RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

lunedì 12 settembre 2016

TRIESTE HA BISOGNO DELLA "NO TAX AREA" IN PORTO VECCHIO ! SI STANNO RIMANGIANDO TUTTO !? FINIRA' CON LA "NO TAX AREA" A MILANO GRAZIE ALL' ATTIVISMO DEL SINDACO SALA, E CON I MUSEI A TRIESTE CON LA COMPLICITA' DEI POLITICI LOCALI ! TRIESTE HA BISOGNO DI POSTI DI LAVORO NON DI FANTASIE !


Solo due mesi fa Il Piccolo sparava in prima pagina un articolo di fondo intitolato "TUTTI UNITI CON UN UNICO OBIETTIVO: LA FREE ZONE IN PORTO VECCHIO" sulla base della lettera della Serracchiani a Renzi che richiedeva l' istituzione di una NO TAX AREA da aggiungere ai vantaggi doganali del nostro Porto Franco Internazionale, con ciò recependo uno dei temi centrali dell' indipendentismo triestino.
Oggi invece riprende la solfa dell' urbanizzazione, dell' utilizzo turistico e dello " spazio così incantevole in cima all’Adriatico".

COS' E' CAMBIATO IN DUE MESI VISTO CHE NESSUNO PARLA PIU' DI NO TAX AREA IN PORTO VECCHIO MA FIORISCONO IPOTESI SEMPRE PIU' BALZANE ISPIRATE AD UN FANTATURISMO IRREALIZZABILE?
PARLANO SOLO DI ACCORPAMENTO DI MUSEI E PARCHI...

Il sindaco di Milano è attivissimo per ottenere la "No Tax Area" all' ex - Expò: cosa fa il sindaco di Trieste?
Si adegua al fantaturismo del PD per fare un "maximuseo" e si accorda col sindaco di Venezia Brugnaro?


Ecco una parte dell' articolo del 10 luglio:
"Vi sono infatti cinque ragioni fondamentali per sostenere una free zone a Trieste: la sua collocazione geografica al centro della “macroregione alpina” che comprende sette Paesi europei; l’essere una zona riconosciuta di crisi industriale sistemica al confine di una Zes esistente (Capodistria appunto); il regime del punto franco, finalmente in procinto d’essere regolato, che rappresenta un caso unico in Europa; l’area del Porto vecchio di cui è stato finalmente avviato il recupero, e che potrebbe prestarsi a una parte dei potenziali insediamenti; il precedente della legge sulle aree di confine del 1991, che creava un centro off-shore extravalutario, poi abortito con la nascita della moneta unica, e di cui ora la Zes costituirebbe una versione riveduta e corretta. "

"L’opportunità è tutt’altro che campata in aria. I settori sono ben identificati: le aziende dei servizi con raggio d’azione internazionale, dalla telefonia alle compagnie aeree all’economia digitale (Vodafone, Easyjet, persino le sedi europee di Google e Facebook). Gli spazi sono su un piatto d’argento: il Porto vecchio e le aree di destinazione dei punti franchi. La legittimazione di Trieste, per collocazione geografica e primazia di vocazione, è indiscutibile".

COS' E' CAMBIATO DAL 10 LUGLIO?
CI SIAMO PERSI QUALCOSA?


Il Piccolo scriveva nel sottotitolo: "l momento è propizio: Trieste avrebbe tutte le carte in regola per farcela. Serracchiani ha già scritto al governo, ora serve un colpo d’ala".

PERCHE' ADESSO NON INDAGA E SCRIVE QUALCOSA  SUL FATTO CHE IL "COLPO D' ALA" NON C'E' E INVECE LA POLITICA LOCALE INSISTE SU PORTO VECCHIO CON PROPOSTE ASSURDE AL LIMITE DEL RIDICOLO E CHE CERTAMENTE NON RISPONDONO ALL' ANGOSCIOSO BISOGNO DI POSTI DI LAVORO?

E' TROPPO CHIEDERE UN PO' DI SERIETA' E DI SMETTERLA DI PRENDERE IN GIRO I CITTADINI?
ED ESIGERE RISPOSTE?

Cliccando QUI trovate il nostro articolo di allora
e sotto i testi integrali degli articoli di Morelli sul Piccolo del 10 luglio e del 12 settembre.


