RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

sabato 26 gennaio 2019

TRIESTINI SVEGLIAMOCI !!!!! ZES - ZONA FRANCA DOGANALE E FISCALE: IL GOVERNO APRE A VENEZIA DOPO L’ ISTITUZIONE NEI PORTI DEL SUD - TRIESTE HA I PUNTI FRANCHI DOGANALI MA NON UNA “TAX FREE ZONE” FISCALE -



Il giorno dopo l’ assemblea degli industriali veneti che chiedeva la costituzione di una Zona Franca - ZES a Venezia, di cui abbiamo parlato ieri, il Governo già apre e fissa un incontro.

La si vuole collegata al porto.
La Confindustria veneta ha stimato che il costo delle riduzioni fiscali sarà di 250 milioni che, dal secondo anno, potranno sviluppare un gettito fiscale di quattro volte superiore e creare 26.000 posti di lavoro.
Come noto il Veneto sta anche trattando l’ Autonomia richiedendo 23 competenze esclusive, e relative dotazioni finanziarie, che comporterebbero che il 90% delle tasse resterebbe nella regione: come accade adesso alla Provincia Autonoma di Bolzano.

Alla fine di questo processo, iniziato con il referendum del 22 ottobre di due anni fa il Veneto si troverà ad avere non solo una maggiore autonomia e disponibilità finanziaria delle Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ma anche con una zona franca legata al Porto di Venezia.

I Punti Franchi del Porto di Trieste sono di rango superiore perché comportano la completa extraterritorialità doganale, tuttavia attualmente non prevedono  esenzioni fiscali per imprese e persone.

Nella Zona Economica Speciale richiesta da Venezia invece vi sarebbero anche rilevanti facilitazioni fiscali come 50 milioni di credito d’ imposta per investimenti e insediamenti di stabilimenti e sospensione dell’ IVA.

Più volte si è parlato di completare i vantaggi del Porto Franco Internazionale di Trieste con una Free Zone Fiscale (e non solo doganale) ma non si vede alcun passo concreto delle autorità.

C’è molto da imparare dai veneti che si stanno muovendo con determinazione e presto o tardi vorranno rubarci la merenda, come da secolare tradizione.
Meglio svegliarsi prima, magari pensando a una mobilitazione cittadina visto che le forze politiche, che a Trieste non brillano per acume e attenzione al bene comune, pensano ad altro.

Riportiamo di seguito il dettagliato articolo odierno del Corriere della Sera, edizione del Veneto:


