti tra Germania e Regno Unito.


Come noto Trieste fu "Reichsunmittelbare Stadt Triest" durante l' Impero, perse questa prerogativa con l' annessione all' Italia (che non ammetteva autonomie) nel 1918 e riacquistò sovranità statale con il trattato di pace del 1947 per poi perderla, di fatto se non di diritto, nel 1954 con l' amministrazione italiana.


L' esempio di maggior successo al mondo di Città-Stato portuale è certamente Singapore.

Amburgo è (insieme a Brema e Berlino) una delle tre "città-stato" tra i 16 Länder (Bundesländer) tedeschi. Il sindaco della città è quindi capo del Senat (governo).


 In Germania ancora oggi vige uno statuto speciale per le città di Amburgo e Brema, così come per la Baviera, aree fra le più ricche d’Europa
Le autonomie riguardano soprattutto:
  • la scuola, le università, la cultura
  • la polizia
  • la tutela del paesaggio e della natura
  • la legislazione che riguarda i comuni
  • una parte del diritto tributario
  • legislazione (in collaborazione con lo stato) in molti campi
  • quasi tutto il lavoro di amministrazione interna
In molti campi, p.e. nell'economia, lo stato federale e le Città-stato  agiscono insieme in propri spazi predefiniti ma a Amburgo e Brema sono dati massimi poteri su come amministrarsi.
Amburgo, ad esempio, ha il potere di dotarsi una propria forma di governo, nel rispetto dei principi costituzionali, ha un suo parlamento un governo (Senat) e un Borgomastro che presiede il governo e rappresenta la Città-Stato all’esterno.
Particolare è il tipo di rapporti tra la città stato e il governo centrale che per legge devono essere regolamentati attraverso “accordi contrattuali” (art. 5, comma 3). Questo consente di gestirli in modo più agile che se invece dovessero essere definiti da specifiche leggi. Il finanziamento della città stato rientra nel sistema finanziario ordinario, che prevede una ripartizione dei fondi federali tra i diversi Länder, in base alle loro esigenze e ad altri parametri.
Amburgo ha una sua Costituzione che così recita:” La libera città anseatica di Hamburg è uno stato di diritto sociale e democratico” (clicca QUI per scaricare la Costituzione).

Possiede la capacità di dotarsi il sistema di amministrazione che reputa più opportuno e ha la facoltà di decidere ogni intervento straordinario con la semplice contrattazione con il governo
, senza dover rincorrere le lungaggini del dover introdurre nuove leggi.
Certo, Amburgo è favorita dall’assetto dello stato tedesco che è unico, perché consente che vi siano nel suo territorio diverse forme di gestione assai diverse tra di loro, come i Länder e le singole città stato, Amburgo, Brema e Berlino, ognuna con le sue caratteristiche distintive.
Dal momento che la Germania è il paese europeo più prospero ed efficiente evidentemente il sistema federale delle autonomie funziona ed è da studiare con attenzione.
Confrontando i dati fra Trieste ed Amburgo scopriamo che il PIL pro capite espresso in Euro all’ anno a persona è di € 24.317 a Trieste (che è la quinta in classifica in Italia) e 52.730 ad Amburgo: più del doppio della nostra città e indice di grande prosperità.


mercoledì 8 luglio 2020

2004-2020: IL BIDONE DEL "PARCO DEL MARE"- RESTITUISCANO I MILIONI AL COMMERCIO TRIESTINO IN GRAVE CRISI - LE IMPRESE SONO POVERE MA LA CAMERA DI COMMERCIO E' RICCA -


Perché diciamo RESTITUISCANO al commercio i milioni del bidone del “Parco del Mare” di Paoletti che non ha prodotto nulla in 16 anni di chiacchiere (2004-2020)?
Semplicemente perché dal 2007 al 2013 è stata imposta una “maggiorazione al diritto annuale che tutte le imprese pagano alla Camera di Commercio per costituire un “fondo spese future” destinato al Parco del Mare (vedi nota 1), fumoso e contestato progetto senza futuro per palese antieconomicità oltre che per altri seri motivi.
Per non parlare dei soldi della Benzina Agevolata confluiti su questo fondo e che sono denaro di tutti i cittadini.

