RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 10 novembre 2017

APPELLO AL PROCURATORE CAPO MASTELLONI A INDAGARE SUI RESPONSABILI DEL COMPORTAMENTO DELLE DOGANE CHE HA COMPROMESSO LA FUNZIONALITA' DEI PUNTI FRANCHI E GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI NEL PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE (Seleco, Pezzoli ecc.) - E' in atto una svolta con l' utilizzo produttivo e industriale dei Punti Franchi ed è necessario garantire ai futuri investitori che non vi saranno più abusi volti a depotenziare le caratteristiche del Porto Franco -


APPELLO AL PROCURATORE CAPO CARLO MASTELLONI

Egregio Procuratore Capo Mastelloni,
Lei è conosciuto e stimato per indagini coraggiose come quella sui Servizi, nota come "Argo 16", e per non guardare in faccia nessuno.

Portiamo alla Sua attenzione recenti notizie di stampa che, riprendendo dichiarazioni di Michele Zanetti per 13 anni Direttore dell’ Ente Porto di Trieste, definiscono il comportamento delle Dogane “vessatorio, tradendo così quello che era lo spirito dei Punti franchi”  con comportamenti dei funzionari spesso “invasivi, perchè piombavano anche negli hangar e nei magazzini, quindi fuori dal loro perimetro di azione: comportamenti che non erano accettabili”.  E' una fotografia della situazione paradossale di un Porto Franco extradoganale per diritto internazionale in cui però le Dogane italiane pretendono di dettar legge danneggiando l' intera economia locale (alleghiamo l’ articolo del Piccolo del 19 novembre).

Nello stesso articolo l’ex responsabile del marketing dell’ Ente Porto Danilo Stevanato indica nel comportamento delle Dogane il motivo del mancato insediamento nel Punto Franco di Porto Vecchio di attività come la Seleco e la Pezzoli.
Insediamento che, per quanto riguarda la Seleco, è invece oggi possibile essendo stato chiarito che era vessatorio l’ atteggiamento della Direzione delle Dogane che “riteneva erroneamente che le competenze e le interpretazioni comunitarie (e nazionali) superassero i trattati internazionali” che regolavano il regime di Porto Franco Internazionale.

Le segnaliamo anche l’ intervento dell’ imprenditore Gabriele Querci nel convegno del CLPT del 12 ottobre scorso, alla presenza del Presidente D’Agostino, in relazione alle vicissitudini e ai danni subiti dall’ allora Buton- Stock, che ne hanno portato addirittura alla chiusura, e che fa riferimento anche alla Stock operante in regime di Punto Franco in Porto Vecchio e costretta alla chiusura (alleghiamo la videoregistrazione).

Questi comportamenti  delle Dogane, tali perfino da rendere difficili e conflittuali i rapporti con la stessa Autorità Portuale, come apprendiamo dall' articolo citato, hanno arrecato un grave e ingiusto danno non solo alle imprese e al Porto Franco Internazionale di Trieste, limitandone pesantemente l' operatività e le potenzialità e allontanando operatori ed investitori, ma alla città tutta compromettendone una fondamentale possibilità di sviluppo economico e di creazione di posti di lavoro di cui aveva ed ha estremo bisogno.

Non solo, ma hanno anche concorso in modo determinante all’abbandono e al degrado di una vasta area come quella del Punto Franco di Porto Vecchio in cui già operavano realtà come la Stock e dove altre come la Seleco chiedevano di insediarsi.

Essendo stato appurato senz' ombra di dubbio che i comportamenti delle Dogane segnalati non avevano fondamento giuridico ma anzi erano in violazione del Trattato di Pace del 1947 ed in particolare dell’ Allegato VIII che regola il Porto Franco Internazionale di Trieste, regolarmente recepiti nell’ ordinamento italiano, La preghiamo di voler avviare opportune indagini volte ad appurare le responsabilità di funzionari e Direttori doganali qui operanti, nonchè delle strutture centrali, in merito ai gravi danni di mancato sviluppo arrecati alla città di Trieste e agli abusi di potere messi in atto, pare, in modo continuato e con accanimento.

Non si tratta di sporadici episodi del passato ma di comportamenti continuativi che hanno determinato gravi conseguenze sul presente di tutto il territorio e della popolazione e che possono ripetersi in futuro.
Ed è ingiusto che comportamenti tanto illegittimi quanto gravemente dannosi per la comunità restino totalmente impuniti.

E' in atto un' importante svolta che vede l' Autorità Portuale impegnata a favorire l' utilizzo produttivo e industriale dei Punti Franchi, indispensabile per reagire alla pesantissima deindustrializzazione subita dal nostro territorio, ed è necessario fornire ai futuri investitori la garanzia che non vi saranno più abusi volti a depotenziare le caratteristiche del Porto Franco e che saranno in ogni caso protetti da atteggiamenti arbitrari di Dogane o altri enti.
A questo nuovo clima contribuirebbe, secondo noi, un' indagine giudiziaria sugli abusi pregressi delle Dogane.