Dopo l’assemblea di Confindustria Venezia
Venezia Zona Speciale,
il governo apre agli industriali
Convocato un vertice a Roma
VENEZIA 26/1/19
L’appello degli industriali è stato subi
to raccolto. Le segreterie sono alla ricerca di
una data utile per tuffi ma, assicura il sottose
gretario all’Economia Massimo Bitonci, «è già
deciso che la prossima settimana, a Roma, in
sieme al viceministro allo Sviluppo economi
co Dario Galli incontrerò il presidente di Con
findustria Venezia-Rovigo Vincenzo Marinese
per discutere con lui della Zes e del modo mi
gliore per rilanciare Porto Marghera. Marinese
sa che di me si può fidare: abbiamo già avuto
un dialogo proficuo in occasione della stesura
della manovra di bilancio. Sono sicuro che la
voreremo bene anche su questo dossier».
Già incassato l’appoggio del governatore Lu
ca Zala e quello del presidente deWEuroparla
mento Antonio Tajani, anche il presidente del
l’Autorità portuale di Venezia, Pino Musolino,
si dice disponibile a fare la sua parte: «E chiaro
che la creazione di una Zes, magari accoppiata
con l’allargamento del già esistente Punto
Franco, potrebbe rappresentare una leva per la
crescita dell’intera area metropolitana. La cre
azione di occupazione e di valore sul territorio
sono una priorità assoluta per tuffi i soggeffi,
istituzionali e non, coinvolti nel progettare il
inturo di Venezia, del suo Porto e delle affività
economiche ad esso collegate. Perciò pieno
Dietro l’oscuro acronimo che sta per «Zone
economiche speciali», d’altronde, si celano
vantaggi molto concreti: credito d’imposta per
maxi investimenti fino a 50 milioni (quello
normale è al massimo di 15 milioni), tempi di
mezzati per autorizzazioni e procedure (come
l’apertura di nuovi stabilimenti) con il Gover
no pronto a esercitare i poteri sostitutivi, oneri
amministrativi e istruttori più bassi. La proie
zione su Venezia e Rovigo messa a punto da EY
per Confindustria si regge su cifre sorpren
denti: 2,4 miliardi di investimenti, 26.600 nuo
vi posti di lavoro, il recupero di 385 ettari di ex
fabbriche oggi in stato di semi-abbandono,
con vantaggi cospicui anche per le casse di
Stato ed enti locali, visto che riprenderebbero
co conto; si deve modificare una legge. Le Zo
ne economiche speciali nascono infatti nel
2017 Con il Decreto Mezzogiorno e puntano ad
attrarre investimenti nei grandi porti del Sud,
agganciando i flussi di merci che attraversano
il Mediterraneo passando per il Nord Africa e il
canale di Suez, per approdare alla Cina se
guendo la Nuova Via della Seta. Due Zes sono
già state istituite, Napoli-Salerno e Gioia Tau
ro, altre sei sono in gestazione: Bari-Brindisi,
Augusta (con Catania e Siracusa), Palermo, Ca
gliari, Taranto (collegata alle zone industriali
della Basificata) con un ultimo porto da indM
duare per unire Molise e Abruzzo.
Venezia (come Genova) potrebbe godere
delle facifitazioni previste per le «ZIs», le Zone
Logistiche Semplificate istituite con la legge di
Bilancio 2018, che sono una sorta di versione
tight delle Zes, di gran lunga meno appetibili
per gli investitori (per dirne una: non è previ
sto il m.axi credito d’imposta) ma è chiaro che
Coifindustria punta al bersaglio grosso e cioè
ad equiparare Venezia agli altri porti affacciati
sul Mediterraneo. E non solo sul Mediterra
neo, a dire il vero: nel mondo già oggi si conta
no circa 2.700 Zes, dalla Cina (Shenzhen, ad
esempio) a Dubai, passando per la Polonia che
ne ha istituite addirittura 14, con un’esenzione
sull’imposta sul reddito delle società che oscil
la tra 1125 e 1155%, a seconda di alcune variabi
li, dall’ammontare degli investimenti al nume
rodi posti di lavoro creati. «Lì ne sono nati 300
mila - ha detto Marinese - innescando 25 mi
liardi di euro di investimenti. Un contributo
determinante al balzo in avanti del Pii polacco,
cresciuto in sette anni del 27%»,
Ivantaggi, insomma, sono indiscutibili. Re
sta da capire, dopo l’annunciato incontro tra
Marinese, Bitonci e Galli al Mef, che ne pensi il
ministro del Sud Barbara Lezzi, visto che il ca
pitolo Zes attiene alla Coesione territoriale, e
cioè al suo dicastero (nei comitati di indirizzo
delle Zes, invece, accanto alle Regioni e alle
Autorità portuali siedono Palazzo Chigi e il miS
nistero delle Infrastrutture e dei Trasporti). E
bene ricordare che dal Sud arrivarono critiche
e reazioni negative già in occasione della na
scita delle Zls, accusate di far perdere competi
tività alle Zes. tuterpellata dal Corriere del Ve
neto, ieri Lezzi ha preferito non rilasciare alcu
na dichiarazione, ma nei giorni scorsi, presen
tando un emendamento sul tema al Dl
Semplificazioni (che prevede, tra l’altro, l’esen
zione Iva per le Zes), aveva detto: «Finalmente
le Zone economiche speciali e quelle semplifi
cate potranno cambiare marcia, entrando in
fase operativa». Chissà se ne trarrà slancio an
che la proposta di Confindustria.
Ma. Bo.

