RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

lunedì 19 giugno 2017

IMPARARE DALLA FUGA DEI CINESI DA TARANTO: BUROCRAZIA E FISCO ITALIANI PERICOLO MORTALE PER TRIESTE TERMINAL DELLA VIA DELLA SETA - NECESSARIA AUTONOMIA AMMINISTRATIVA E FISCALE E ZONA FRANCA -


La catstrofe del Porto di Taranto abbandonato dai cinesi anche della taiwanese Evergreen a favore del Pireo (Atene), con la perdita di 540 posti di lavoro, deve essere di monito a Trieste che si candida a terminale della Nuova Via della Seta marittima.

In un' intervista a Panorama l' ex Direttore Generale della liquidata TCT - Taranto Container Terminal, società gemella della TMT anch' essa con la partecipazione di Maneschi, dichiara: "s
icuramente la storia del porto di Taranto è emblematica per come, in Italia, l’inaffidabilità delle istituzioni possa tenere lontano gli investitori stranieri o, come è successo nel nostro caso, farli fuggire".

E conclude: "occorre fare in fretta, spazzando via ogni lacciuolo burocratico".

Tanto più, aggiungiamo noi, che a Trieste si intendono usare i vantaggi dei Punti Franchi per favorire insediamenti industriali sul territorio oltrechè  per i traffici logistici e retroportuali.

La burocrazia italiana è micidiale per ogni attività che si voglia installare sul suo territorio, sia esso solo "amministrato" o in "piena sovranità  statale", tanto più se accompagnata da un fisco rapace e sproporzionato perchè volto a ripianare un gigantesco debito pubblico nazionale.

Questo è da solo un motivo più che sufficiente per richiedere ampia autononomia amministrativa e fiscale e Zona Economica Speciale per una fiscalità di vantaggio e drastica limitazione degli intoppi burocratici che consenta al nostro Porto e al Territorio di rispondere alle esigenze dei mercati internazionali che non possono adeguarsi alle follie burocratiche italiane, all' ignavia di una classe politica da Terzo Mondo e alla consolidata inefficienza delle istituzioni italiane.

Proponiamo qui l' articolo di Panorama che deve essere uno spunto di approfondita riflessione se non vogliamo perdere l' ultimo treno che la storia ci mette a disposizione: quella della Nuova Via della Seta.



COSI' I CINESI SONO FUGGITI DA TARANTO

di Mimmo Mazza - Panorama 15/6/17

Gli operatori dell’Estremo oriente avevano puntato sul porto già 20 anni fa, ma l’immobilismo delle istituzioni li ha fatti scappare. La città ha sprecato la sua grande occasione e 540 persone hanno perso il lavoro. Difficilmente, dice un manager testimone di quel flop, qualcuno ci riproverà


