Egli, dall' alto di una visone strategica al massimo regionale e di una regione periferica di un stato scassato come l' Italia, pontifica sul presunto campanilismo di chi difende le prerogative uniche del Porto Franco INTERNAZIONALE di Trieste minacciate da una unificazione con le paludi di Monfalcone e Nogaro.
Chiariamo per l' ennesima volta che il Porto Franco Internazionale di Trieste ha caratteristiche uniche che lo rendono TERRITORIO EXTRADOGANALE anche rispetto alla UE.
Questo grazie al Trattato di Pace del 1947 e all' allegato VIII che ne specificano inequivocabilmente la natura autonoma, precisamente definita geograficamente nell' ambito del TLT del 1947 di cui Monfalcone e la "regione inventata" Friuli-VG NON facevano parte.
Se non ci fosse il pregiudizio di voler considerare il Porto di Trieste come un qualsiasi porto italiano sarebbe semplice capire che OGNI MODIFICA GIURIDICA O GEOGRAFICA DELL' ENTE "PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE" ESPORREBBE AUTOMATICAMENTE ALLA POSSIBILITA' DI CONTESTAZIONE DELLE SUE SPECIALI PREROGATIVE DI EXTRATERRITORIALITA' DOGANALE EXTRA UE.
In altre parole se l' Italia ne modifica la natura e localizzazione, rendendolo tutt' uno con due porti impantanati e bisognosi di continui dragaggi come Monfalcone e Nogaro, arrivando al punto di ipotizzare il trasferimento in quelle paludi di un Punto Franco, sarebbe automatica da parte della UE la contestazione riguardo l' extradoganalità di tutto il complesso.
Ovvero la fine del Porto Franco Internazionale.
Il tutto per un progetto bocciato dai fatti e dai tecnici come il PORTO REGIONE targato Maresca docente a Udine e consulente di Serracchiani e Governo, come lo fu il defunto Superporto Trieste-Monfalcone di Unicredit.
Trieste non sarà mai un miserabile Porto Regione di una regione periferica italiana: ma resterà un Porto Franco INTERNAZIONALE.
Il campanilismo è semmai nella testa di chi vuol ridurre le potenzialità portuali INTERNAZIONALI di Trieste coinvolgendolo nelle paludi della bassa friulana e nella politica ed economia, fino a poco fa agricola, della regione a guida notoriamente udinese.
Insomma cosa c'è di campanilistico in una città che non si sente il porto di una Regione come il Friuli Venezia Giulia ma quantomeno della Mitteleuropa? E che guarda a Vienna più che a Udine?
Intanto altri CAMPANILISTI VERI, i deputati del PD veneto, spingono per la realizzazione di quella assurdità tecnica ed economica a spese dei contribuenti che e' il porto off-shore di Venezia che vogliono portare al CIPE entro agosto, come testimonia l' articolo della Nuova Venezia, giornale gemello del Piccolo che su questo tace...
Vogliamo parlare seriamente di campanilismo (quello vero) ?