  
 COS' E' LA ZES ?
Con l’acronimo Zes si intendono le «Zone
economiche speciali»: aree che godono di
incentivi e agevolazioni per le imprese che
investono, I vantaggi sono molto concreti:
credito d’imposta per maxi investimenti
fino a 50 milioni (quello normale è al
massimo di 15 milioni) e tempi dimezzati
per autorizzazioni e procedure, comprese
quelle relative all’apertura di nuovi stabilimenti





mercoledì 23 gennaio 2019

UNA IMPORTANTE RIVISTA INTERNAZIONALE DI TRAFFICO MARITTIMO PONE IL “PROBLEMA DI CHI POSSIEDE REALMENTE IL PORTO DI TRIESTE” ESSENDO QUELLA ITALIANA UNA “AMMINISTRAZIONE CIVILE TEMPORANEA”, NE ATTRIBUISCE LA GESTIONE DELLA SICUREZZA ALLA NATO E NE SOSTIENE IL RUOLO DI TERMINAL DELLA VIA DELLA SETA GRAZIE AL PORTO FRANCO -



L’ autorevole e diffusa rivista internazionale SPLASH 247 – GLOBAL MARITIME ANDSHIPPINGS NEWS di portualità e traffici marittimi (del gruppo editoriale Asia Shipping Media (ASM) di Singapore) ha pubblicato oggi un articolo sul Porto Franco Internazionale di Trieste come terminal europeo della Nuova Via della Seta (clicca QUI) nell’ ambito del quale fa affermazioni impegnative:  

C'è anche il problema di chi possiede effettivamente il porto di Trieste. 
Gli accordi attuali sono legittimi secondo la legge italiana in qualsiasi porto italiano, tuttavia il porto franco internazionale di Trieste non appartiene all'Italia o all'Unione europea. 
È affidato all'amministrazione civile temporanea del governo italiano dagli Stati Uniti e dal Regno Unito come governi di amministrazione primaria per conto del Consiglio di sicurezza dell'ONU. Questo è stato stabilito dalla risoluzione S / RES / 16 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (1947) come parte del trattato di pace... 
In altre parole, il porto di Trieste apre le sue porte a tutti i paesi e proibisce la creazione di una parte dell' area sotto il controllo esclusivo di qualsiasi paese o stato...
la sicurezza di questo porto strategico è stabilita dalla convenzione delle Nazioni Unite come competenza della NATO.”


L’ articolo nel suo complesso evidenzia il grande lavoro fatto dall’ attuale gestione del porto per inserire Triste nei circuiti internazionali e come stiano circolando le notizie e l’ immagine del Porto Franco a differenza del passato. 
E conferma che novità positive anche per il livello amministrativo della città possono venire solo dal pieno inserimento nei circuiti internazionali.
Lavorare per la connessione internazionale di Trieste tramite il Porto Franco Internazionale è la priorità assoluta.

Sotto riportiamo la traduzione dell’ articolo fatta da noi e il testo in inglese.

Trieste: ritorno della Via della Seta oppure la Cina “vede” il bluff italiano?
23/1/19

Ci sono stati molti commenti sulle intenzioni e sullo sviluppo della spinta della Cina ad aumentare il commercio e la sicurezza energetica con l'Europa. 
Stante la modalità dell’ annuncio di Xi Jinping riguardante l’ intenzione della Cina di far rinascere la Via della seta originale attraverso la Belt Road Initiative (BRI) si può capire il ritardo dell’ interesse per gli sviluppi in Europa e nel Mediterraneo. 
Le differenze nella comprensione delle intenzioni della Cina, hanno creato strategie di impegno alternative. 
I diversi approcci si riflettono sul modo in cui la Grecia e l'Italia si sono avvicinati alla Cina - e si può sostenere che il governo italiano sia stato spiazzato dai cinesi - in particolare nei porti del Pireo e di Trieste.

Per capirlo, dobbiamo ricordare brevemente la storia della Via della Seta.
 Le rotte commerciali originali collegavano Occidente e Oriente per secoli.

Il Mediterraneo ha svolto un ruolo centrale, collegando merci, culture e persone. Ha fornito il collegamento tra il commercio di terra e di mare e ha fornito il percorso per gli scambi tra l'Europa e i mercati del Nord Africa.Ha rappresentato anche la concorrenza marittima e commerciale tra l'Italia e la Grecia per secoli, con la loro importanza strategica che venne ulteriormente rafforzata in seguito alla costruzione del Canale di Suez.

