Due posizioni opposte ad un anno di distanza: mentre un anno fa era possibilista sulla chiusura dell' "area a caldo" adesso Arvedi pone un odioso ricatto di 600 posti di lavoro in caso di sua chiusura.
Cos' è cambiato in un anno ?
L' impegno ufficiale di Arvedi nell' acquisizione dell' ILVA di Taranto e quindi la necessità di dimostrare a Trieste che l' area a caldo può essere mantenuta.
Dover chiudere a Trieste l' area a caldo, ammettendo che questo genere di lavorazioni con impianti di questo tipo è incompatibile con centri abitati, farebbe fallire la lucrosa operazione ILVA.
E' noto che la produzione di ghisa a Trieste per mandarla a Cremona per la trasformazione in acciaio da riportare a Trieste per la laminazione "a freddo" è antieconomica: ghisa e coke se ne trovano in abbondanza a costi più bassi in giro per il mondo.
A questo si accennava anche nell' "accordo di programma" in questo passo "In una seconda fase la competitività del costo ghisa, rapportato ai prezzi delle importazioni dall'estero, definirà la convenienza o meno della produzione di ghisa e della cokeria con l’eventuale ipotesi di sostituire la produzione di coke approvigionandolo dall’estero. Al termine dell'eventuale dismissione della cokeria si renderà disponibile un'area di circa 50.000 mq che sarà riconvertita ad area retroportuale".
Continuare con l' "area a caldo" diventa conveniente se vi sono CONTRIBUTI PUBBLICI erogati con varie motivazioni: energia, salvataggio dell' ILVA, benefici fiscali ecc.
In altre parole se pagano i contribuenti: come avviene con il porto Off-Shore di Venezia che è certamente antieconomico ma diventa conveniente se paga Pantalone, come è avvenuto col MOSE.
Dal punto di vista strettamente industriale il vero business della Ferriera stà nella banchina a mare con la logistica e in lavorazioni di laminazione poco inquinanti.
Ma con l' entrata di Arvedi nel business del "salvataggio" dell' ILVA di Taranto è la politica nazionale che detta l' agenda.
Da qui il ricatto sull' occupazione con i lavoratori utilizzati come scudi umani.
E' una sfida che va accolta perchè l' alternativa occupazionale c'è ed è nelle cose: lo sviluppo della logistica con un nuovo grande terminal portuale che coinvolga la banchina di Servola, l' avvio di attività di produzione industriale nei Punti Franchi del Porto Franco Internazionale di Trieste, l' avvio di No Tax Area che consentano l' insediamento di attività produttive, finanziarie e di servizi anche nell' enorme area di Porto Vecchio.
Il lavoro ci serve e Trieste può crearlo in ogni settore e ad ogni livello utilizzando le prerogative straordinarie del Porto Franco e delle aree extradoganali extra-UE.
Ma le Dogane ed il Fisco italiani devono mollare la presa sul Porto Franco.
Il ruolo della informazione in questa vicenda è determinante: un anno fa dicevano, per rassicurare, che Arvedi era disposto a chiudere l' Area a Caldo ma oggi si fanno portavoce dei ricatti occupazionali.
Per anni hanno detto che i Punti Franchi non servono a nulla, anzi sono dannosi, ma poche settimane fa la stessa Serracchiani ha finalmente aderito alla nostra tesi di sviluppo del Porto Franco e di No Tax area nei Punti Franchi mentre da mesi un commissario dell' APT onesto come D' Agostino sta propagandando il Porto Franco in Italia e in Cina invece di tenerne nascoste le straordinarie caratteristiche come è stato fatto finora.
Oggi sul Piccolo vediamo posizioni schizofreniche sul turismo: in prima pagina e su un paginone annuncia un anno di record positivi, ma un articolo ammette che gli alberghi triestini hanno cali di presenze e prenotazioni...
A meno che proprio la confusione mentale sia il risultato che si prefiggono da sempre come ha sempre detto la mitica Siora Pina: " Mi penso che i scrivi ste robe solo per insempiar la gente ! "
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