RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 22 febbraio 2019

TRIESTE TORNA GRANDE MALGRADO L' ITALIA? - ITALIA FUORI DALL’ “INIZIATIVA DEI TRE MARI” MA L’ UNGHERIA HA DECISO DI PUNTARE SUL PORTO DI TRIESTE – TRIESTE SNODO TRA EUROPA E ORIENTE: SPEZZARE QUESTI LEGAMI VUOL DIRE UCCIDERE LA CITTA’ – PREFERIBILI COMMERCI, SVILUPPO ECONOMICO E LAVORO ALLA DECADENTE SOVRANITA’ ITALIANA -


In un articolo sul Piccolo il sempre interessante Mauro Manzin segnala che dall’ “Iniziativa dei Tre Mari o Trimarium” “Spicca per la sua assenza, vista la rilevanza che ha nel Mare Adriatico, l’Italia e quindi il Porto di Trieste” (vedi  articolo sotto -1-).
Non sarebbe cosa grave se i “Tre Mari” non fossero l’ Adriatico, il Mar Nero e il Baltico  e i paesi non fossero quelli dell’ Europa Centro Orientale con cui il nostro porto con la nostra città ha sempre avuto vitali rapporti economici (Austria, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia, Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia e Lituania oltre a Croazia e Slovenia).
Insomma l’ assenza dell’ Italia da questo contesto sembrerebbe tagliar fuori, ancora una volta, il nostro Porto dal suo entroterra naturale.

Fortunatamente invece è appena giunto l’ annuncio del concretissimo interesse dell’ Ungheria per un nuovo terminal portuale nell’ area Teseco all’ ex Aquila (vedi articolo sotto -2-) che contribuisce a mantenere il nostro porto nel circuito centro europeo malgrado le enormi carenze della politica estera italiana.

Ma lo sviluppo delle connessioni con i mercati centroeuropei che si è avuto negli ultimi anni è dovuto soprattutto alla saggia politica dell’ Autorità Portuale di utilizzare la vasta rete ferroviaria lasciata in eredità dall’ Impero.


Saranno ferrovie vecchie (l’ Italia non ha costruito nulla in 100 anni: ha semmai tagliato collegamenti) ma funzionano ancora bene e sono frutto di capacità di visione strategica geopolitica che supera agevolmente i secoli. Nemmeno da confrontare con il perenne marasma italiano che brilla per assenza di qualsivoglia strategia e programmazione.

Il Porto Franco Internazionale di Trieste ha ora prospettive positive di sviluppo perché portatore di prospettive strategiche ben interpretate da un nuovo gruppo dirigente dell' Autorità Portuale che ne ha sviluppato le connessioni a Oriente e Occidente e questo malgrado la situazione a dir poco caotica del sistema Italia.
Ancora una volta il Porto di Trieste si dimostra al centro di una entità naturalmente dotata di autonomia dal confuso e negativo contesto italiano.
Lo dimostrano le parole dette dal Presidente D' Agostino ad un recente incontro al Circolo della Stampa:
«Mi sembra che da queste parti l'idea di dove si vuole andare sia abbastanza chiara - ha esordito -. Qui si è investito sul porto, sulla ferrovia e su tutta una serie di attività che lo stesso porto triestino sta inglobando... Mi sembra perciò che, al contrario di ciò che succede a Roma e a Bruxelles, noi qui a Trieste possiamo dire di aver messo a fuoco la strada che intendiamo intraprendere. Possiamo interloquire con i grandi della terra  anche se la politica non è d’accordo? Io dico di sì, convinto che se non saranno i cinesi o gli asiatici in generale a investire su Trieste, saranno altri a farlo».
Chi ragiona così non può che avere il sostegno convinto dei triestini.

Il porto Franco Internazionale di Trieste ha come “mission” strategica il collegamento intermodale nave – ferrovia fra l’ Oriente vicino e lontano e l’ Europa centrale e orientale.
Se uno di questi elementi viene a mancare, Europa o Oriente, Trieste è destinata a morire.