In sostanza tutto questo si ripete sotto gli auspici della BRI con il programma infrastrutturale che associa i porti alle reti ferroviarie (vie interne) per collegare i mercati e fornire alla Cina uno sbocco occidentale per garantire il commercio e l'energia.
 I porti e le organizzazioni marittime stanno solo ora riconoscendo come questa intermodalità  porto-ferrovia stà rivoluzionando i traffici.

Come la Cina è andata a “vedere” il bluff italiano?
  
Nelle fasi iniziali della BRI l'Italia ha tenuto conto dell’ opinione di molti in Occidente che sostengono la Cina stia semplicemente cercando di affermarsi come il nuovo egemone mondiale conquistando il controllo di posizioni strategiche attraverso la “diplomazia del debito” e comunemente riferendosi alla “trappola del debito”.
 Ha inoltre affermato che il BRI presentava rischi per la sicurezza e avrebbe comportato un aumento della militarizzazione della regione.

La Grecia invece, riguardo il porto del Pireo, ha visto i BRI in modo diverso e ha ritenuto la BRI un mezzo per sollevare la propria economia impegnandosi con la Cina. A guidare il gruppo c'era la mastodontica cinese Cosco Shipping Holdings, che portava 50 corridoi di trasporto per container marittimo attraverso 100 porti. Dopo aver preso una quota del 51% nel porto greco del Pireo, ha trasformato questo porto sonnolento in un terminale di “transhipping” (trasbordo) chiave che collega le spedizioni marittime dall'Asia alla ferrovia e alle strade che si snodano verso altri mercati europei (rotte interne).
 Ha proposto il nuovo modello di Via della Seta che collegava i porti ai mercati dell'hinterland con le ferrovie che fungevano da trasporto per il primo e l’ ultimo miglio.
  I risultati di questo impegno hanno visto il Pireo godere del crescente commercio di container della Cina, che costituisce il 32% della flotta globale di container.
 Mentre il trasporto via mare tra Europa e Asia è rallentato nel 2018, il Pireo ha, al contrario, segnato una crescita come porta marittima della Cina verso l'Europa meridionale, passando da 3,75 milioni di teu nel 2017 a un previsto 4 milioni di teu nel 2018.

Con la Cina che applica il suo affermato approccio di libera scelta alla partecipazione alle BRI, l'Europa occidentale si sta risvegliando e rivoluzionando il modus operandi.
 L'Italia è stata attenta a sottolineare che sta coinvolgendo la Cina su tutti i porti italiani, sostenendo che i medesimi  offrono più del Pireo in termini di piattaforma logistica per l'Europa centrale e meridionale, ma anche in Nord Africa.
 Inoltre, l'Italia ha sottolineato che non venderà asset nonostante le sue infrastrutture siano in uno stato di crisi. Haincoraggiato la partnership e gli investimenti in infrastrutture che offrono un accesso più semplice al mare. 
Tuttavia, Pechino ha dichiarato il suo interesse nel porto nord-orientale di Trieste piuttosto che nel porto di Genova proposto.
Trieste si adatta ai piani della Cina in quanto è già collegata per ferrovia ad Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Lussemburgo e Slovacchia.
L'Italia ha anche sottolineato che la Cina ha fatto un "errore" con la Grecia in quanto non è facilmente raggiungibile dai mercati europei per ferrovia.

Oltre a quanto sopra, Trieste ha vantaggi strategici di localizzazione per gli scambi commerciali tra Suez, Mediterraneo, Europa centro-orientale e la nuova rotta artica. Questi vantaggi includono i suoi 18-20 m di profondità d'acqua, lo status giuridico di “porto franco internazionale” e il porto più settentrionale del Mare Adriatico. 
Ora Trieste sta pubblicizzando apertamente la propria posizione geografica  e logistica in Cina, in particolare il suo status di “porto franco internazionale” che consente di dare concessioni pubbliche sulle principali aree portuali.
Ora sta cercando di recuperare terreno perduto posizionandosi per sfruttare questa nuova modalità di trasporto intermodale aggiungendo ulteriori funzionalità al suo servizio.