Tale cosiddetto "fondo spese future" sul bilancio 2018 della Camera di Commercio della Venezia Giulia, in cui è malauguratamente confluita la Camera di Commercio di Trieste, ha raggiunto il considerevole importo di oltre 10 milioni di euro e ora è ulteriormente cresciuto (clicca QUI per il bilancio).

Già nel 2010 in un’ intervista a Trieste Economica l’ eterno
presidente della Camera di Commercio Paoletti aveva dichiarato che “la Camera di Commercio ha accantonato quasi 8 milioni di euro” per il Parco del Mare (QUI).

Da allora ci sono stati altri tre anni di incassi di “maggiorazione al diritto annuale” e di interessi attivi ma anche di spese per “studi di fattibilità”, progetti di massima ecc.: tutte scartoffie senza futuro ma costate denaro pubblico.


Nel frattempo il nebuloso progetto ha ricevuto sostegno sia dal Centro Destra che dal Centro Sinistra entrambi ipnotizzati dal “fantaturismo” come futuro economico di Trieste.

Tenendo conto che la Regione Friuli Venezia Giulia ha stanziato 7 (sette) milioni e mezzo per il sostegno a “fondo perduto” alle imprese di tutta la Regione per la  crisi Covid 19 - il resto sono prestiti - (QUI),
 se si utilizzassero anche solo gli 8 (otto) milioni dichiarati 10 anni fa - e di cui parla la stampa -  per il sostegno soprattutto al piccolo commercio triestino (non alle catene nazionali), l’ aiuto a "fondo perduto" sarebbe significativo e si immetterebbe preziosa liquidità nella nostra economia.

Ma Paoletti fa le “orecchie da mercante e non vuole mollare l’ osso, dimenticandosi di essere anche il rappresentante di una categoria in gravissima crisi per il Covid-19.
Questi signori tengono i milioni nel cassetto per i loro giochini fantasiosi incuranti della crisi che sta devastando sempre di più le imprese, soprattutto locali e piccole, e hanno pure la sfrontatezza di pretendere il pagamento dei diritti annuali pur avendo le casse piene.
E pure sfottono dicendo che semmai gli aiuti dovrebbero darli in ugual misura a tutte le imprese della "Venezia Giulia" avendo unificato le Camere di Commercio, come se i soldi non li avessero raccolti solo dai triestini come (ex) Camera di Commercio di Trieste.

Se continuano a tenere i soldi nel cassetto anziché sostenere l’ economia locale, i commercianti indipendenti triestini, esercenti e ristorazione compresi, tireranno le cuoia in gran parte, mandando maledizioni al loro “presidente”.


Bisogna cercare di mitigare con tutti i fondi disponibili gli effetti di una crisi che si annuncia drammatica.


C’è ancora qualcuno che crede al milione di turisti all’ anno che verrebbero a Trieste per un acquario (è questa la stima necessaria per pareggiare i conti !)?
Con la situazione mondiale attuale e con le sensibilità ecologiche e animaliste totalmente cambiate in 20 anni (vedi nota 2) ?
Con il grande Acquario di Genova in deficit da tempo?

Sulla mancanza di sostenibilità economica del Parco del Mare, che rappresenta solo un' immobilizzazione di risorse che sono urgenti altrove, ha già scritto due anni fa Faq Trieste: clicca QUI
Chi ha puntato tutto esclusivamente sul turismo, come Venezia, ora piange lacrime amare.

Se l’ economia triestina si salverà sarà solo grazie al suo vero motore: il Porto Franco Internazionale e il suo indotto industriale
.
Il resto sono solo contorni se non fuffa come il Parco del Mare e l’ urbanizzazione in chiave turistica di Porto Vecchio.