Quando dal 1809 al 1813 la temporanea dominazione francese spezzò il legame di Trieste con i paesi danubiani e centro-orientali il porto decadde rapidamente.
Trieste fu nuovamente la "Capitale del Mar Adriatico" con il ritorno dell’ Austria che già la aveva fatta sviluppare con il Porto Franco del 1719 e il trattato di Campoformido del 1797 che decretò la fine del predominio di Venezia sull’ Adriatico -

Nuovamente quando l’ annessione all’ Italia dopo l’ Inutile Strage spezzò i legami con il suo entroterra naturale europeo, Trieste iniziò una veloce caduta che rese necessario l’ intervento nel 1928 (un anno prima della Grande Crisi) di sussidi statali per un’ economia che da fiorente diventò agonizzante.

Lo spiega il prof. Mellinato in un' intervista al Piccolo (che sotto riportiamo per esteso -3-) riguardo l’ entrata in guerra contro l’ Austria nel 1915:
«Questo spiega la scelta politica e militare. L’Italia entra in guerra per conquistare Trieste e avere finalmente la sua piattaforma logistica»…«Un errore tragico. Tanto che nel 1928, quindi prima del crollo di Wall Street e con l’Austria ancora in amministrazione controllata, il governo italiano è costretto a varare delle agevolazioni a tutte le imprese locali”-
E sulle prospettive attuali dice anche:
“«I cinesi fanno comodo per due motivi: intanto hanno una strategia, mentre la città non ce l’ha, e poi portano soldi, che in Europa non ci sono. Bisogna però avere presente a cosa si va incontro. Lo spiega il trilemma dell’economista turco Rodrik. Ci sono tre poli: la sovranità nazionale, il sistema finanziario, la libertà commerciale, e se ne possono scegliere solo due. Con i cinesi prendi i soldi e il commercio, ma rischi di rinunciare a parte della sovranità nazionale».

Diciamo la verità: se dopo un secolo di decadenza arrivano traffici, sviluppo economico e lavoro crediamo che gran parte dei triestini facciano volentieri a meno della sovranità nazionale italiana.
Abbiamo già dato: quello dei timori per la sovranità italiana su Trieste è un problema solo di alcuni nocivi e laidi personaggi che vivono di rendite di posizione e difendono i loro privilegi anacronistici.

Ecco i testi dei 3 articoli citati:

1) la Partita dell’energia - Piccolo 22/2/18


Iniziativa dei Tre mari, Lubiana vuole anche Berlino al summit

Pahor invita l’omologo tedesco alla riunione prevista a giugno per il progetto che punta a veicolare il gas dal Sud al Nord del continente 

È un’iniziativa geopolitica partita un po’ in sordina, con capofila la Croazia (in prima fila la presidente Kolinda Grabar Kitarović) e la Polonia, ma ora la cosiddetta Iniziativa dei Tre mari (Adriatico, Baltico e Mar Nero) sta ottenendo uno spessore diplomatico, politico ed economico di grande interesse.
Gli Stati che vi fanno parte, infatti, sono, oltre a Croazia e Polonia, anche Slovenia, Austria, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia e Lituania.
 Spicca per la sua assenza, vista la rilevanza che ha nel Mare Adriatico, l’Italia e quindi il Porto di Trieste.
 Lo scopo principale di tale iniziativa, oltre a rinsaldare i rapporti politici ed agevolare quelli economici e commerciali, si chiama energia. Più specificatamente veicolare le fonti di approvvigionamento soprattutto di gas dal Sud al Nord dell’Europa.
Il punto di partenza di tutto è il rigassificatore dell’isola di Veglia in Croazia, da cui dovrebbe partire un gasdotto che dovrebbe arrivare fino in Polonia. Alle spalle ci sono forti interessi e pressioni degli Stati Uniti d’America che andrebbero così a contrastare il monopolio russo da Est a Ovest, monopolio che viene confermato anche dalla realizzazione di North Stream con destinazione Germania.
Ed è proprio la Germania che, a questo punto, diventa uno snodo cruciale anche per l’Iniziativa dei Tre mari. Al punto che Borut Pahor, il presidente della Slovenia che a giugno ospiterà il vertice della stessa in missione a Bruxelles, ha invitato ai lavori anche il presidente della Repubblica di Germania e il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker.
E, anche se non tutti 12 Paesi membri dell’Iniziativa si sono dimostrati favorevoli all’invito, Pahor ha lo stesso chiesto al collega tedesco di unirsi ai lavori in Slovenia.
Un ospite “scomodo” in quanto Berlino si sta muovendo nell’ambito di una politica internazionale ostile agli Stati Uniti guidati da Donald Trump e, come detto, a livello energetico, sta scommettendo sull’orso russo piuttosto che a infrastrutture ancora in divenire provenienti dal Sud dell’Europa.
Ma, secondo Pahor e il suo oramai consolidato “modus operandi” a livello internazionale, i problemi non vanno evitati, piuttosto vanno affrontati col dialogo e la diplomazia per cercare nuove strategie e vie d’uscita. A onor del vero lo scorso anno la Germania ha anche espresso la volontà di entrare a far parte dell’iniziativa dei Tre mari, scelta salutata con soddisfazione però unicamente dalla Polonia e vista con diffidenza dagli altri Paesi con in prima linea dagli Stati appartenenti al cosiddetto Gruppo di Višegrad. Stranamente poco sponsorizzato dai Paesi dei Tre mari, tutti membri dell’Ue, il cosiddetto corridoio Adriatico-Baltico per quanto concerne le merci provenienti dalle cosiddette autostrade del mare di cui fa parte il corridoio Adriatico-Ionico. Bisognerebbe, quindi, fare un po’ di ordine e determinare le prerogative. Compito che, inequivocabilmente, spetta a Bruxelles. — M. Man.

