RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

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domenica 4 dicembre 2016

PUNTI FRANCHI E IDEE CONFUSE: GLI ARTICOLI DI "SCENARI STRATEGICI" DEL PICCOLO

Gli articoli del Piccolo dedicati agli scenari economici per Trieste sono indicativi degli orientamenti degli ambienti che li ispirano, e perciò degni di nota.

Oggi è stato pubblicato un articolo del solito Morelli sui Punti Franchi che da oggetto di dileggio sono assurti finalmente ad argomento di dibattito.
L' articolo denota uno stato notevole di confusione mentale nel Piccolo che esprime, tramite lo stesso autore, DUE TESI OPPOSTE a 4 mesi di distanza l' una dall' altra e che così schematizziamo :

TESI 1)
NESSUN PUNTO FRANCO IN PORTO VECCHIO MA URBANIZZAZIONE DEL "DELIZIOSO AFFACCIO"... oggi 4/12/16 ( articolo sottoriportato)


TESI 2)
PUNTO FRANCO CON "NO TAX AREA IN PORTO VECCHIO" articolo del 10/7/16 sottoriportato.

Oggi Il Piccolo / Morelli riprende la tesi della separazione netta fra area da urbanizzare (Porto Vecchio) e aree periferiche e industriali in cui sfruttare i riscoperti, grazie al movimento indipendentista e ai lavoratori portuali, vantaggi  dei Punti Franchi.

Dimentica però che attualmente il Punto Franco c'è ancora in Porto Vecchio: sia
all' Adriatermial, per operazioni portuali e di stoccaggio merci ed apparecchiature, sia in tutta la fascia costiera: pronto per essere riesteso a tutta l' area come ha dichiarato il Presidente D'Agostino proprio sul Piccolo (clicca QUI).

Dal momento che è estremamente improbabile trovare investitori privati per un operazione di urbanizzazione tutta campata in aria e con costi proibitivi, è facile che alla fine dovrà realizzarsi un riutilizzo produttivo malgrado la penosissima Classe Politica e Dirigente Locale, magari cominciando da un Centro Finanziario Off-Shore come quello previsto dalla legge 19/91 
e sabotato anche da forze locali oltre che dalla UE, oppure con altre iniziative come da slide in fondo.

Gli "urbanizzatori" non hanno nè un progetto serio e credibile e nemmeno finaziatori: solo sogni e ciacole a due anni dalla mitica "sdemanializzazione".


Visto che non c'è la volontà politica saranno i fatti a portare verso un riutilizzo PRODUTTIVO di Porto Vecchio: il problema è che con le masturbazioni mentali e gli annunci (come quello penoso sul Mercato del Pesce) che proseguono da due anni sulla "sdemanializzazione" si sta perdendo inutilmente tempo.
Anzi paralizzando tutto ancor di più come la vicenda della mancata infrastrutturazione primaria dell' area di Greensisam dimostra: ed è la parte più pregiata dell' area che è bloccata "sine die" da contenziosi legali.


Viceversa lo stesso Morelli sul Piccolo del 10 luglio aveva dato segnali di rinsavimento parlando di Free Zone in Porto Vecchio dove gli investimenti sarebbero arrivati in cambio di fiscalità di vantaggio e di regime di extraterritorialità doganale.


Ma probabilmente è stato solo uno sprazzo di lucidità all' interno del marasma mentale indotto dal "pensiero unico" degli ambienti cui il giornale fa riferimento.


Si metta / mettano il cuore in pace: un' urbanizzazione a sfondo turistico di Porto Vecchio è non solo dannosa, ma impossibile economicamente.


Si smetta di perdere tempo e di lasciare al degrado quell' area e si punti decisamente verso un utilizzo produttivo con fiscalità di vantaggio.


L' unico ente in grado di percorrere questa strada pare essere l' Autorità Portuale (ovvero il Direttore del Porto Franco Internazionale di Trieste secondo l' Allegato VIII): gli altri girano con l' aquilone e si fanno spillare quattrini dagli "advisor" per studi che sono solo minestra riscaldata.