Ecco l’ articolo del 10 luglio sul Piccolo:

Tutti uniti con un unico obiettivo: la “free zone” in Porto vecchio
di ROBERTO MORELLI
l momento è propizio: Trieste avrebbe tutte le carte in regola per farcela. Serracchiani ha già scritto al governo, ora serve un colpo d’ala

E se Brexit si rivelasse un’insospettabile opportunità per Trieste? Se fosse proprio il capoluogo giuliano ad avvantaggiarsi dalla fatale fuga da Londra dei gruppi internazionali che non possono permettersi di ritrovarsi sull’uscio d’Europa, con vincoli doganali, fiscali e normativi alla libera circolazione dei servizi? L’opportunità è tutt’altro che campata in aria. I settori sono ben identificati: le aziende dei servizi con raggio d’azione internazionale, dalla telefonia alle compagnie aeree all’economia digitale (Vodafone, Easyjet, persino le sedi europee di Google e Facebook). Gli spazi sono su un piatto d’argento: il Porto vecchio e le aree di destinazione dei punti franchi. La legittimazione di Trieste, per collocazione geografica e primazia di vocazione, è indiscutibile. Lo strumento giuridico ha un nome e una procedura: Zes, cioè Zona Economica Speciale. Se vogliamo perseguire un’autentica svolta per il futuro della città, è un obiettivo da porci fin d’ora e con una coesione senza riserve. La presidente della Regione Debora Serracchiani è stata tempestiva e lungimirante nello scrivere a Matteo Renzi - al quale non ha certo bisogno di scrivere - per promuovere Trieste come area defiscalizzata in grado di attrarre capitali internazionali. È il momento giusto per farlo. E il passo giusto per concretizzarlo è l’istituzione di una Zes, che molti perseguono in Italia ma nessuno ha ancora ottenuto, né in verità proposto nelle forme dovute. Al mondo esistono circa 2.700 free zone. Sono aree fiscalmente esenti o agevolate, normalmente con canoni, costi energetici e di utenze ridotti e importanti sgravi contributivi. Servono ad attrarre investimenti dall’estero. La gran parte di esse è in Cina, ma - contrariamente a quanto si creda - sono consentite anche dalla Ue, che ne ospita 70 in ben 20 Paesi, tra i quali la Francia, la Germania, la Spagna e la stessa Gran Bretagna (nonché la Slovenia a Capodistria e Maribor). Fra le poche a non averne è l’Italia, benché molte aspirazioni si siano levate: Gioia Tauro, Taranto, Napoli, Marghera. Ora è partita come un razzo la proposta più seria di tutte: quella del neo-sindaco di Milano Beppe Sala per costituire una Zes nell’area dell’Expo. A questa dobbiamo agganciarci con altrettanta serietà. Per farlo è necessaria una legge: il governo ha già fatto sapere che è allo studio, ventilando - oltre a Milano - l’area dismessa di Bagnoli. La norma statale dovrà disciplinare le regole generali e le attività ammesse, demandando poi alla Regione l’attuazione con la scelta delle aree interessate. Per la gestione, è previsto che la stessa Regione costituisca una società pubblica con possibile partecipazione dei privati. L’autorizzazione della Ue, che vieta la “concorrenza sleale” fiscale, non è scontata: viene concessa per aree periferiche o svantaggiate, o per situazioni specifiche in potenziali zone strategiche. Che è proprio la nostra condizione. Vi sono infatti cinque ragioni fondamentali per sostenere una free zone a Trieste: la sua collocazione geografica al centro della “macroregione alpina” che comprende sette Paesi europei; l’essere una zona riconosciuta di crisi industriale sistemica al confine di una Zes esistente (Capodistria appunto); il regime del punto franco, finalmente in procinto d’essere regolato, che rappresenta un caso unico in Europa; l’area del Porto vecchio di cui è stato finalmente avviato il recupero, e che potrebbe prestarsi a una parte dei potenziali insediamenti; il precedente della legge sulle aree di confine del 1991, che creava un centro off-shore extravalutario, poi abortito con la nascita della moneta unica, e di cui ora la Zes costituirebbe una versione riveduta e corretta. Sotto il profilo politico, non siamo mai stati così ben rappresentati su tutti i fronti: la presidente della Regione Serracchiani è il numero due del partito di governo; Ettore Rosato è il capogruppo alla Camera dello stesso Pd, come Massimiliano Fedriga lo è della Lega; il rieletto sindaco Dipiazza è diventato un’icona della riunificazione del centrodestra. La free zone sarebbe gradita persino agli indipendentisti e ai 229 protagonisti dello sciopero fiscale. Roba da non credere. Gli appelli alla coesione per un obiettivo comune suonano sempre ridicoli e naif nel nostro panorama politico. Ma mai come ora c’è bisogno di un colpo d’ala della classe dirigente triestina e regionale, se per una volta vuol dirsi tale.