2) La trattativa in corso per lo sbarco a Trieste - Piccolo 20/2/19 

 L’Ungheria di Orban punta sull’ex Aquila per un terminal merci
Prima il dialogo con l’Authority, ora con Teseco per subentrare nella concessione
L’ipotesi: polo dedicato a materie prime e rinfuse solide.
Il nodo caratterizzazioni


Dopo trent’anni di destino sospeso, l’area ex Teseco di Aquilinia va incontro a una nuova speranza di rinascita. La bonifica del terreno inquinato e il rilancio in chiave portuale passano da Budapest, con il governo ungherese di Viktor Orban pronto a chiudere un accordo per subentrare alla concessione sessantennale, che l’Autorità portuale di Trieste aveva accordato nel 2014 a Teseco, azienda esperta di risanamenti ambientali. La zona è occupata dalle rovine della raffineria fondata nel 1934 e arrivata a fine vita nel 1987. Sono seguiti anni di incertezza, fino all’affidamento alla società toscana, il cui progetto consisteva nel risanamento del comprensorio, nella costruzione di un terminal traghetti e nella successiva vendita a un operatore marittimo attivo nel traffico ro-ro. L’impresa ha bonificato 600 degli 800 mila metri quadrati previsti, senza concludere però l’intervento nella parte destinata allo scalo, che non ha mai visto la luce e che potrebbe ora nascere grazie alle relazioni fra l’Autorità portuale di Zeno D’Agostino e il governo ungherese, che sta ora trattando direttamente con Teseco. Tutto comincia dal viaggio organizzato nel 2017 a Budapest, dove l’Autorità convince i magiari della bontà di un investimento a Trieste. La presenza di traffici ungheresi non era una novità per l’Adriatico settentrionale, ma fino a quel momento il governo Orban aveva guardato esclusivamente al porto di Capodistria, tanto da mostrarsi intenzionato a investire duecento milioni nel raddoppio del collegamento ferroviario con Divaccia, oggi sovraccarico e diventato dunque un imbuto per le operazioni di smistamento delle merci. Il confronto con l’Autorità dura per tutto il 2018 e alla fine spunta la soluzione dell’ex Teseco, ritenuta ottimale da Budapest per poter progettare uno sviluppo autonomo e senza la possibile convivenza con altri investitori. Le cose si fanno serie a novembre, quando Orban annuncia l’intenzione di rinunciare a Capodistria e di voler trovare a Trieste lo sbocco al mare. Frasi giudicate intempestive da D’Agostino che, pur davanti a una trattativa vicina alla chiusura, parla di un interessamento non ancora sfociato in fatti concreti. Ma mentre si discute del possibile sbarco di capitali cinesi nel porto, a fine anno il governo ungherese punta l’attenzione sulla possibilità di rilevare la società Aquila, controllata da Teseco: il subentro riguarda le aree di proprietà e le zone demaniali in concessione, ma potrebbe includere anche altre aree limitrofe. La superficie si estende per una trentina di ettari, affacciati sul mare e serviti da una linea ferroviaria collegata alla stazione di Aquilinia, il cui restauro dovrebbe essere concluso entro il 2020. Il tutto sarà gestito in regime di porto franco, come nei capannoni ex Wärtsilä. Nulla si sa ancora sul valore dell’operazione per l’acquisto della parte di proprietà di Teseco, ma di certo c’è che alla cifra si aggiungerà un altro centinaio di milioni per bonifica e trasformazione in terminal portuale. Meno di quanto costerebbe l’intervento sulla Capodistria-Divaccia, il cui progetto è considerato a Budapest di incerta realizzazione per le difficoltà della Slovenia a reperire i due miliardi necessari. Contatti istituzionali sono in corso fra Ungheria e Italia per delineare iter e tempi di un risanamento ambientale che deve ripartire dalle caratterizzazioni. L’intesa è legata anche e forse soprattutto a questo passaggio. L’utilizzo del terminal resta tuttavia da chiarire. Per la sua gestione Budapest è pronta a far partecipare operatori privati, ma nulla trapela su questo fronte. Con i container monopolizzati dal molo VII e il traffico ro-ro già presente in porto, è plausibile che lo scalo si concentri su materie prime e rinfuse solide da importare in Ungheria e da qui in Est Europa. Difficile dire se potrà svilupparsi una collaborazione con realtà come Samer o Adriaterminal, in passato interessate all’area. —
Diego D’ Amelio