Cosa ne pensa lo scrittore e giornalista Paolo Rumiz: QUI l' articolo.

Nota 1 - Dall' ultimo Bilancio della Camera di Commercio Venezia Giulia 2018 pubblicato nell' aprile 2019:

"Nel caso di specie, nell’ambito della voce “altri fondi”, con separata imputazione, a decorrere dal bilancio d’esercizio 2007 è stato istituito un “fondo spese future” che, fino all’esercizio 2013 perla ex Camera di commercio di Trieste, ha accolto i proventi di competenza dell’anno derivanti dall’applicazione della maggiorazione del diritto annuale, ed aventi destinazione vincolata: tali proventi sono infatti accantonati allo scopo di finanziare progetti pluriennali infrastrutturali, in particolare il progetto “Parco del Mare”, nonché di supportare la soluzione delle problematiche inerenti la bonifica dei siti inquinati nella zona industriale. La maggiorazione è stata applicata fino all’anno 2013 per la ex Camera di commercio di Trieste; successivamente non sono stati effettuati altri accantonamenti.


Nota 2 - Ecco la motivazione con cui la “Goletta Verde” ha conferito il temuto premio Onda Nera alla Camera di Commercio della Venezia Giulia:

Per l’ accanimento terapeutico nel tenere in vita e promuovere un progetto irrealizzabile, superato e inaccettabile dal punto di vista ambientale, urbanistico, culturale, finanziario e sociale, il cosiddetto “Parco del Mare”, furbesca denominazione di un mega-acquario da un milione di visitatori, in un’area urbana sul mare incompatibile e vincolata, senza un progetto visibile e un confronto con l’ opinione pubblica



mercoledì 10 giugno 2020

L' IRRIDUCIBILE ALTERITA' DI TRIESTE - Un articolo di LIMES per inquadrare meglio quello che sta succedendo in questi giorni al Porto Franco Internazionale.

Carta di Laura Canali 
In questi giorni difficili, questo articolo è leggibile gratuitamente da tutti. 
Per approfondire, leggi tutti gli articoli su Trieste.
Pubblicato in LIMES: IL MURO PORTANTE - n°10 - 2019 - 8/11/2019

L’IRRIDUCIBILE ALTERITÀ DI TRIESTE

    di Paolo Deganutti

Gli indipendentisti invocano lo sviluppo del porto franco stabilito dagli accordi del secondo dopoguerra. I fasti asburgici e il declino post-annessione. La Mitteleuropa come entroterra naturale. Il mito delle città Stato. Trieste è troppo internazionale per essere italiana.

1. Già nel 1970 lo storico Bogdan Novak scriveva: «La questione di Trieste potrebbe essere nuovamente portata all’attenzione del mondo (…) da una grande crisi economica in Italia che potrebbe provocare una grave disoccupazione nella città. Gli italiani di Trieste sarebbero indotti a prendere in considerazione il retroterra come soluzione e a chiedere di internazionalizzare la città» .

Nel 2013 l’endemico 
spirito autonomista di Trieste, nelle sue varie gradazioni – dall’ autonomismo moderato e borghese all’ indipendentismo radicale e popolare – è riaffiorato come un fiume carsico in superficie. Alcune imponenti manifestazioni popolari hanno riproposto il tema del Territorio libero di Trieste (TLT) e del porto franco internazionale, con striscioni e comizi in italiano, sloveno, tedesco, inglese e il dialetto «triestin» come lingua franca (2).