Art.1 detto del "delizioso affaccio"
SBLOCCO DEI PUNTI FRANCHI: TRIESTE VICINA ALLA SVOLTA
di ROBERTO MORELLI  4/12/16 il Piccolo
Sembra incredibile, ma dopo 70 anni di attesa i punti franchi della città stanno per avere il regolamento che consentirà loro di funzionare: il testo è pronto ed è stato spedito dal governo all’Autorità portuale. Almeno tre generazioni politiche li hanno discussi, mitizzati o demonizzati. Ne hanno fatto il primo campo di battaglia, nonché un’icona - mal riposta - del conflitto tra il mantenimento del vecchio scalo a funzioni portuali e il suo recupero alla città. Eppure tutto questo non poteva realmente verificarsi: i punti franchi sono rimasti privi di disciplina (se non quella, generale e insufficiente, del Trattato di Pace (il cui Allegato VIII non è stato applicato ndr)), e sono stati attuati solo parzialmente e con una congerie di lacci e tortuosità burocratiche che li hanno depotenziati se non vanificati ( ed è per questo che non hanno prodotto insediamenti, non per la loro inefficacia come dicevano i Soloni locali, amplificati dal Piccolo per anni ndr). Ci provò più di vent’anni fa il ministro Burlando a emanare un regolamento, poi insabbiato per ragioni mai del tutto chiarite. Ora ci sta riuscendo il ministro Del Rio, con il supporto della Regione e la spinta del nuovo presidente portuale Zeno D’Agostino, che ha compreso il punto chiave: il recupero del Porto vecchio e la valorizzazione dei punti franchi non sono in contrapposizione, ma possono e devono realizzarsi entrambi, ovviamente in aree diverse. Un paio d’anni fa proponemmo con Il Piccolo un accordo istituzionale tra i partiti trasversali della difesa portuale e rispettivamente del recupero urbano del vecchio scalo. Auspicammo che il primo accettasse che l’area non era più porto, né avrebbe mai più potuto esserlo, e che il secondo comprendesse l’utilità di uno spazio extraterritoriale con benefici doganali, trasferendolo altrove e favorendone il funzionamento. L’accordo non ci fu, ma per fortuna le cose sono andate ugualmente così: prima con il famoso “blitz” notturno in Finanziaria del senatore Francesco Russo che sdemanializzò l’area; poi con la felice indicazione da parte del sindaco Roberto Cosolini di un manager portuale come D’Agostino; infine con la conferma e il mantenimento della svolta da parte del sindaco Roberto Dipiazza, che tale svolta aveva già favorito 5 anni prima rompendo il fronte del centrodestra. Caso raro ma meritorio di continuità fra amministrazioni di colore diverso. Oggi questo percorso viene a compimento. I punti franchi non sono più dove erano diventati inservibili (in Porto vecchio)(Invece ci sono ancora all' Adriaterminal e sulla fascia costiera ndr) , bensì dove possono funzionare: all’Interporto di Fernetti, alla stazione di Prosecco (dove c'era già ndr)e in zona industriale ( dove c' era già col nome Porto Franco Industriale), in prossimità dei terminali e dove le merci potranno essere anche lavorate e non solo commerciate ( come avveniva in passato ad esempio con la Lucky Shoe ndr). Beneficio, quest’ultimo, che dal lontano 1947 ( veramente è stato trascurato dal 1954. ndr,)non ha neppure cominciato a generare le ricadute possibili, per l’assenza sia del regolamento ora imminente, sia di un marketing del territorio oggi indispensabile. Con la nuova disciplina D’Agostino sarà a tutti gli effetti il dominus della situazione: dirigerà e gestirà le aree, “venderà” e autorizzerà le attività commerciali e industriali, costruirà e smantellerà edifici, disciplinerà i trasporti, darà assistenza agli investitori. E soprattutto andrà a cercarseli, ciò che con dinamismo contagioso ha già cominciato a fare, senza attendere il placet delle carte bollate (Molto bravo ed è per questo che è l' unico degno di rispetto. ndr). Da domani sarà il “sindaco” delle zone franche. Non ci attendiamo che il regolamento sia una panacea, anche perché istituti simili (l’importazione temporanea) esistono già. Bastasse un decreto a generare sviluppo economico, l’Italia sarebbe il Paese più avanzato al mondo, e Trieste con essa. Tuttavia il funzionamento dei punti franchi, che hanno vantaggi doganali e valutari altrove inesistenti, potrà essere un tassello fondamentale di un puzzle composito: quello di una città nel cuore dell’Europa e in capo al Mediterraneo che offre la possibilità di commerciare e produrre merci “estero per estero”; che si apre al recupero urbano di 60 ettari in quel che era un porto e sarà un delizioso affaccio sull’Adriatico; che propone un Parco scientifico e un ateneo di ottimo livello al servizio di un’area industriale che si reinventa. Quando i grandi investitori esteri - soprattutto asiatici - cercano spazi, cercano questo: aree, vantaggi, competenze. Noi li abbiamo, e ora da noi dipende il cominciare a farli fruttare. 