3) Giulio Mellinato pubblica per Franco Angeli “L’Adriatico conteso” storia dei rapporti
commerciali e politici fra Italia e Austria-Ungheria fino alla Grande Guerra – Il Piccolo 22/2/19

Così la Storia fece grande Trieste e il suo Porto E ora lo scalo ci riprova
Intervista a cura di Paolo Marcolin

Dietro la grande ascesa del porto di Trieste c’era una strategia, la volontà dell’Austria di allargare i commerci per accrescere la sua influenza politica. «Invece senza un obiettivo ci si ritrova a brancolare nel buio» dice, guardando all’oggi, Giulio Mellinato, che insegna Storia economica e storia della globalizzazione all’Università di Milano Bicocca. Mellinato ha studiato a lungo il sistema portuale di Trieste, condensando i risultati un saggio “L’Adriatico conteso. Commerci, politica e affari tra Italia e Austria-Ungheria” (Franco Angeli, pagg. 284, euro 35,00), che permette appunto una riflessione sulla situazione attuale.
Professore, lei afferma che dalla rivoluzione dei trasporti di metà Ottocento fino alla primavera del 1915 la competizione tra Austria-Ungheria e Italia per il commercio marittimo sull’Adriatico era stata economica, e dopo il 24 maggio l’Italia la fece diventare militare. Perché?
«Perché - risponde Mellinato - l’equilibrio di convenienze che teneva in piedi istituti come i porti franchi non esisteva più e il nascente mondo globalizzato cominciava a fermentare al suo interno spinte conflittuali. Dietro la scelta irredentistica ci fu anche la necessità, per il sistema economico-commerciale triestino, di espandersi verso l’Italia, Paese più arretrato dell’Austria e quindi portatore di maggiori margini di sviluppo». Il suo libro analizza anche il ruolo pionieristico avuto dalla navigazione nella nascita di un mercato globale. «La navigazione è stata la prima industria globale, perché metteva insieme navi, ferrovie e telegrafo, cioè la comunicazione». Il mondo cominciava a essere a portata di mano, viene in mente “Il giro del mondo in 80 giorni” di Verne. «Quel libro ebbe un grande successo perché chiunque avrebbe potuto fare quel viaggio. Si scoprivano le possibilità di un mondo interconnesso e il commercio si rivolge ai luoghi dove c’è connettibilità. Così Trieste, che ha il porto, la ferrovia, uno stato forte alle spalle, diventa il primo hub del Mediterraneo orientale».
Che significa parlare di indice di connettibilità del porto?
«Che utilizzando le griglie di analisi attuali balza ancor di più agli occhi il vantaggio che aveva il porto di Trieste sugli altri porti dell’Adriatico. Nel 1913 Trieste aveva una potenzialità commerciale in termini di rotte navali più grande della somma dei porti di Venezia, Ancona, Bari e Brindisi messi assieme».
Frutto del caso o della volontà politica? «Un network si crea utilizzando condizioni locali e decisioni dal centro. Trieste in gran parte subisce e metabolizza scelte nate altrove. Prendiamo la nascita del Lloyd Austriaco. John Allen porta quasi per caso il sistema inglese. Locale è invece la ferrovia, che nasce nel 1857 e fa di Trieste il primo porto collegato direttamente alla strada ferrata».
