RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

sabato 6 gennaio 2018

VIVANTE, STORICO E GIORNALISTA TRIESTINO CHE NEL 1914 PROFETIZZAVA LA DECADENZA DI TRISTE STACCATA DAL SUO HINTERLAND IMPERIAL-REGIO - "Trieste non può far parte del Regno d’Italia in quanto è pluretnica" - Come Pittoni, fondatore delle nostre Cooperative Operaie ora assassinate, fu preso dallo sconforto per l' Inutile Strage - BASTA CELEBRAZIONI DELLA "GRANDE GUERRA" !


Un interessante articolo sullo storico e giornalista triestino Angelo Vivante è stato pubblicato oggi sul Piccolo a firma di Pierluigi Sabatti, presidente del Circolo della Stampa di Trieste e tra i promotori dell' intitolazione a Maria Teresa del Canal Grande.
Angelo Vivante, al pari di Valentino Pittoni fondatore delle nostre Cooperative Operaie, si rese conto della decadenza cui Trieste sarebbe andata in contro se staccata con la violenza della guerra dal suo entroterra Mitteleuropeo.
L' angoscia che prese gli uomini più consapevoli di fronte al precipitare degli eventi bellici lo spinse al suicidio, mentre Pittoni scelse l' esilio a Vienna dove morì amareggiato.

Nel 2018, centenario della presunta "vittoria" italiana, è prevedibile una recrudesecenza delle celebrazioni dissennate e antieuropee di quel grande inutile massacro che preparava il fascismo e la seconda guerra mondiale.
E' dal 2014 che a Trieste si susseguono fanfare e roboanti discorsi celebrativi e non se ne può più.

Ci sia silenzio: se non altro per rispetto ai morti.

Ecco l' articolo pubblicato il 6 gennaio:

Il marxista Vivante che sognava un’Europa plurale

di Pierluigi Sabatti

«Sulle questioni vive delle nostre terre irredente l’Irredentismo adriatico è per ora il libro storicamente più sano e più luminoso. Ce ne sarà sempre bisogno. Si ricorrerà ancora a lui».
Questo scrisse Giuseppe Prezzolini alla notizia del suicidio di Angelo Vivante (primo luglio 1915). Prezzolini, pur non essendo a volte d’accordo con l’autore triestino, ne riconosce lo spirito europeo. Purtroppo quel libro e il suo autore verranno sepolti per decenni dalla damnatio memoriae.
Resta la vulgata della profezia di Vivante che aveva ipotizzato la decadenza di Trieste, una volta separata dal suo hinterland imperial-regio.
Ma il personaggio e le sue tesi sono molto più complesse. Per tirare fuori dall’oblio e dalle chiuse stanze dell’Accademia, offrendo anche a un più vasto pubblico l’occasione di conoscere questo grande personaggio è stato organizzato il 2 dicembre 2016 un convegno significativamente intitolato “Angelo Vivante e il tramonto della ragione”. Iniziativa voluta da Aurelio Slataper, nipote di Scipio e presidente del Centro studi intitolato all’autore del “Mio Carso”, alla quale hanno partecipato Renate Lunzer, Anna Millo, Fulvio Senardi, Marta vator Žitko e Luca Zorzenon, storici austriaci, italiani e sloveni. Non è un caso che il nipote abbia continuato l’opera dello zio perché Scipio Slataper, che pur non condivideva la scelta di Vivante, ebbe un ruolo importante nel promuovere il suo lavoro più famoso nelle edizioni della Voce, la rivista fiorentina che ospitò parte dell’intellighenzia triestina italiana dei primi del Novecento.
Oggi “Angelo Vivante e il tramonto della ragione” diventa un volume (Hammerle editori, 368 pagine) che raccoglie quegli interventi e li arricchisce con una poderosa “Antologia” con i testi più significativi di Vivante e di altri autori che con lui hanno dialogato. L’opera promossa dal Centro Scipio Slataper e da altri enti e associazioni, è curata dallo storico Luca Zorzenon, che la presenterà, il 10 gennaio alle 17.30 al Circolo della stampa, insieme al collega Luca G. Manenti.
Diciamo subito che Vivante è un marxista convinto, fervido sostenitore dell’internazionalismo in chiave pacifista. È abilissimo nello smascherare gli artifizi della borghesia, anzi delle borghesie, per mantenersi o conquistare il potere, utilizzando l’arma del nazionalismo.
Illuminante un articolo pubblicato sul Lavoratore nel febbraio del ’14. Vivante definisce la borghesia triestina “opportunista, dalla doppia anima” austriacante economicamente e filo italiana culturalmente e politicamente, ma ne ha anche per la rampante borghesia slovena e porta l’esempio dei facchini che nel 1907 angariati dal caro-vivere chiedono di venir tutelati.
La situazione del proletariato triestino italiano e slavo, in quegli anni era spaventosa, tanto che sono ricorrenti le denunce al Municipio dell’Associazione medica triestina sull’insalubrità delle abitazioni, sui prezzi del cibo, e sulle carenze dell’approvvigionamento idrico, fonte delle ricorrenti epidemie. Ma la città sta esplodendo dal punto di vista dello sviluppo e attrae, soprattutto dal contado sloveno, manodopora a buon mercato. E proprio contro il crumiraggio che i facchini chiedono tutele. La Lega dei datori di lavoro rifiuta e risponde che alla richiesta non hanno aderito tutti i braccianti. Cos’è successo? È successo che i padroni hanno foraggiato un sindacato giallo sloveno che per “lealtà” nazionale nei confronti dei crumiri, boicotta la protesta. Ironicamente Vivante rileva che «il nazionalismo sloveno, capisce e parla …italiano».
In vari altri articoli sul Lavoratore e sull’Unità Vivante spiega come la borghesia italiana per mantenersi al potere, e quella slovena che si è risvegliata, usino la questione nazionale, approfittando di uno stato austriaco «vecchio, infrollito, odioso».
Come arriva Vivante al marxismo? Figlio di una ricca famiglia della borghesia ebraica, nasce a Trieste nel 1869. Va a Bologna a studiare giurisprudenza, laureandosi con una tesi su temi assicurativi. Ma non seguirà questa strada perché dal 1900 al 1906 diventerà giornalista al Piccolo della Sera, occupandosi per lo più di argomenti economici e, diremmo oggi, geopolitici. Il Piccolo è il quotidiano vessillo dei liberal nazionali, convintamente irredentista.
Ma il lavoro porta Vivante a frequentare anche altri ambienti come il “Circolo di studi sociali”, creazione del partito socialista e centro importante di dibattiti, a cui partecipano numerosi intellettuali e politici italiani tra cui Gaetano Salvemini, che vi tiene conferenze nel 1904 e 1905. Nasce una profonda amicizia, non scevra da contrasti, specialmente sulla questione balcanica.
Nell’ampia parte seconda del volume si possono leggere questi scritti. Nel 1906 Vivante aderisce agli ideali della II Internazionale: in particolare lo conquistano le teorizzazioni dell’austro-marxismo sul rapporto tra le lotte sociali dei lavoratori e l’esplodere delle aspirazioni nazionali, che in quel periodo stavano minando le fondamenta stessa dello Stato asburgico.
Un anno dopo si iscrive al partito socialista e tra il 1907 e il 1909 dirige “Il Lavoratore” e collabora con l’“Avanti” e la “Critica sociale”.
Il cambio di campo fa scandalo, anche perché è dura per i liberal nazionali perdere un intellettuale di quella levatura e sarà la causa della sua damnatio memoriae. In una lettera a Salvemini agli inizi del 1909 scrive che «da cinque mesi» sta lavorando a «una specie di diagnosi dell’irredentismo adriatico»: sarebbero passati ancora tre anni di studi in campo storico ed economico, condotti con estrema serietà e rigore, prima della pubblicazione per le edizioni de “La Voce”.
Come affronta Vivante lo spinoso argomento? Una testimonianza significativa si trova in un biglietto spedito da Mallnitz nel 1911, pochi mesi prima della pubblicazione dell’opera: «Io ho cercato in tutto il lavoro di spogliarmi della mia tendenza personale, quasi anazionale: non so fin quanto possa esserci riuscito». Curioso questo definirsi anazionale, che va abbinato all’aggettivo “oscuro” con il quale egli definisce il fenomeno della nazione. Oscuro perché fittizio, manipolato, Vivante non si interessa tanto dei conflitti nazionali quanto della costruzione delle identità nazionali e per farlo si spoglia anche della propria identità italiana. E ammette che per le sue ricerche vorrebbe sapere lo sloveno oltre al tedesco, il che gli procurerà la simpatia postuma degli storici sloveni specie nel secondo dopoguerra.
Poi sferra un duro colpo agli irredentisti italiani rilevando come l’italianità di Trieste sia stata via via inquinata dal massiccio arrivo dell’elemento slavo necessario allo sviluppo della città. In sostanza sono le esigenze del capitalismo che hanno trasformato etnicamente la città e ne trae un’altra fondamentAle conclusione: Trieste non può far parte del Regno d’Italia in quanto è pluretnica (non è come il Trentino etnicamente omogeneo), anche perché il risveglio degli sloveni ha frenato la loro assimilazione; in secondo luogo perché essa ha un ruolo economico nell’ambito dell’impero che perderebbe sicuramente.
Visione ottimistica, che sarà demolita dagli eventi: scoppia la Grande Guerra, i socialisti (sia italiani, sia austriaci) si dividono cedendo al richiamo patriottico. Solo – scrive Luca Zorzenon - «il socialismo triestino di lingua italiana, alla dichiarazione di guerra austriaca, sconterà il suo drammatico isolamento nella resistenza alla fede pacifista». E lo sconterà Vivante che, prostrato dalla depressione, si getterà dalla finestra del frenocomio dove si era fatto ricoverare.



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