RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

giovedì 30 settembre 2021

CON L’ ARRIVO DELLA BAT CON 2.700 POSTI DI LAVORO TUTTI ORA SALGONO SUL CARRO DELLA “ZONA FRANCA” PRODUTTIVA: MA FINO A POCO FA AVEVANO OSTEGGIATO SIA LEI CHE LA REINDUSTRIALIZZAZIONE – GLI ESEMPI DEL PD, DI DIPIAZZA E DI PACORINI.

 


CON L’ ARRIVO DELLA BAT CON 2.700 POSTI DI LAVORO TUTTI ORA SALGONO SUL CARRO DELLA “ZONA FRANCA”PRODUTTIVA: MA FINO A POCO FA ...

Adesso sono tutti  per l’ utilizzo produttivo del Porto Franco e il riconoscimento dell’ extraterritorialità doganale e per favorire insediamenti industriali ecocompatibili.

Ma fino a poco fa erano non solo contrari ma accusavano di essere un “nostalgico asburgico” chi come noi da  sempre sosteneva il valore del Porto Franco.

IL CASO PD E RUSSO

Il sen. Russo ha fatto togliere il Punto Franco da Porto Vecchio 7 anni fa con il risultato che tutto è in degrado e sta crollando.
L’ Autorità Portuale saggiamente lo ha mantenuto sulla fascia costiera e all’ Adriaterminal dove infatti opera una realtà di avanguardia mondiale come la Saipem e la borsa metalli della GMT.
La scelta di Russo era figlia di un’ ideologia neoliberista affermatasi nel PD triestino contrario al Porto Franco e ben esplicitata da un articolo di Giorgio Rossetti, da sempre dirigente e deputato europeo, sul Piccolo del 2 marzo del 2005 (vedi immagine iniziale).

A queste  tesi si sono ispirati i più giovani dirigenti PD come Cosolini, Russo e gli altri.
E il PD ha preso la strada senza uscita della urbanizzazione in chiave turistica di Porto Vecchio, con tanto di spiaggia di sabbia a Barcola, anziché quella dell’ uso produttivo dei Punti Franchi e della reindustrializzazione ecocompatibile.
Ecco il testo:
“- Punto franco anacronistico

La notizia riportata dal «Piccolo» del 20 febbraio sui recenti pronunciamenti della magistratura che «dichiarano in maniera univoca che il Porto franco di Trieste va assimilato a territorio extradoganale e internazionale» offre lo spunto per una puntualizzazione e qualche riflessione.
La precisazione riguarda lo stato giuridico attuale dei punti franchi di Trieste nella normativa europea. Il codice doganale comunitario (regolamento Cee 2923 del 1992) ha fatto scomparire la pre-esistente finzione giuridica che considerava le zone e i punti franchi fuori dal territorio doganale dell'Unione europea. Le merci provenienti da Paesi terzi che entrano nelle zone franche comunitarie fanno nascere l'obbligazione doganale, ma l'esazione dei relativi diritti è sospesa in attesa di conoscere la destinazione o l'utilizzo delle merci stesse. Questo non impedisce all'autorità doganale di poter «controllare le merci che entrano in una zona franca o in un deposito franco o che vi vengono depositate o che vi escono» (art. 168, paragrafo 4), anche se per tale controllo può risultare sufficiente «una copia del documento di trasporto che deve accompagnare le merci all'entrata e all'uscita».
Sembra però di capire che i giudici – pronunciatisi «su diverse istanze» presentate da un legale – abbiano considerato il punto franco di Trieste come «non comunitario», riconoscendogli carattere extradoganale e internazionale in base al Trattato di Pace.
Ma è il Codice doganale comunitario – che ha valore di legge in ogni Stato membro – a indicare con puntualità all'art.3 quali sono le aree esterne al territorio doganale dell'Unione. Per quanto riguarda il nostro Paese, il territorio doganale comunitario comprende «il territorio della Repubblica italiana a eccezione dei comuni di Livigno e di Campione d'Italia e delle acque nazionali del Lago di Lugano racchiuse tra la sponda e il confine politico della zona situata tra Ponte Tresa e Porto Ceresio».
Dunque, non essendo menzionato tra le eccezioni, si deve dedurre che anche il Porto Franco di Trieste fa parte del territorio doganale comunitario. Lungi dall'essere extraterritoriale, esso non risulta neanche extradoganale.
Questa situazione è del resto ben nota anche ai vari ambienti che a Trieste sostengono l'intangibilità del Porto Vecchio, tanto da indurli a intervenire nel novembre scorso sulla Rappresentanza italiana a Bruxelles e il 12 gennaio scorso sui parlamentari europei del Nordest per lamentare l'omissione dal regime extradoganale del Porto Franco di Trieste e chiederne l'inserimento approfittando dell'aggiornamento in corso del Codice doganale comunitario.
Quale che sia l'esito di questa sollecitazione, c'è di che riflettere sulla capacità di interdizione a qualsiasi cambiamento dell'area del Porto Vecchio che alcuni ristretti ma potenti ambienti triestini riescono a esprimere. Dal primo progetto (Polis, 1988) che cominciò a ipotizzare il riuso di quell'area immensa e pressoché inutilizzata, sono trascorsi ormai 18 anni senza che si sia fatto un solo passo avanti. Viene da pensare cosa sarebbe accaduto se Trieste avesse vinto la gara per l'Expo, a quale figura ci saremmo esposti, considerata la capacità dimostrata da questi circoli di bloccare ogni iniziativa. E viene naturale chiedersi: per difendere che cosa?
Il volume attuale di merci movimentate in Porto Vecchio non giustifica certamente questa difesa a oltranza; né oggi con la piena liberalizzazione degli scambi ha senso attestarsi nella salvaguardia di un regime che ha sì fatto le fortune della nostra città, ma in periodi di rigido protezionismo. Lo studio della Fiat Engineering sul Porto Franco di Trieste affermava questo concetto con molta nettezza: l'importanza dei Porti o Zone Franche era da considerarsi «legata a un'epoca protezionistica ormai alle spalle», e quindi individuava il vantaggio (allora, 1988) del regime speciale del porto di Trieste esclusivamente nell'ottica di «interfaccia tra sistemi politici ed economici diversi". Perché nel 1988 il muro di Berlino non era ancora crollato. Ma ora che la maggior parte dei Paesi che avrebbero dovuto usufruire del «libero accesso» allo scalo giuliano sono addirittura entrati – o stanno per farlo – nell'Unione europea, che esiste un Mercato unico europeo in cui le merci possono circolare liberamente, e che a livello internazionale il regime degli scambi è totalmente liberalizzato e garantito dal Wto, qual è il vantaggio del regime di Punto Franco?
Non siamo forse tutti d'accordo nel lamentare la grave crisi dello scalo triestino, in controtendenza rispetto ad altri porti che pure non possono vantare la nostra specialità? E difficile capire come si possa spiegare ai parlamentari europei che il Porto Franco è «essenziale per il futuro della nostra città, della nostra regione e dell'intero Nordest», quando non solo Venezia ma anche Monfalcone sta sviluppando volumi di traffico superiori al nostro scalo in barba al suo regime speciale.
Le rigide condizioni che ora i sostenitori del Punto Franco indicano per il Piano regolatore del Porto lasciano intendere che questa partita è destinata a durare ben oltre i 18 anni già trascorsi dalla prima ipotesi di riutilizzo del Porto Vecchio. E resterà una storia infinita finché le forze responsabili e di «buona volontà» a Trieste non affronteranno una volta per tutte il nodo di questo regime anacronistico, pronunciandosi con chiarezza sui suoi limiti, in larga misura sul suo superamento, e sul poco – se c'è ancora – da salvare. In assenza di questa netta assunzione di responsabilità, il Porto Vecchio continuerà a degradare, del tutto inutilizzato ai fini dello sviluppo della città; e certi ambienti perpetueranno la loro forza di interdizione paralizzante.