Quale è stato il contributo delle classi dirigenti della città?
«Dal 1831 alla Prima guerra mondiale Trieste non conosce nessuno scandalo finanziario e nessun crac, un caso unico in Europa. E quando il barone Von Bruck viene accusato ingiustamente, per la vergogna si suicida. Era un ambiente più onesto della media».
Come mai?
«Forse perché era fatto di gente nuova, o perché funzionava per comunità molto chiuse, gli ebrei, gli armeni, i protestanti, piccole e giovani. Era un sistema proiettato verso il futuro, che investiva in relazioni umane e sociali».
Con la nascita dell’Italia si aggiunge un nuovo attore.
«Il commercio è uno strumento di potere e l’Italia si accorge di essere periferica. Non era un problema solo di soldi, ma di organizzazione. Un sistema logistico ha esigenze diverse, dove conta non solo la lunghezza di moli e il numero e il tonnellaggio delle navi, ma c’è bisogno di senso. Per l’Italia il sistema commerciale è un fine, per l’Austria il sistema logistico portuale è un mezzo, il fine è allargare l’area di influenza».
 Sul piano economico tra Austria e Italia non c’era partita.
«Questo spiega la scelta politica e militare. L’Italia entra in guerra per conquistare Trieste e avere finalmente la sua piattaforma logistica».
Un calcolo ingenuo, come si vide a guerra finita.
«Un errore tragico. Tanto che nel 1928, quindi prima del crollo di Wall Street e con l’Austria ancora in amministrazione controllata, il governo italiano è costretto a varare delle agevolazioni a tutte le imprese locali. L’economia non è un gioco a somma zero. Spesso si agisce per desideri e spinte emozionali senza tener conto degli obiettivi, lo stesso che è stato fatto due anni fa con la Brexit».
A trecento anni dall’istituzione del Porto franco, Trieste è alla ricerca di un rilancio. Potrebbero essere i cinesi a dare una nuova spinta?
«I cinesi fanno comodo per due motivi: intanto hanno una strategia, mentre la città non ce l’ha, e poi portano soldi, che in Europa non ci sono. Bisogna però avere presente a cosa si va incontro. Lo spiega il trilemma dell’economista turco Rodrik. Ci sono tre poli: la sovranità nazionale, il sistema finanziario, la libertà commerciale, e se ne possono scegliere solo due. Con i cinesi prendi i soldi e il commercio, ma rischi di rinunciare a parte della sovranità nazionale». —

 L’ AUTORE
Giulio Mellinato insegna Storia economica alla Bicocca di Milano, e si occupa in particolare di storia della grande industria regionale. Ha scritto per le Edizioni Consorzio Culturale del Monfalconese “Crescita in sviluppo. L'economia marittima della Venezia Giulia tra Impero asburgico ed autarchia (1918-1936)”. Ha curato fra l’altro il catalogo della mostra “Città Reale”.



Classico esempio di miopia localistica e nazionalista per conservare privilegi.
Ed anche di ignoranza del fatto che "i cinesi" sono da tempo presenti nei grandi porti del Nord Europa.



La presenza cinese nei porti europei:

2 commenti:

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