Art. 2 detto detto della "no tax area come specchietto per le allodole" clicca QUI 
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Tutti uniti con un unico obiettivo: la “free zone” in Porto vecchio
di ROBERTO MORELLI il Piccolo 10/7/16
l momento è propizio: Trieste avrebbe tutte le carte in regola per farcela. Serracchiani ha già scritto al governo, ora serve un colpo d’ala

E se Brexit si rivelasse un’insospettabile opportunità per Trieste? Se fosse proprio il capoluogo giuliano ad avvantaggiarsi dalla fatale fuga da Londra dei gruppi internazionali che non possono permettersi di ritrovarsi sull’uscio d’Europa, con vincoli doganali, fiscali e normativi alla libera circolazione dei servizi? L’opportunità è tutt’altro che campata in aria. I settori sono ben identificati: le aziende dei servizi con raggio d’azione internazionale, dalla telefonia alle compagnie aeree all’economia digitale (Vodafone, Easyjet, persino le sedi europee di Google e Facebook). Gli spazi sono su un piatto d’argento: il Porto vecchio e le aree di destinazione dei punti franchi. La legittimazione di Trieste, per collocazione geografica e primazia di vocazione, è indiscutibile. Lo strumento giuridico ha un nome e una procedura: Zes, cioè Zona Economica Speciale. Se vogliamo perseguire un’autentica svolta per il futuro della città, è un obiettivo da porci fin d’ora e con una coesione senza riserve. La presidente della Regione Debora Serracchiani è stata tempestiva e lungimirante nello scrivere a Matteo Renzi - al quale non ha certo bisogno di scrivere - per promuovere Trieste come area defiscalizzata in grado di attrarre capitali internazionali. È il momento giusto per farlo. E il passo giusto per concretizzarlo è l’istituzione di una Zes, che molti perseguono in Italia ma nessuno ha ancora ottenuto, né in verità proposto nelle forme dovute. Al mondo esistono circa 2.700 free zone. Sono aree fiscalmente esenti o agevolate, normalmente con canoni, costi energetici e di utenze ridotti e importanti sgravi contributivi. Servono ad attrarre investimenti dall’estero. La gran parte di esse è in Cina, ma - contrariamente a quanto si creda - sono consentite anche dalla Ue, che ne ospita 70 in ben 20 Paesi, tra i quali la Francia, la Germania, la Spagna e la stessa Gran Bretagna (nonché la Slovenia a Capodistria e Maribor). Fra le poche a non averne è l’Italia, benché molte aspirazioni si siano levate: Gioia Tauro, Taranto, Napoli, Marghera. Ora è partita come un razzo la proposta più seria di tutte: quella del neo-sindaco di Milano Beppe Sala per costituire una Zes nell’area dell’Expo. A questa dobbiamo agganciarci con altrettanta serietà. Per farlo è necessaria una legge: il governo ha già fatto sapere che è allo studio, ventilando - oltre a Milano - l’area dismessa di Bagnoli. La norma statale dovrà disciplinare le regole generali e le attività ammesse, demandando poi alla Regione l’attuazione con la scelta delle aree interessate. Per la gestione, è previsto che la stessa Regione costituisca una società pubblica con possibile partecipazione dei privati. L’autorizzazione della Ue, che vieta la “concorrenza sleale” fiscale, non è scontata: viene concessa per aree periferiche o svantaggiate, o per situazioni specifiche in potenziali zone strategiche. Che è proprio la nostra condizione. Vi sono infatti cinque ragioni fondamentali per sostenere una free zone a Trieste: la sua collocazione geografica al centro della “macroregione alpina” che comprende sette Paesi europei; l’essere una zona riconosciuta di crisi industriale sistemica al confine di una Zes esistente (Capodistria appunto); il regime del punto franco, finalmente in procinto d’essere regolato, che rappresenta un caso unico in Europa; l’area del Porto vecchio di cui è stato finalmente avviato il recupero, e che potrebbe prestarsi a una parte dei potenziali insediamenti; il precedente della legge sulle aree di confine del 1991, che creava un centro off-shore extravalutario, poi abortito con la nascita della moneta unica, e di cui ora la Zes costituirebbe una versione riveduta e corretta. Sotto il profilo politico, non siamo mai stati così ben rappresentati su tutti i fronti: la presidente della Regione Serracchiani è il numero due del partito di governo; Ettore Rosato è il capogruppo alla Camera dello stesso Pd, come Massimiliano Fedriga lo è della Lega; il rieletto sindaco Dipiazza è diventato un’icona della riunificazione del centrodestra. La free zone sarebbe gradita persino agli indipendentisti e ai 229 protagonisti dello sciopero fiscale. Roba da non credere. Gli appelli alla coesione per un obiettivo comune suonano sempre ridicoli e naif nel nostro panorama politico. Ma mai come ora c’è bisogno di un colpo d’ala della classe dirigente triestina e regionale, se per una volta vuol dirsi tale.



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