Questo il sermone domenicale del Piccolo:
Trieste,Monfalcone e il porto unico serve un salto culturale di mentalità
di ROBERTO MORELLI
Se Trieste saluta con entusiasmo la nascita dell’Autorità portuale unica con Monfalcone, che di fatto amplia la gestione e gli orizzonti dello scalo, perché dovrebbe preoccuparsi dell’ipotesi - solo un’ipotesi, al momento - che proprio a Monfalcone vengano spostati i traghetti per la Grecia? C’è una curiosa ma rivelatrice contraddizione nel dibattito che sta accompagnando la felice evoluzione in atto nel porto: il nuovo varco ferroviario, che aumenta il potenziale di trasporto delle merci, e soprattutto il via libera agli investimenti nel Molo Settimo, che incrementeranno grandemente le capacità di traffico dei container; rendendo necessario, tuttavia, spostare l’approdo delle navi passeggeri per la Grecia, ora sullo stesso molo. Di qui l’ipotesi formulata dal commissario D’Agostino, tra le altre possibili, di una loro collocazione a Monfalcone. Apriti cielo. Monfalcone? «Portare via» i traghetti da Trieste? Non sia mai. Preoccupazione curiosa, per l’appunto. Perché s’incentra su uno scenario che è quanto la città auspicava, salvo farsi pervadere da un’angoscia sottile quando lo scenario si realizza. La meritoria - ancorché timida - riforma dei porti italiani, nello sforbiciare la pletora di Authority (troppe, troppo piccole, troppo costose), ha dato vita a un sistema portuale integrato nel Friuli Venezia Giulia; a cui speriamo la Regione aggiunga ora lo scalo di Porto Nogaro. Se volessimo vederla con una becera e distorta ottica di campanile, diremmo che il porto di Trieste si è allargato. Ma è l’opposto della realtà, che vede invece un sistema di scali più ampio, coeso e competitivo: vuol dire competitivo con Capodistria, lo diciamo con dispiacere; poiché la vera idea strategica, rivelatasi impraticabile per la riluttanza da parte della Slovenia, era quella di dar vita a un grande e moderno porto europeo comune. Ma non è accaduto, né accadrà più. In questo contesto s’inserisce la situazione del Molo Settimo. Che ha enormi spazi di crescita, ma non finché le navi passeggeri approdano lì. Dove, per converso, le medesime navi stanno male, con una collocazione che fino ad alcuni anni fa era semplicemente indegna - non un bar, un bagno, una sala d’aspetto - e oggi è un po’ migliorata restando inadeguata. Va da sé che le esigenze del trasporto merci e rispettivamente passeggeri sono tutt’altro. Dunque, dove portare i traghetti per la Grecia? In astratto la soluzione ideale sarebbe nel “nuovo” Porto vecchio, ma ci vorrà una vita. In concreto o vanno al Molo Quarto, o a Monfalcone. Vi sono pro e contro per entrambe le soluzioni, ma è proprio quel che qui sosteniamo: i pro e contro vanno valutati in quanto tali (pescaggio, manovre d’attracco, viabilità, accessibilità e soprattutto esigenze dei passeggeri), e non rispetto a una presunta, inesistente questione territoriale. Trieste e Monfalcone sono diventate porto unico, e ben venga l’eventualità di specializzare le rispettive aree su quel che possono fare meglio. Ne crescerà il traffico complessivo, e con esso i posti di lavoro: più container, più navi passeggeri, più traffico diffuso. E non sarà un grande problema per i cittadini monfalconesi venire a lavorare a Trieste, né per i triestini fare lo stesso a Monfalcone. In effetti crediamo che il nervo scoperto sia la spia di una questione più importante, e di un salto culturale tutto da fare. La vera domanda è: cos’è Monfalcone (o Ronchi, o Gorizia) per Trieste? È davvero un “altrove”, o non piuttosto parte di un territorio comune e una compenetrazione naturale? Le Province sono state abolite come enti e circoscrizioni amministrative, e dovrebbero sparire pure dalle nostre teste: erano un confine formale, ora è rimasta solo la barriera psicologica. Trieste non può credere di potersi sviluppare - né di aiutare lo sviluppo della regione, che ha bisogno di un porto vero - mantenendo la rassicurante prigionìa concettuale della città-stato bastevole a se stessa, che vede come “altro” tutto ciò che sta fuori da confini oggi pure scomparsi. Estremizzando fino all’assurdo, dovremmo preoccuparci anche del fatto che il punto franco venga spostato a Prosecco? O Prosecco è “più” Trieste di Monfalcone, separata invece dall’abisso di 15 chilometri di distanza? Suvvia. Fra i tanti motivi d’incertezza profonda sul futuro della città, possiamo rallegrarci per un porto che sta crescendo con la guida di un manager dalle idee chiare. Uscire dai nostri confini e affrontare le sfide a testa alta, è quel che oggi dobbiamo fare. ©
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