Secondo la tesi indipendentista, che segue un approccio legalitario tipicamente triestino dovuto alla proverbiale fiducia «asburgica» in leggi e istituzioni, il TLT istituito dal trattato di Parigi (1947) andrebbe considerato ancora valido de iure. Nessun trattato o accordo successivo di rango minore avrebbe avuto il potere di modificarlo, né il Memorandum di Londra (1954) né il trattato bilaterale di Osimo (1975). Soprattutto, l’indipendentismo mette al centro, concretamente, lo sviluppo del Porto Franco Internazionale di Trieste, previsto dai trattati citati e regolato dall’allegato VIII del trattato di pace ritenendolo, a buon diritto, il vero cuore dell’economia locale, in grado di assicurare prosperità a un territorio autonomo.

Per effetto di questi trattati precedenti alla formazione dell’Unione Europea (e da essa recepiti), il porto franco di Trieste è il solo in Europa a cui è garantita la piena extraterritorialità doganale. Ciò lo rende un unicum su cui nemmeno Bruxelles ha poteri di intervento. Extraterritorialità doganale che ha fatto ipotizzare, in seguito al Brexit, il suo utilizzo anche come sede di grandi imprese attualmente nel Regno Unito, riproponendo quel Centro finanziario offshore previsto dalla legge 19/1991 promulgata nel clima di euforia esploso alla caduta della cortina di ferro, ma mai realizzato malgrado sponsor importanti come le Generali.

Da oltre sette decenni l’Italia si dimostra molto restia alla piena attuazione del regime di porto franco nelle modalità previste dall’allegato VIII, che pertanto è diventato il centro delle rivendicazioni del Coordinamento lavoratori portuali Trieste (Clpt), il sindacato maggioritario dei lavoratori portuali triestini.

Come ha dichiarato Paola De Micheli, ministro dei Trasporti, «l’Agenzia delle dogane non ha mai voluto compiutamente riconoscere il regime di extradoganalità del porto franco triestino». Non vi è necessità di riconoscimenti a livello Ue, essendo il regime di Trieste stato escluso dal regime comunitario (intervista a Il Piccolo 24/10/2019). Così lo striscione «Allegato VIII» figura sempre alla testa dei cortei dei portuali, che lo scorso luglio hanno ottenuto l’apertura di un tavolo di alto livello su questo tema al ministero dell’Economia. Per comprendere appieno la particolarità della situazione triestina, bisogna partire dalla considerazione che qui i lavoratori portuali si stanno mobilitando per ottenere l’applicazione di un trattato internazionale stipulato oltre settant’anni fa, pienamente sostenuti in questo dalle imprese e dagli spedizionieri che operano nel porto.

2. L’importanza dell’economia portuale per il territorio è accuratamente documentata dall’Analisi di impatto economico del porto di Trieste, svolta dall’Agenzia imprenditoriale operatori marittimi (Aiom) presieduta dal professor Sergio Bologna. Le cifre presentate in questo documento parlano chiaro. Lo studio ha stimato un fatturato annuo prodotto nel 2018 direttamente dal porto, pari a 1,3 miliardi di euro, per un valore aggiunto di 497 milioni di euro. L’occupazione diretta è di 5.070 unità e quella indiretta di 2.142.

Il valore dell’indotto in termini di fatturato è di 1,5 miliardi di euro e l’occupazione indotta di 3.974 unità. Complessivamente, il comparto portuale produce 2,8 miliardi di fatturato, 1 miliardo di valore aggiunto e un’occupazione complessiva di 11.186 unità. Lo studio ha altresì calcolato il gettito fiscale generato dal porto: 205 milioni per le casse statali e 274 milioni per quelle regionali. In termini relativi, il porto e il suo indotto rappresentano il 12% dell’occupazione della provincia di Trieste. In termini di pil, invece, il porto rappresenterebbe il 9% della ricchezza prodotta nel territorio provinciale.

Malgrado queste cifre (3), la politica locale aveva quasi scordato l’importanza del porto franco internazionale per l’economia e la vita della città, puntando invece su strategie economiche tanto astratte quanto inefficaci, incentrate sull’urbanizzazione di aree già portuali in chiave turistica e non sullo sviluppo di attività produttive in zona franca e sulla portualità.

