RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

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mercoledì 3 ottobre 2018

RINASCITA DI TRIESTE E DECLINO DI UDINE: così dice Venezie Post - Ne saremmo lieti, ma sarà vero ? - L' articolo

Riportiamo l' articolo di ieri di Venezie Post (QUI) perchè ci piacciono le buone notizie  anche quando sono un po' superficiali.
Ma un fondo di verità c'è e sono di buon auspicio: un po' di ottimismo aiuta anche se, come dice l' articolo stesso, bisogna darsi molto da fare.


Il declino di Udine, la rinascita di Trieste e le sfide del futuro


In questi anni Udine sembra essersi “triestinizzata” e Trieste “milanesizzata”. La prima è entrata in un declino che la rende periferia estrema del nuovo triangolo industriale. La seconda in grande crescita grazie al Porto e al turismo. Ma il destino non è segnato né in un senso né nell'altro e queste tendenze potrebbero invertirsi.

di Filiberto Zovico



Più di dieci anni fa, durante l’era Illy, sotto l’attenta regia di Cristiana Compagno, Udine celebrava con il Festival InnoVaction la grande forza economica e politica di quel territorio. Se c’era un centro del Friuli Venezia Giulia, questo era sicuramente Udine, non certo la sonnacchiosa Trieste dedita a vivere di rendite pubbliche e a passare intere stagioni a prendere il sole sulle rive.
A determinarne la forza di Udine erano grandi gruppi industriali come Pittini e Fantoni (solo per citare due aziende simbolo), una Università in fase di decollo e una vita culturale che aveva in un Festival come Vicino/Lontano una delle sue punte di diamante.
Trieste appariva invece come una città ripiegata su se stessa, con un Porto in declino, marginale e lontana da uno scacchiere europeo che nella traiettoria da Lisbona a Kiev preferiva salire lungo la Pontebbana verso il nord Europa che avventurarsi sul Carso, per terminare la corsa nel deserto spettrale di un Porto Vecchio abbandonato e chiuso alla stessa città.
Poi, negli ultimi anni, lentamente,  si è determinata la svoltaUdine, forse perché si è sentita sin troppo forte, ha cominciato a chiudersi pian piano in uno splendido isolamento, affidandosi a classi dirigenti (quelle che contano davvero, non quelle politiche) dedite più all’autoconservazione che al tentativo di aprirsi e di giocare sullo scacchiere più ampio di quel nuovo triangolo industriale che da Milano corre fino a Bologna e arriva poi a lambire la provincia di Pordenone.
Trieste, di converso, ha iniziato a mettere a fuoco due delle sue vocazioni: quella turistica e quella portuale. Il turismo, spinto anche da da trend globali, ha fatto scoprire e riempire una città bellissima e di grande fascino. Il Porto, con l’arrivo di D’Agostino, è tornato ad accendere i motori lasciati spenti per decenni e a diventare elemento di traino per la città.
Girando la città Giuliana in occasione di Trieste Next questo clima era visibile e palpabile. Una Trieste viva, bellissima, carica di entusiasmo è stracolma di giovani giunti da ogni parte d’Italia. La sensazione condivisa tra i visitatori è stata, estremizzando le polarità, di una Udine “triestinizzata”, cioè declinante come è stata per anni la città della barcolana,  e di una Trieste “milanesizzata”, cioè rivitalizzata dai nuovi flussi turistici e portuali.
Ma, se queste sono alcune linee di tendenza, va anche detto che il destino di queste città non è segnato, ne in un senso nè nell’altro. Udine ha ancora risorse notevoli per ripartire. Ha sopratutto una nuova classe imprenditoriale molto proiettata al futuro (Siagri di Eurotech e Scarpa di Biofarma solo per citare due uomini simbolo)  che potrebbe invertire il percorso che la sta portando ad essere estrema periferia del triangolo industriale; Trieste, invecese non riparte con un tessuto industriale, non crea sinergie con i centri di ricerca e non realizza un piano straordinario che la colleghi al mondo via aria e via terra, nel caso il miracolo del Porto dovesse arrestarsi, rischia di radicalizzare la sua già naturale tendenza a tornare ad essere solo una casa di riposo diffusa per anziani benestanti.


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