Con la fiducia di poter un giorno affermare che “C’è un giudice a Trieste! ”, parafrasando le parole del tenace mugnaio di Posdam che non si arrese ai soprusi. 

Allegati: video e articolo
Il video dell' intervento di  Gabriele Querci

L' articolo del Piccolo del 9/11/17 pag. 24
Quando nel ’77 il no della Dogana impedì il primo sbarco di Sèleco
di Massimo Greco

«Stavolta alla Sèleco è andata liscia. Meglio così, finalmente tempi e mentalità sono cambiati. Ma quarant’anni fa le cose presero una piega differente e l’idea di assemblare televisori con il marchio Brionvega in Punto franco si rivelò inattuabile».
Danilo Stevanato è stato responsabile del marketing dell’Ente porto (Eapt) fino alla fine del decennio Novanta. In precedenza aveva lavorato nello staff di Michele Zanetti, che per oltre tredici anni aveva presieduto l’Eapt.
E Stevanato, che continua a lavorare come consulente, è una delle memorie storiche della portualità triestina, così rammenta quello che avvenne nell’ormai lontano 1977. «Sèleco - dice Stevanato - chiese di insediare in Punto franco, con le relative agevolazioni, una linea di assemblaggio di televisori, che portavano il prestigioso brand Brionvega, marchio di punta nel design “made in Italy”». Il DIBTTJT dell’apparecchio - ricorda ancora - veniva prodotto in Italia, mentre schede, tubo catodico e altri componenti erano importati dall’Estremo Oriente. La Sèleco era sorta nel 1965 a Vallenoncello, sobborgo di Pordenone, come una delle iniziative industriali lanciate da Lino Zanussi: negli anni ’70 aveva acquisito Brionvega, che, poco dopo il mancato sbarco puntofranchista, sarebbe stata ceduta al gruppo Formenti. Torniamo allora a Stevanato per il mesto epilogo della proposta giunta dalla Destra Tagliamento: «Fu l’amministrazione doganale - ricostruisce l’ex funzionario dell’Eapt - a stoppare l’operazione, poichè ritenne che quel tipo di assemblaggio fosse insufficiente per fregiarsi del “made in Italy” e per questo non potesse adire ai vantaggi del Punto franco».
E così l’antenato dell’attuale, accettato assemblaggio televisivo della rinata Sèleco al Magazzino 5 in Porto vecchio s’impantanò sulle rive del Noncello e non raggiunse mai le sponde adriatiche.
Non fu l’unico naufragio puntofranchista: «Lo stesso altolà doganale, per ragioni analoghe, colpì un progetto del gruppo tessile bergamasco Pezzoli, che poi realizzò lo stabilimento di Rabuiese». Giuslavorista, presidente democristiano della Provincia di Trieste, poi presidente dell’Eapt, Michele Zanetti ricorda bene quella stagione a base di “niet” doganali, che finivano con lo snervare i contenuti puntofranchisti. «Era difficile confrontarsi con una struttura doganale, che riteneva erroneamente come le competenze e le interpretazioni comunitarie superassero i trattati internazionali, che avevano chiuso la Prima e la Seconda guerra mondiale». «Intese - riprende Zanetti - che riconoscevano le caratteristiche e i vantaggi del Punto franco triestino. Ma Bruxelles non concedeva spazio alle situazioni particolari come la nostra». Zanetti era assertore di un utilizzo del Punto franco che non limitasse la sua operatività al godimento di determinate prerogative nell’importazione, ma che riuscisse a estendere i vantaggi anche alle produzioni industriali e alle attività finanziarie, «come l’offshore previsto dalla Legge 19/1991 sulle Aree di confine aveva previsto». Quel progetto di offshore sul quale molto s’impegnò un manager assicurativo del calibro di Alfonso Desiata.
Ma nei decenni ’70 e ’80 l’atteggiamento delle Dogane, nel chiaro ricordo di Zanetti, tendeva a essere «vessatorio, tradendo così quello che era lo spirito dei Punti franchi». Gli interventi dei funzionari erano spesso «invasivi, perchè piombavano anche negli hangar e nei magazzini, quindi fuori dal loro perimetro di azione, comportamenti che non erano accettabili».
Nonostante i casi negativi di Sèleco e Pezzoli, qualche impresa riuscì a insediarsi nell’area puntofranchista, godendone i privilegi: «Le scarpe Lucky Shoe, le camicie con il marchio Trieste Textil, le calze Bloch, gli accendini Ronson», elenca Zanetti. «Mentre l’amministrazione doganale tendeva a comprimere le attribuzioni del punto franco e nella stessa Trieste c’era chi non credeva più tanto ai vantaggi derivanti dal regime - conclude l’ex presidente - c’erano altre importanti realtà nazionali che ai punti franchi guardavano invece con interesse. Lo dimostrava il lavoro che Victor Uckmar condusse per Genova». 






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