Il merito dei movimenti indipendentisti è stato, indubbiamente, quello di rifocalizzare il dibattito pubblico sulle tematiche del porto franco e dell’internazionalizzazione, istanze ormai universalmente affermatesi.

Andando oltre la disputa giuridica sull’attualità del TLT, la sostanza che concretamente alimenta questa visione, scevra di qualsivoglia rivendicazione di tipo identitario, molto presente in quasi tutti gli indipendentismi (veneto, sardo, catalano o scozzese), è iscritta nel dna della città. Come sottolinea il bel libro di Claudio Magris e Angelo Ara, Trieste: un’identità di frontiera, o quello di Jan Morris Trieste o del nessun luogo, non vi è alcuna identità definita. In realtà, Trieste è una vera città solo da meno di tre secoli. Si è sviluppata intorno al porto franco istituito dall’imperatore Carlo VI d’Asburgo nel 1719 ed è cresciuta grazie all’impulso fornito da Maria Teresa d’Austria, che vi fece affluire da tutto il mondo operatori e mercanti, di svariate etnie, lingue e religioni. Uno sviluppo travolgente evidenziato anche da un acuto osservatore come Karl Marx.

Due suoi articoli, usciti sul New York Tribune rispettivamente il 9 gennaio e il 4 agosto 1857, ne attribuivano il merito sia al vasto entroterra europeo, il «mercato unico» dell’impero, sia al fatto che «Trieste aveva, al pari degli Stati Uniti, il vantaggio di non possedere un passato». Scriveva l’autore tedesco: «Popolata di commercianti e speculatori italiani, tedeschi, inglesi, francesi, greci, armeni, ebrei in variopinta miscela, [Trieste] non piegava sotto le tradizioni. Mentre il commercio veneziano dei cereali non usciva dai vecchi rapporti, Trieste allacciava il suo destino con la stella sorgente di Odessa, e al principio del XIX secolo, escludeva la rivale dal commercio mediterraneo dei cereali».

È curioso ricordare che la famosa scalinata di Odessa (a sua volta porto franco dal 1819),
 ripresa nel film La corazzata Potëmkin di Sergej Ejzenštejn fu costruita con pietre arenarie delle cave triestine, i masegni, fatte arrivare appositamente dal porto franco di Trieste. Forse è stato proprio il tentativo di superare l’intrinseca debolezza del sentimento di identità nazionale a produrre, a Trieste, icone tragiche del nazionalismo italiano più radicale. Come Wilhelm Oberdank, successivamente italianizzato in Guglielmo Oberdan, figlio illegittimo della domestica slovena Josepha Oberdank, e diversi altri irredentisti italiani, dai cognomi slavi o tedeschi: Adolfo Liebman, Giani Stuparich, Scipio Slataper, Marco Prister.

Carta di Laura Canali
3.Le radici dell’endemico autonomismo/ indipendentismo triestino affondano nella frustrazione provocata dall’ essere decaduti dallo status di porto principale (e terza città) del più grande impero europeo a piccola città periferica di uno Stato a sua volta periferico e arretrato, nel rapporto profondo tra la città e il suo porto franco internazionale e nella funzione che quest’ultimo ha svolto, e soprattutto subìto, nelle dispute geopolitiche internazionali. Come scriveva profeticamente Luigi Einaudi («se l’Italia vorrà conservare Trieste, lo potrà fare solo a condizione di non voler sfruttare il porto di Trieste a vantaggio esclusivo degli italiani» (4) e come hanno sempre sostenuto i veci nati durante l’impero, tra cui il poeta Biagio Marin (autore di una struggente poesia sul tema (5), il porto di Trieste avrebbe perso «gran parte del suo valore nel giorno che fosse separato dal suo entroterra tedesco e slavo e aggregato all’Italia». 
Cioè quanto è puntualmente avvenuto a partire dall’annessione successiva alla prima guerra mondiale.