Lo status di porto franco rende possibile servizi a valore aggiunto come il carico, lo scarico, lo stoccaggio e la produzione senza dover pagare le tasse  nonchè la libertà di transito delle merci verso altri Stati europei.
 L'attenzione non è tanto al numero di container movimentati, quanto il valore aggiunto in relazione a quei container. Ad esempio, Trieste sta cercando 1,3 miliardi di dollari per rendere l'accesso stradale / ferroviario ai container sia efficiente.
Ciò sarebbe possibile grazie a una grande banchina, un terminal ferroviario, aree di deposito container e una “zona franca” che può essere utilizzata per il deposito e l'assemblaggio delle merci.
La Cina sta cercando di coprire la metà del costo con il saldo proveniente da paesi come il Kazakistan, l'Azerbaigian, la Turchia, l'Iran e la Malesia.
È interessante notare che l'Italia sarebbe il primo paese del G7 a firmare un MOU all'interno del quadro BRI. 
Grazie all’ impegno verso la Cina, Trieste ha raddoppiato il suo traffico di container dal 2016, visto che lavora per catturare parte del 70% del commercio che passa tra l'Europa e la Cina attraverso rotte marittime. 
Nel 2016 ci sono stati 486.000 teu spostati, ma nel 2018 è stato registrato un balzo drastico a 730.000 teu. Il numero di treni gestiti è anche raddoppiato da 5.000 a 10.000 nello stesso periodo. Mentre questi dati sono relativamente piccoli se si considera che il Pireo aveva 4 milioni di container nel 2018, ma è un passo nella giusta direzione.

Nuvole all’ orizzonte ?

Con l'attuale livello degli investimenti cinesi nelle aziende italiane si teme che la Cina otterrà il controllo quasi completo del porto franco internazionale di Trieste. 
Ciò darebbe alla Cina una testa di ponte significativa per la penetrazione economica e strategica in Europa. 
L' UE ha sollevato questi problemi di sicurezza con l'Italia e ha proposto un meccanismo di screening per i settori industriali sensibili alla sicurezza. 
Nel dialogo UE / Italia è incluso il contenimento della proprietà cinese alla quota di minoranza e il mantenimento del controllo di sicurezza sulle attività chiave.
Si sta facendo rispettare l'accordo del 1954 che conferisce alla NATO la responsabilità per la sicurezza del porto. 

C'è anche il problema di chi possiede effettivamente il porto di Trieste. 
Gli accordi attuali sono legittimi secondo la legge italiana in qualsiasi porto italiano, tuttavia il porto franco internazionale di Trieste non appartiene all'Italia o all'Unione europea. 
È affidato all'amministrazione civile temporanea del governo italiano dagli Stati Uniti e dal Regno Unito come governi di amministrazione primaria per conto del Consiglio di sicurezza dell'ONU. Questo è stato stabilito dalla risoluzione S / RES / 16 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (1947) come parte del trattato di pace. 
In altre parole, il porto di Trieste apre le sue porte a tutti i paesi e proibisce la creazione di una parte dell' area sotto il controllo esclusivo di qualsiasi paese o stato.

Conclusioni 
C'è una quantità significativa di fumo e miraggi con il porto di Trieste, ma ciò che è chiaro è che l'Italia vuole partecipare come componente del BRI. Questa scelta è stata determinata dall'impegno della Cina con il Pireo in Grecia. Mentre vengono sollevate diverse questioni, la Cina può sostenere la natura trasparente e inclusiva delle BRI, in particolare perché non cerca la proprietà di maggioranza dei beni strategici e accetta la sicurezza e la sicurezza di questo porto strategico è stabilita dalla convenzione delle Nazioni Unite come competenza della NATO.

L’ autore Andre Wheeler: 
CEO di Asia Pacific Connex con oltre 20 anni di esperienza nel business internazionale, con una rete diversificata in tutti gli Stati Uniti, Asia, Sud-est asiatico, Africa e Regno Unito. Con una laurea in Scienze (Hons) e un MBA, sta attualmente lavorando per la sua iniziativa Dottorato sull'impatto dell'iniziativa China One Belt One Road. Andre ha esperienza in petrolio / gas, costruzioni, servizi marittimi e miniere. 