Ecco invece l’ articolo di oggi, 12 settembre, sul Piccolo:

Porto vecchio e il rischio spezzatino Il masterplan c’è, ora tiratelofuori
di ROBERTO MORELLI

Prima viene l’idea, poi il progetto, quindi le realizzazioni concrete. Se si procede al contrario, qualsiasi piano di recupero urbano rischia di generare un obbrobrio, o nella migliore delle ipotesi un’accozzaglia d’insediamenti senza filo conduttore. È quel che rischia di accadere al Porto vecchio di Trieste: un museo qui, un ente lì, magari domani un ente diverso se per quello previsto ieri non ci sono i finanziamenti, qualche ufficio laggiù, un cantiere navale visto che qualcuno l’ha chiesto. Il disegno d’assieme? Ignoto. La logica non è di ridisegnare un' area, bensì d'impiegare i finanziamenti di volta in volta disponibili (oggi 50 milioni, una goccia nell’oceano) così come si possono impiegare. Il risultato sarebbe un’arlecchinata priva di fascino, d’interesse, di capacità d’attrazione. Se vogliamo un buon esempio, c’è: l’ex Opp, diventato non si sa cosa (cos’è, chi ci va, se non chi ci lavora?) a forza di assegnazioni, progetti, scelte estemporanee prese di volta in volta sulla base dell’evenienza ma senza il coraggio di una visione d’insieme. Sarebbe diventato un magnifico campus universitario, è uno splendido luogo senza identità. Intendiamoci: non è un punto politico, né di bontà delle singole scelte. La giunta Cosolini aveva saggiamente nominato un advisor (Ernst&Young), ovvero un coordinatore generale del progetto, affidandogli tuttavia un mandato astruso e indefinito, e ipotizzando diversi insediamenti prima ancora che il masterplan venisse presentato. La giunta Dipiazza ha messo a bagnomaria l’advisor (che ha consegnato il suo lavoro, rimasto sconosciuto) e propone ora insediamenti diversi: un mercato del pesce, un Museo della città, probabilmente l’Immaginario scientifico dove prima si pensava all’Icgeb. Il disegno complessivo non c’era prima e non c’è ora, o quantomeno nessuno lo capisce. Non c’è nulla di male a pensare al Magazzino 26 come a un polo museale. È anzi un’ottima idea, poiché potrà raggruppare in un Museo della città (come anche Cosolini aveva in mente per Palazzo Carciotti) la miriade di sedi cittadine che staccano quando va bene quattro biglietti a giornata, disseminate da San Giusto alla zona ippodromo. Non c’è nulla di sbagliato, ed è anzi indispensabile, far conoscere il dossier a potenziali investitori internazionali e coinvolgere le città vicine come Lubiana e Venezia, ciò che sta facendo Dipiazza. Ma cosa mai ci metteremo vicino al museo e cosa scriveremo nel dossier, visto che non abbiamo ancora deciso che farne, di questi 60 ettari di pregio nel cuore della città? Anche le ottime idee possono diventare pessime, se scollegate fra loro e incapaci di restituire un’idea coesa a cittadini, turisti, imprenditori. Continuiamo a muoverci secondo la logica imperitura e distorta della mano pubblica: usare a spizzichi i finanziamenti che arrivano per fare qualcosa pur che sia, ma senza aver deciso cosa vogliamo diventi. Ovvero, mettere il carro davanti ai buoi. Uno spazio così incantevole in cima all’Adriatico si presta mirabilmente a esprimere, raccontare e modernizzare il rapporto tra la città e il mare,(e la No Tax Area? ndr) e ancor più la cultura dello scambio - il movimento di merci, persone e, oggi, conoscenza - che il mare rappresenta. Se è questa un’idea di fondo condivisibile, a essa va improntato il progetto generale, dandogli un disegno architettonico, di spazi e d’insediamenti coerente, dall’uso dei vecchi magazzini fino al marketing e finanche alla segnaletica interna. L’ultima cosa da fare è giocare a casaccio spazi, rattoppi ed esigenze momentanee, sistemando le iniziative così come capitano. Vogliamo guardare alla parte mezza piena del bicchiere. Sul recupero del Porto vecchio non si torna più indietro, ed è un merito condiviso tra Cosolini e Dipiazza (che già nel primo mandato trascinò il centrodestra da iniziali posizioni opposte) e reso possibile dal famoso blitz parlamentare di Francesco Russo. Ci sarà un altro tabù da sconfiggere, e sarà l’apertura all’edilizia residenziale, senza la quale nessun progetto imprenditoriale starà mai in piedi, come il sindaco ha osservato. Non gettiamo via il buono ch’è stato fatto. Si sveli ora (se c’è) o si completi un masterplan e si cominci in fretta a lavorare alle infrastrutture - acqua, luce, gas. Quando le idee sono chiare e il progetto è steso, tutto procede più veloce. E gli investitori arrivano, e una nuova Trieste può prendere forma.



TUTTE CIACOLE ?


Ecco la nostra slide che gira da DUE ANNI:





Nessun commento:

Posta un commento