 Mentre gli imprenditori dell’Estremo Oriente fanno shopping in Italia, passando con disinvoltura dal calcio all’acciaio, il porto di Taranto, che quasi 20 anni fa fu scelto dal gruppo Evergreen, compagnia marittima di Taiwan leader nel settore della movimentazione e nel trasporto dei container, quale punto di approdo delle navi oceaniche, langue e i 540 portuali rimasti senza lavoro sperano di avere un futuro con l’agenzia di riqualificazione varata recentemente dal governo. Oggi le lunghe banchine vengono spazzate via dal vento mentre le enormi gru, passate dalla Taranto container terminal  (Tct, costituita in partnership dalla Hutchison Whampoa di Hong Kong, Evergreen e gruppo Maneschi di Trieste) all’Autorità portuale per 18 milioni di euro in sede di conclusione dei rapporti di concessione, sono ferme e inutilizzate. «Siamo stati tra i pioneri in Italia, ma evidentemente eravamo troppo avanti» mastica amaro Giancarlo Russo, ex direttore generale della Taranto container terminal e attuale vicepresidente di Assologistica. «Non voglio alimentare polemiche, che non servono a nulla, ma sicuramente la storia del porto di Taranto è emblematica per come, in Italia, l’inaffidabilità delle istituzioni possa tenere lontano gli investitori stranieri o, come è successo nel nostro caso, farli fuggire». 
Partiamo dall’inizio. Vent’anni fa Evergreen puntò su Taranto come alternativa a Gioia Tauro, visto che era meglio collegata con autostrade e ferrovia. Nel 2012 Taranto container terminal firmò un accordo con governo, Autorità portuale e istituzioni locali. Poi, vista la lentezza italiana, gli stranieri sono fuggiti. 
Il gigantismo marittimo che contraddistingue le principali compagnie di transhipment imponeva infrastrutturazioni adeguate al porto di Taranto, e peraltro Tct già nell’atto di concessione del 1998 sottolineò la necessità di poter contare su fondali adeguati. Nel 2012, così, firmammo un accordo con il governo per lo sviluppo dei traffici che prevedeva la realizzazione di quattro opere.
Quali?
L’adeguamento della banchina con fondali a -16,50 metri (unica opera al momento completata); il dragaggio, tramite la realizzazione di una vasca di colmata, per poter finalmente ampliare il quinto sporgente (opera non ancora partita); poi i taiwanesi avevano a cuore, per evitare i costi di permanenza oltre il dovuto delle navi in porto, l’adeguamento della diga foranea, intervento indispensabile per scongiurare i fenomeni di risacca in particolari condizioni metereologiche (opera ancora da realizzare); quindi i lavori in radice al molo polisettoriale per riqualificare l’area che era stata utilizzata per la movimentazione delle merci rinfuse (opera ancora da cantierizzare). Le nostre navi sono diventate sempre più grandi, queste opere erano indispensabili.

E invece a cinque anni di distanza, la situazione sembra quasi immutata.
Purtroppo siamo stati costretti a dire addio al porto di Taranto, liquidando la società concessionaria, perché ormai non avevamo più navi in grado di entrare in porto. Evergreen utilizza portacontainer da 14 mila teu, che richiedono un pescaggio di 16 metri, quindi anche l’annunciato 16,50 metri è insufficiente. È tutto scritto nell’accordo del 2012, quando ribadimmo che puntavamo a far arrivare a Taranto le navi dall’Estremo oriente, utilizzando lo scalo quale hub dal quale poi far partire navi feeder ( più piccole, ndr) verso altri porti del Mediterraneo. Un sogno irrealizzato: la mancata realizzazione delle opere ha compromesso tutto. Ma non è colpa dei taiwanesi.
Invece qualche osservatore ha visto nel rafforzamento del porto del Pireo e la sua alleanza con Cosco ( la cinese China ocean shipping company) la vera ragione della scelta drastica compiuta da Evergreen.
Il mondo va avanti. Il traffico è andato verso il porto del Pireo ed Evergreen è entrata nel consorzio con Cosco. Ma non facciamo confusione. Il porto di Taranto non è pronto, questo dato spesso sfugge a chi vuole avventurarsi in analisi. Taranto sembra rimasta indietro. Vicino al terminal container potevano nascere tante cose, come il fantomatico Distripark, oppure Agromed. Si poteva fare un po’ di logistica integrata. Ora è stato pubblicato un bando internazionale per cercare un nuovo terminalista, ma il porto di Taranto ha un difetto di affidabilità agli occhi al mondo dello shipping. L’armatore che intende sposare un porto deve avere garanzie. Taranto ha una buona posizione, è collegato alla rete ferroviaria, ma non basta.
Che cosa manca?
Servono infrastrutture, servizi e produttività. Adesso che sono stati completati i primi 1.200 metri di banchina, va cercato un vettore per utilizzarli. Poi ci stanno altri 850 metri di banchina sui quali si può fare logistica integrata, generare numeri importanti. Ma occorre fare in fretta, spazzando via ogni lacciuolo burocratico.

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