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Trieste: Silk Road return or how China called Italy’s bluff?
There has been much commentary around the intent and development of China’s push to increase it trade and energy security with Europe. Taking the view that the Xi Jinping announcement that China was giving rebirth to the original Silk Road through the announcement of the Belt Road Initiative (BRI), one can understand why developments in Europe and the Mediterranean have attracted interest of late. This interest underscores how the differences in understanding the intent of China, created alternative engagement strategies. The different approaches are reflected in how Greece and Italy approached China, and how it can be argued that the Italian government was outsmarted by the Chinese, particularly around the ports of Piraeus and Trieste.
In order to understand this, we need to have brief reminder of the history of the Silk Road. The original trade routes connected west to East over centuries. The Mediterranean played a central role, connecting cargos, cultures and people. It provided the connection between land and sea trade, as well as providing the pathway for trade between Europe and markets in North Africa. It also reflects the maritime and trade competition between Italy and Greece has been around for centuries, with their respective strategic importance being further enhanced following the construction of the Suez Canal. In essence this is being repeated under the auspices of the BRI with the infrastructure program pairing ports with rail (inland routes) networks to connect markets as well as provide China with a western outlet to secure trade and energy. Ports and shipping organisations are only now recognising how these port-rail pairings are revolutionising trade.
How China called Italy’s bluff?
In the initial phases of the BRI, Italy took the view of many in the West, arguing China was merely trying to establish itself as the new world hegemon by gaining control of strategic locations through debt diplomacy and commonly referred to debt trap. It also argued that the BRI presented security risks and would lead to increased militarisation of the region.
Greece, in the form of Piraeus saw the BRI differently and saw the BRI as a means to lift their economy by engaging with China. Leading the pack was the Chinese mammoth Cosco Shipping Holdings, operating 150 sea-rail container transportation corridors through 100 ports. After taking a 51% stake in the Greek port of Piraeus it turned this sleepy port into a key transhipment terminal connecting maritime shipments from Asia to rail and roads that snake into more European markets. It delivered the new Silk Road model that connected ports to hinterland markets with rail serving as last and first mile transportation. The results of this engagement saw Piraeus take advantage of the growing container trade of China, which constitutes 32% of the global container fleet. Whilst seaborne trade between Europe and Asia slowed in 2018, Piraeus witnessed growth as China’s maritime gateway to southern Europe, growing from 3.75m teu in 2017 to an anticipated 4m teu in 2018.
With China applying its stated free-choice approach to participation in the BRI, Western Europe is waking up to the ground breaking modus operandi. Italy has been careful to stress that they are engaging China on a whole ‘Italian Port’ basis, arguing that Italian ports offer more than Piraeus in terms of a logistics platform for central and southern Europe, but also into North Africa. Furthermore, Italy has stressed that they will not sell-off assets despite their infrastructure being in a state of crisis. They have encouraged partnership and investment in infrastructure that offers a simpler access to the sea.
However, Beijing has declared its interest in the north-eastern port of Trieste rather than the touted Genoa port. Trieste suits China’s plans as it is already connected by rail to Austria, Belgium, the Czech Republic, Germany, Hungary, Luxemburg and Slovakia. Italy has also been at pains to point out that China made a “mistake” with Greece as it is not within easy reach of European markets by rail. Over and above these claims, Trieste has strategic location advantages for trade between the Suez, Mediterranean, Central-Eastern Europe and the new Arctic Route. These advantages include its 18-20 m water depths, legal status as an international free port as well as being the most northern part of the Adriatic Sea.
Trieste is now openly marketing its location and position to China, particularly their international free port status that allows public concessions over the main free port areas. They are now trying to make up lost ground by positioning themselves to leverage this new transportation mode by adding more features to their service. The free port status makes it possible for value added services such as loading, discharging, storing and manufacturing without having to pay taxes and freedom of transit of goods to other European States. The focus is not so much the number of containers moved but the value added in relation to those containers. For example, Trieste is in the process of seeking $1.3bn so that road / rail access to containers is more efficient. This would be made possible by a large quayside, a railway terminal, container deposit areas and a free zone that can be used for warehousing and goods assembly. China is looking to cover half the cost with the balance coming through countries such as Kazakhstan, Azerbaijan, Turkey, Iran and Malaysia. It is interesting that Italy is the first G7 country to sign an MOU within the BRI framework.
By engaging with China, Trieste has doubled its container traffic since 2016 as it works to take capture some of the 70% of trade that passes between Europe and China via sea routes. There were 486,000 teu moved in 2016 but saw a dramatic jump to 730,000 teu in 2018. The number of operated trains has also doubled from 5000 to 10,000 over the same period. Whilst these are relatively small when considering that Piraeus had 4m containers in 2018, it is a step in the right direction.
Clouds on the horizon?
With the current level of Chinese investment into Italian Companies it is feared that China will obtain almost complete control of the international free port of Trieste. This would give China a significant bridgehead for both economic and strategic penetration into Europe. The EU has raised these security concerns with Italy and has proposed a screening mechanism for security-sensitive industrial sectors. Included in the EU / Italy dialogue is to restrict Chinese ownership to minority shareholdings as well as retaining security control over key assets. It is enforcing the 1954 agreement that gives NATO responsibility for security of the port.
There is also the issue of who actually owns Trieste port. Current agreements are legitimate under Italian Law in any Italian port, however the international free port of Trieste does not belong to Italy or to the EU. It is entrusted to the temporary civil administration of the Italian government by the US and the UK as primary administration governments on behalf of the UN Security Council. This was established under UN Security Council Resolution S/RES/16 (1947) as part of the Treaty of Peace. In other words, the Trieste port opens its doors to all countries and forbids the establishment of the part area’s under the exclusive control of any one country or state.
Conclusion
There is a significant amount of smoke and mirrors with the port of Trieste, but what is clear is that Italy are wanting to participate as a component of the BRI. This realisation has been brought about by China’s engagement with Piraeus in Greece. Whilst there are issues being raised, China can point to the transparent and inclusive nature of the BRI, particularly as they do not seek majority ownership of key assets and accept the security and safety of this key port is enshrined in UN convention as being the responsibility of NATO.
Andre Wheeler
CEO of Asia Pacific Connex with more than 20 years’ experience in international business, with a diverse network throughout the USA, Asia, SE Asia , Africa and the United Kingdom. Holding a B. Science (Hons) degree and an MBA, he is currently working towards his Doctorate on the Impact of the China One Belt One Road initiative. Andre has expertise in oil/gas, construction, marine services and mining.