Giorgio Rossetti  -“

IL CASO DIPIAZZA E IL SUO NO ALLA REINDUSTRIALIZZAZIONE

Dipiazza, oltre a non aver combinato niente in Porto Vecchio

dove ogni giorno annunciava investitori fantasma, si è sempre dichiarato contro la reindustrializzazione di Trieste ed ha puntato tutto su un turismo di massa pacchiano fatto di “albereti e lucete”, sagre e fiere di venditori ambulanti e progetti immaginifici di Acquari, Fish Market ed altre fantasiose amenità.
Dipiazza il 4/11/19 ai sindacati come riportato da Trieste Prima : 


"Non siamo una città industriale" "Voglio dire ai sindacati una cosa: è ora di finirla di dare contro al sindaco. Lasciatemi lavorare in pace che sto portando avanti un discorso per una città che non è industriale e che ha molto altro da offrire. Devono capire che non siamo Brescia, comune che ha oltre il 30 per cento di occupati nell'industria. Insomma - ha concluso Dipiazza - non siamo una città industriale". 

Infatti adesso, grazie al Punto Franco “Freeste”, arriva la BAT con 2.700 posti di lavoro qualificati che superano quelli persi in questo periodo da commercio e turismo.
Almeno taccia invece di cercare di intestarsi anche questo in cui non c’ entra assolutamente niente.

IL CASO PACORINI E “IMPRENDITORI ILLUMINATI”

Pacorini è un caso esemplare di opposizione al Punto Franco (dopo averlo abbondantemente usato per la borsa materie prime). Ma anche Riccardo Illy era sulla stessa lunghezza d’ onda tant’ è che entrambi avevano intrapreso la strada della politica nel medesimo schieramento.
Nel riquadro riportiamo le dichiarazioni di un membro della dinastia Pacorini:

Sotto un articolo dello stesso sul Piccolo del 15/7/2017 in cui smentisce la possibilità di uso produttivo e industriale del


Porto Franco: proprio quello a cui adesso Zeno D’Agostino Presidente dell’ Autorità Portuale sta lavorando con successo. Ci voleva uno da fuori per mandare in soffitta i brontosauri locali che si atteggiano a “classe dirigente” quando sono solo capaci di farsi gli affari propri.

Pacorini che ha osteggiato il Porto Franco fin dal momento del suo impegno in Trieste Futura in Porto Vecchio vede smentite le sue tesi proprio dall’ arrivo della BAT.
E' stato presidente locale di quella Confindustria che ha assistito inerte alla deindustrializzazione di Trieste (ormai ridotta a meno del 9% del PIL da industria) occupandosi più di turismo in Porto Vecchio che di industrie, nonchè candidato sindaco del Centro Sinistra pervaso da un' ideologia Anti Zone Franche.
Quando non è stato eletto Sindaco ha rifiutato di fare il semplice consigliere comunale, carica troppo umile per Sua Arroganza, dimettendosi sdegnato.
Adesso Trieste deve e può darci un taglio.
Le elezioni comunali del 3 e 4 ottobre sono un' occasione irripetibile di cambiamento: abbiamo deciso di candidarci con ADESSO TRIESTE per questo.

Paolo Deganutti