L’attuale popolazione di Trieste (204.849) è inferiore a quella censita nel 1910, ovvero 229.510, cui si sommavano più di 35 mila immigrati giunti dal Regno d’Italia. Un caso unico tra le città europee, che da inizio secolo hanno generalmente moltiplicato il numero degli abitanti, segno di una decadenza pronunciata e costante. Prendendo a esempio i collegamenti ferroviari passeggeri, oggi non vi è più alcuna linea diretta con Vienna, mentre la linea ferroviaria austriaca Trieste-Vienna fu inaugurata già nel 1857. Una situazione peggiore di centosessanta anni fa, che testimonia quanto è stato fatto per tagliare le radici mitteleuropee di Trieste, in ossequio al nazionalismo italiano. E basta un viaggio per notare come il collegamento ferroviario passeggeri tra Trieste e il resto dell’Italia – via Venezia – sia inefficiente e distante da qualsiasi standard moderno.

Tutt’altra cosa è il collegamento merci del porto franco internazionale con il naturale entroterra mitteleuropeo. Utilizzando vettori esteri e sfruttando la ramificata rete ferroviaria lasciata in eredità dall’impero, compresi ponti e viadotti datati 1857, l’Autorità portuale ha fatto della ferrovia la principale modalità di trasporto terrestre, realizzando un forte e costante incremento annuo (10 mila treni standard registrati nel 2018, dato stimato in crescita per il 2019). Come sostenuto da più parti, l’impressione è che l’Italia abbia voluto Trieste per farne un simbolo di unità nazionale, per poi dimenticarsene rinunciando a utilizzare le notevoli potenzialità geoeconomiche del suo porto franco.

Il risentimento per questo «oblio» aveva già alimentato il dirompente fenomeno autonomista della Lista per Trieste (il cosiddetto «Melone»), che nelle elezioni comunali del 1978 scardinò il sistema partitico locale. Ma questa formazione politica era egemonizzata dai nazionalisti delusi dall’Italia «matrigna», ultimi eredi della borghesia liberal-nazionale italiana della prima metà del Novecento, che riuscirono a strumentalizzare l’autonomismo latente e il «portofranchismo» endemico, capitalizzando il sentimento di rancore tipico dell’amante tradito. Ora, nel neo-indipendentismo triestino questi sentimenti ambivalenti verso l’Italia sono invece assenti. Il fine è esplicitamente ottenere quella «internazionalizzazione della città» di cui parlava Novak.

Prevale, in questa visione, la convinzione che gli interessi di Trieste e del suo porto francoi nternazionale divergano irrimediabilmente da quelli nazionali italiani. Roma sembra preferire lo sviluppo di un sistema portuale concorrente, insensibile alle tematiche della portualità internazionale, proprio mentre le zone franche si stanno invece moltiplicando e sviluppando in tutto il mondo. A partire dalla Cina: fin dai tempi di Deng, Pechino ne ha fatto uno dei principali motori di sviluppo della propria economia.
Carta di Laura Canali4. La sensazione di abbandono è peraltro corroborata dai risultati di un secolo di annessione: isola-mento dall’entroterra naturale europeo – solo ora in via di superamento – e fallimento dell’integrazione con il sistema economico italiano, che gli irredentisti avevano invece prefigurato.

Mettiamo a confronto i due porti che l’Italia ha recentemente indicato come possibili terminal delle nuove vie della seta: Trieste e Genova.