domenica 20 gennaio 2019

LUOGHI COMUNI E CASTRONERIE BYPARTISAN SUL PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE (provenienti da "oltre Duin")


CASTRONERIA 1)
L’ Assessore Regionale alle Infrastrutture Pizzimenti ha nuovamente detto che il Porto Franco Internazionale di Trieste è ORMAI SATURO e che perciò bisogna puntare su Monfalcone e Porto Nogaro.
Lo ha ripetuto nel corso del convegno dell’ associazione “Luoghi Comuni” di sabato 19/1 (ovviamente immediatamente smentito dagli operatori portuali) ribadendo anche il concetto del Porto di Trieste come infrastruttura regionale ed elemento del sistema logistico portuale del Friuli- Venezia Giulia (“se no siamo morti in partenza”…sic!) mentre in realtà è un porto INTERNAZIONALE che lavora al 90% con l’ estero.

CASTRONERIA 2)  
Consiglio Comunale di Monfalcone – resoconto del Piccolo del 30/11/2018 : “Da registrare una presa di posizione da parte del consigliere Pd Fabio Delbello, esperto di logistica e trasporti, che ha rinnovato la richiesta di ESTENDERE A MONFALCONE IL PORTO FRANCO.
Irrinunciabile per il consigliere di opposizione la fusione dei due scali ma «Se deve essere Porto di Trieste-Monfalcone e se il porto di Trieste è porto franco, per logica proprietà transitiva si dovrà parlare anche di Porto franco di Trieste-Monfalcone».

Crediamo superfluo spiegare nuovamente per quale motivo non è possibile estendere il regime di porto franco al di fuori della zona A, Trattato di pace, Memorandum di Londra, previgenza della legge rispetto al trattato di Roma alla base della UE...

CONCLUSIONI: Figurarsi cosa succederebbe e che spinte ci sarebbero a spostare annacquando il regime di Porto Franco se i territori di Trieste, Gorizia e 
Isontino fossero unificati in un unico ente territoriale addirittura con "un presidente giuliano e uno isontino che si alternino ogni due anni e mezzo. Un numero pari di consiglieri, a prescindere dal peso demografico dei due territori (quello di Trieste ha più abitanti. Ndr)” (Ferruccio Saro, Il Piccolo 19/1).