RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

sabato 19 novembre 2016

DEDICATO A FRANCESCO GIUSEPPE IL "LIBRO DELL' ANNO" DELLA TRECCANI - LO STORICO FRANCO CARDINI: " FRANCESCO GIUSEPPE ODIAVA LE GUERRE"




A un secolo dalla morte di Francesco Giuseppe, avvenuta al Castello di Schönbrunn il 21 novembre 1916, il “Libro dell’anno 2016”dell’Enciclopedia Treccani, dedica all’imperatore d’Austria un approfondimento firmato dallo storico Franco Cardini: “Francesco Giuseppe e le guerre mai volute”.
Franco Cardini è storico illustre, specializzato nel Medioevo e storia della Cavalleria, attento osservatore delle questioni Mediorientali ed autore del libro "la scintilla" sulla responsabilità della "guerra di Libia "che l' Italia mosse nel 1911 all' Impero Ottomano nel provocare l' "effetto domino" della destabilizzazione mondiale.

Ne anticipiamo un ampio stralcio, pubblicato anche sul Piccolo, per gentile concessione dell' autore.


Francesco Giuseppe odiava le guerre 
 di FRANCO CARDINI
 L ’imperatore si spense dolcemente alle 9 e 5 minuti di quella sera, il 21 novembre del 1916. Le procedure di preparazione della salma e di imbalsamazione andarono per le lunghe e furono condotte in modo alquanto maldestro. Solo 10 giorni dopo, il 30, si presentò dinanzi alla porta della Kapuzinergruft di Vienna. Gelido, disfatto a causa dell’imbalsamazione mal riuscita, chiuso nella sua candida alta uniforme, invisibile a tutti. Bussarono per lui alla porta, una volta. Alla domanda del padre guardiano all’interno, chi fosse a chiedere ultimo asilo, risposero per lui secondo il rito: Sua Maestà Cesarea il Kaiser Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, re apostolico d’Ungheria, re di Boemia, di Dalmazia, di Croazia, di Slavonia, di Galizia, di Lodomiria e d’Illiria, re di Gerusalemme, arciduca d’Austria, granduca di Toscana eccetera. Non lo conosciamo, si senti rispondere da dentro.
Secondo appello: chi bussa? Francesco Giuseppe, semplicemente. Identica risposta: ancora una volta, come il perentorio Zuruck! che respinge il principe Tamino alle soglie del Tempio della Saggezza nel secondo atto della “Zauberflote” di Mozart. 
Terzo appello. Chi bussa ancora? Ein armer Sunder, un povero peccatore. Quello, Dio lo conosceva: e anche i fedeli frati custodi della cripta di famiglia degli Asburgo. La porta si apri ed egli potè scendere a riposare con i suoi avi e con la sua Sissi. Intanto, sui campi di battaglia, l’Europa stava agonizzando. Francesco Giuseppe morì in buona compagnia. Con lei. Quell’uniforme candida nella quale ormai avrebbe riposato per sempre era forse la stessa con la quale poco più di due anni prima, nel fatale 1914, egli aveva seguito a piedi, ottantaquattrenne, la processione del Corpus Domini nella sua capitale. Quel gesto di regale umiltà - uno dei tantissimi dei quali era capace - aveva commosso profondamente Papa Pio X, ch’era nato nel Veneto ancora sotto il suo regno e che non dimenticava mai di pregare per il •”suo” imperatore. Ma pochi giorni dopo, il 28 giugno, c’era stata la tragedia di Sarajevo: e tutto era precipitato. Non l’aveva voluta, quella guerra. E anche delle tre che prima di quella gli era toccato di vedere -nel ’48, nel •’59, nel ’66 - non ne aveva voluta nessuna. 
Aveva trascorso la vita intera in uniforme, come si conveniva al•”primo funzionario dello Stato”, com’era fiero di definirsi: ma era, e sempre rimase, un uomo di pace. 
Già all’indomani dell’annessione della Bosnia-Erzegovina, mentre ormai si stavano presentando - nell’Austrungheria e non solo - le prime spinte oltranzistiche, aveva quasi aggredito il nipote e successore designato al trono, l’arciduca Francesco Ferdinando, con queste parole: •«Hai mai visto la guerra, tu? No! Ma io l’ho vista, e perciò ti dico che prima di avventurarcisi bisogna rifletterci ancora tanto a lungo fino a trovare un mezzo per evitarla». E alla figlia Maria Valeria, una delle poche persone con cui amasse confidarsi, aveva dichiarato una volta che è sempre difficile trovare delle ragioni per fare una guerra, anche perché in realta non ce ne sono mai. 
Alla notizia della morte del nipote Francesco Ferdinando nell’attentato di Sarajevo, l’imperatore non apparve in fondo né troppo scosso né eccessivamente addolorato; anzi, dalle sue immediate dichiarazioni pare quasi di capire ch’egli pensasse che le cose avevano avuto il loro necessario esito. 
Tutto era andato, dal ’67 in poi, contro la volontà di Dio che gli aveva affidato i suoi popoli: era stato solo nel nome e in vista della sopravvivenza della monarchia che egli aveva dovuto accettare contro la propria coscienza tanto l’Ausgleich austroungarica prima quanto il sistema costituzionale poi. 
Ma la prospettiva presentatagli dall’arciduca Francesco Ferdinando, quella di una nuova riforma che aggregasse anche gli slavi, doveva sembrargli in realtà eccessiva e intollerabile. Certo, egli non avrebbe mai potuto opporsi: ma era accaduto che, proprio per mano di uno slavo, ci aveva pensato la Provvidenza. 
All’indomani dell’attentato l’imperatore si schierò con il primo ministro, l’ungherese Istvan Tisza, dichiarandosi contrario a qualsiasi tipo di azione di rappresaglia contro la Serbia: anche perché essa avrebbe comportato con ogni probabilità un intervento russo e quindi una guerra di più ampie e terribili proporzioni. Ma tutti gli altri ministri, a cominciare da quello degli esteri Leopold Berchtold, erano dell’avviso che ai serbi si dovesse impartire una lezione indimenticabile. Nel medesimo giorno dell’inizio della guerra contro la Serbia, l’imperatore firmò un proclama diretto a tutti i suoi popoli: «Sarebbe stato il mio più ardente desiderio dedicare gli anni che ancora mi sono concessi a opere di pace e a risparmiare ai miei popoli i pesanti sacrifici e gli oneri della guerra. La Provvidenza ha deciso altrimenti. Le macchinazioni di un avversario pieno di odio mi costringono a impugnare la spada per tutelare l’onore della mia monarchia, per difendere il suo prestigio e la sua posizione politica, per assicurarne la stabilità dopo tanti anni di pace». E se all’immediata vigilia del conflitto il sovrano era sembrato preso da una sorta di abulico fatalismo, come se tutti i suoi 84 anni gli fossero arrivati addosso d’un balzo, ora egli sembrava, se non rinvigorito, per lo meno divenuto più lucido e determinato, quasi più sereno: era come se ormai solo la guerra lo interessasse; era come se la sua stessa tarda età lo facesse sentire già fuori dalla vita e che, senza passato e senza futuro, solo il giudizio immediato delle armi avesse conservato per lui un qualche valore. 
Intanto, la guerra stava al di là della sua volontà valorizzando l’elemento germanico in un’Austria che si andava sempre più appoggiando alla fraterna potenza vicina; e se gli ungheresi restavano fedeli, gli slavi davano segni di volersene andare. [...]
lo storico Franco Cardini

Nessun commento:

Posta un commento