A Trieste, il 90% delle merci attualmente transitanti per il porto franco internazionale riguarda itraffici con l’Europa centro-orientale. Esempio chiarissimo dell’integrazione nella catena di distribuzione tedesca è l’oleodotto transalpino Tal/Siot, che da cinquant’anni pompa petrolio greggio fino a Ingolstadt, in Baviera, fornendo il 40% del fabbisogno petrolifero tedesco (il 100% delle regioni della Baviera e del Baden-Württemberg), il 90% di quello austriaco e oltre il 30% di quello ceco. Solo il 10% dei traffici è diretto verso l’Italia. Dunque un porto che fa da snodo tra l’Europa e l’Oriente (lontano e vicino), utilizzando il Canale di Suez e il suo recente raddoppio, come descritto da Luigi Einaudi già nel 1915. Dal canto loro, i traffici del porto di Genova interessano per il 47,4% la Lombardia, per il 18,4% il Piemonte, per l’8,6%, l’Emilia-Romagna e per l’8,2% il Veneto. Complessivamente, circa il 90% dei traffici è destinato all’Italia – il contrario di Trieste. C’è da meravigliarsi se Genova ha prodotto Balilla, mentre a Trieste predominano indipendentismo e cosmopolitismo?

Non c’è nemmeno da stupirsi se a Trieste prevalga l’opinione che le nuove vie della seta lanciate da Pechino non siano un pericolo, bensì un’opportunità per ritornare all’antica funzione di fulcro fra Occidente e Oriente, frustrata dall’isolamento conseguente all’annessione all’Italia avvenuta nel primo Novecento. La decadenza del porto di Trieste seguita al distacco forzoso dall’entroterra naturale e all’aggregazione al sistema politico-economico italiano, rivelatosi indifferente (quando non ostile per motivi di concorrenza), ha prodotto il tracollo dell’industria navalmeccanica e di quel tessuto industriale che di norma prospera intorno ai grandi porti. Si è assistito all’instaurazione di un’economia assistita e all’elefantiasi del pubblico impiego.

A Trieste, il pil prodotto dal settore industriale ammonta ora a circa il 9%, mentre in Friuli al 21%. La media nazionale italiana è del 18,5% e quella della stessa Roma è del 13%. Per fare un paragone, la Germania ha il 27,5% e la città Stato portuale di Singapore il 26%. La via maestra per venire fuori da questa penosa situazione è quella intrapresa dall’Autorità portuale: utilizzare il regime di porto franco, magari completato con fiscalità di vantaggio, per favorire insediamenti industriali e produttivi che mantengano sul territorio il valore aggiunto dei traffici portuali e sviluppare al massimo le connessioni internazionali. E qui il rapporto con l’Asia e la Cina diventa cruciale per la città portuale dove è stato progettato il Canale di Suez 6, che con la sua realizzazione ha regalato a Trieste una posizione centrale nei traffici tra Europa e Oriente.

Trieste, come spesso accaduto, per esempio durante la prima guerra mondiale e nella guerra fredda, si trova nuovamente al centro di tensioni geopolitiche importanti. Non più solo intraeuropee stavolta, ma principalmente tra Usa e Cina. Il porto di Trieste è ritenuto, geopoliticamente e militarmente, troppo strategico per poter diventare tout court un terminal delle nuove vie della seta a disposizione della Cina. Probabilmente il punto di equilibrio tra spinte contrapposte va ricercato nella sua particolare natura di porto franco internazionale, da mantenere a disposizione di tutti gli Stati, senza privilegi o discriminazioni. È dalla sua posizione «terza» e neutrale nei conflitti che un porto franco può trarre vantaggio, così come la franchigia doganale e daziaria lo agevola in un periodo di crescente protezionismo e guerre commerciali. E questo è anche uno dei motivi che induce a sviluppare sentimenti autonomisti in opposizione agli Stati nazionali e al loro necessario schierarsi nel contesto internazionale.

5. Il manifestarsi, con andamento carsico, di movimenti popolari e organizzazioni autonomiste/indipendentiste a Trieste, focalizzate sulla promozione del porto franco internazionale, non ha niente a che fare con chiusure identitarie localiste. È piuttosto espressione della spinta all’ internazionalizzazione e alla piena realizzazione del ruolo di nodo di traffici e connessioni internazionali. Questa è da trecento anni l’anima profonda di questa città, che non può lasciarsi ingabbiare nel nazionalismo senza deperire. Come pochi sanno, è qui che nel 1827 Josef Ressel ha inventato, collaudato e brevettato l’elica navale, dispositivo che ha rivoluzionato la navigazione, in un contesto di effervescente sviluppo economico e culturale.

