La pressione dei nuovi assetti geopolitici mondiali che favoriscono la rinascita del Porto Franco Internazionale di Trieste (vedi convegno del Limes Club Trieste QUI) stanno cominciando a provocare fratture nel fronte italiano che da decenni si mette di traverso allo sviluppo del nostro porto e al riconoscimento della funzione dei Punti Franchi che l' autorità portuale di Zeno D' Agostino sta valorizzando anche per attività industriali.
Da Singapore, dove lavora, Pino Musolino, il presidente in pectore dell' Autorità Portuale di Venezia, ha lanciato un siluro alle posizioni di Paolo Costa che ha appena firmato un contratto di 4 milioni di soldi pubblici per la progettazione definitiva del famigerato Porto Off-Shore.
Lo riporta il supplemento veneto del Corriere della Sera di ieri, che riportiamo sotto, da cui traspare che il Ministro Delrio punterebbe invece sullo sviluppo di Trieste.
Come abbiamo documentato oggi (QUI) circolano articoli di stampa preoccupati per la rinascita mitteleuropea del Porto di Trieste data per inevitabile.
Queste fratture del fronte avverso al Porto Franco Internazionale di Trieste, dovute al particolare momento storico e geopolitico favorevole, vanno ampliate dando sostegno alla parte che punta allo sviluppo del nostro porto.
Infatti solo da una ripresa e dall' indipendenza economica di Trieste può passare l' autonomia politica e amministrativa.
La decadenza e la depressione economica, lungi dal stimolare reazioni, mantengono la prostrazione e allontanano le possibilità di riscatto ed ogni possibilità di ripresa, anche parziale, va assecondata senza preconcetti e senza illusioni eccessive.
Ecco il testo dell' articolo del Corriere di ieri (QUI):
Porto offshore, Musolino frena Costa
Il nuovo presidente: sarebbe stato opportuno non assegnare la progettazione definitiva
«In considerazione del
momento estremamente delicato e delle innumerevoli questioni pendenti, sarebbe
forse stato opportuno aspettare l’insediamento dei nuovi vertici prima di
procedere alla firma di un contratto di tale rilevanza», afferma Pino Musolino
da Singapore. Il futuro presidente del Porto frena così Paolo Costa che venerdì
ha assegnato la progettazione definitiva (per quattro milioni) del terminal
offshore a un gruppo italo-cinese
La premessa è d’obbligo,
anche se ormai, dopo il voto delle commissioni di Camera e Senato, non ci sono
più dubbi sulla sua nomina: «Per il momento preferisco non entrare nel merito
dell’argomento». Ma sul metodo che ha portato Paolo Costa, presidente uscente
dell’Autorità portuale di Venezia, a firmare il contratto con il raggruppamento
di imprese italo-cinese 4C3 per la progettazione del terminal offshore per le
merci, Pino Musolino non nasconde le sue perplessità: «In considerazione del
momento estremamente delicato e delle innumerevoli questioni pendenti, sarebbe
forse stato opportuno aspettare l’insediamento dei nuovi vertici (presidente,
segretario generale e comitato di gestione) prima di procedere alla firma di un
contratto di tale rilevanza», afferma il futuro presidente del Porto da
Singapore. Lì lavora per la Hapag Lloyd (sta chiudendo i contratti) e da lì
osserva con attenzione tutti gli sviluppi recenti, nonostante i 10 mila
chilometri di distanza e le sette ore di fuso orario, che rendono incandescenti
il suo cellulare e la linea Skype – quella che gli è servita per i due colloqui
che hanno convinto il ministro dei Trasporti Graziano Delrio a nominarlo –
soprattutto nelle ore notturne.
Una reazione che sembra
ben lontana dalla battuta di Costa a chi gli poneva proprio questa domanda, e
cioè perché avesse accelerato la firma per farla negli ultimissimi giorni del
suo mandato in prorogatio e nel bel mezzo del Capodanno cinese, che nel paese
del Sol levante è una festa molto sentita: «Gli lascerò sul piatto d’argento
una bella cosa», aveva detto l’uscente. Di più Musolino non dice: non vuole far
sapere se è d’accordo con il progetto dell’offshore, ma è evidente che lui,
laureato in Giurisprudenza e specializzato in diritto marittimo, guarda con
preoccupazione alla firma di un contratto da 4 milioni per un progetto come
l’off-shore che a Roma e dintorni crea tante perplessità.
Dal ministero di Delrio
esce solo una dichiarazione di principio: «La riforma della portualità ha messo
al centro l’ottica del “fare sistema” tra porti e si continua a pensare che la
collaborazione tra Venezia e Trieste e fino a Ravenna è la vera carta da
giocare per uno sviluppo del Nordest». Ma leggendo tra le righe è chiaro che
Delrio conserva i dubbi su quel progetto da 1,4 miliardi di euro che
consentirebbe di far arrivare vicino a Venezia le gigantesche navi da 20 mila
teu (unità di misura dei container), proprio perché si chiede se abbia senso
investire così tanto. Anche perché c’è un porto che non ha la laguna di mezzo,
Trieste, supportato da Debora Serracchiani, potente governatore del
Friuli-Venezia Giulia e responsabile Infrastrutture del Pd. Il messaggio è
chiaro: le valutazioni nazionali (espresse anche con i documenti critici della
struttura tecnica di missione del ministero, del Consiglio superiore dei lavori
pubblici e dello stesso Cipe) divergono da quelle veneziane. «Il governo
contrario all’offshore? Cambieremo governo», ha scherzato Costa, che ha sempre
detto che l’offshore servirà anche a Trieste. Ma anche il parlamentare del Pd
Michele Mognato venerdì ha sottolineato la stranezza di un progetto che va
avanti senza il via libera tecnico del Cipe. Scettici anche i consiglieri
comunali del Gruppo Misto Renzo Scarpa e Ottavio Serena: «Il porto offshore è
sostenuto dall’idea che la laguna e il suo entroterra siano destinati ad uno
sviluppo infinito - attaccano - basta scorrere il progetto per rendersi conto
dei possibili disastri e rischi connessi».
Domani intanto si riunirà
il Tavolo dell’economia marittima e portuale, composto da numerosi operatori,
per dire no all’ipotesi di un terminal crociere a Porto Marghera.
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