In questa visione, l’autonomia e il distacco dalle pastoie burocratiche e dalle inefficienze dello Stato nazionale – vissuto come un’obsoleta struttura centralistica, con una classe politica incapace non solo di produrre visione strategica, ma semplicemente di stare al passo con gli sviluppi dei traffici internazionali – sono ritenuti passaggi necessari. Presupposti per poter sviluppare le evidenti potenzialità geoeconomiche della città portuale in questa nuova fase. La missione storica e geopolitica di Trieste, pena la perdita della sua ragion d’essere, è quella di servire, come porto franco, un’ampia area plurinazionale, quale che sia la forma politica più consona al momento storico.

Forte resta il fascino esercitato dalle città Stato portuali che si pongono sulla scena globale come nodi della rete di traffici e connessioni internazionali, gestite da amministrazioni locali snelle, efficienti e ben sintonizzate sulle necessità dell’apparato produttivo e della società civile. Innanzitutto Singapore, un mito per gran parte degli indipendentisti triestini, ma anche Brema e Amburgo, che tuttora sono Stati con istituzioni proprie federati alla Germania.

E non potrebbe essere diversamente in una città portuale sempre più integrata nella catena del valore tedesca e che risente dell’influsso delle faglie geopolitiche riattivate dal rimescolamento degli assetti europei e dalle tensioni globali. Dal Trimarium alle rivendicazioni autonomiste nel Nord-Est italiano (ma anche in Baviera); dal riemergere del concetto di Kerneuropa e di «Europa di Mezzo» (Mitteleuropa) non solo come nostalgia culturale, ma come area di integrazione economica. Per arrivare infine ai confronti su larga scala tra Usa, Cina e Russia.

L’autonomismo/indipendentismo triestino è attraversato da sentimenti ambivalenti: voglia di distacco (dall’Italia) e di integrazione (con l’Europa di Mezzo), nostalgia per i fasti passati e proiezione verso un futuro globale. Paradossalmente, a Trieste il più forte impulso politico verso un mondo interconnesso sembra essere quello che apparentemente indicherebbe la direzione contraria: il decentramento e l’autonomia da uno Stato nazionale inefficiente e attraversato da forti spinte verso chiusure nazionaliste, quelle che ora si usa denominare «sovraniste».



Note:
1. B.C. Novak, Trieste 1941-1954, Chicago 1970, University of Chicago Press (edito in Italia da Mursia, p. 441).
2. A. Luchetta, «Se Trieste rinnega l’Italia», Limesonline, 27/1/2014; «Basta dialogo, il Movimento Trieste Libera passa all’autodifesa dall’Italia», Limesonline, 4/3/2014.
3. Dati in M. Sommariva, «I porti marittimi da locale a globale», Sistemi di Logistica, autunno 2019.
4. L. Einaudi, Guerra ed economia – Prediche, Roma-Bari 1920, Laterza, p. 42.
5. La poesia recita: «Trieste è felice stasera/ Celebra con trasporto la sua futura sventura/ Perché tutte le volte che questa nostra città si è concessa con sconfinato entusiasmo all’Italia amata, ha subito imboccato la triste strada della decadenza/ Noi eravamo il gioiello dell’Impero di Maria Teresa e il porto dell’Austria/ Eravamo la rosa profumata degli Asburgo/ Con l’Italia saremo un piccolo fondaco gestito in modo sbrigativo dai burocratici e diventeremo una società strozzata e rassegnata di facili guadagni e di indomabili nostalgie/ Oggi è cominciato il nostro tramonto».
6. L. Goriup, «Se esiste il Canale di Suez il merito è di Revoltella», Il Piccolo, 5/12/2017.